Ansa
10 set 2012
Victoria Beckham , dai taxi di Londra alle passerelle di NY
Ansa
10 set 2012
Dal tetto del Black Cab di London 2012 alle passerelle di Manhattan: Victoria Beckham è tornata a New York per presentare la sua prima linea (e poi Victoria, la collezione più giovane e a prezzi più contenuti) per la primavera estate 2013.
Grandiosa la sede, la Astor Hall della New York Public Library, in cui l'ex Posh Spice ha sfilato la sua nuova estetica: abiti corsetto dalla lingerie esposta e la zip dietro, intarsi di pizzo inglese in neoprene, mini-soprabiti dalla linea ad 'A', pantaloni con le camicie ampie dietro e la manica aperta e, per la prima volta, una collaborazione con Manolo Blanhik fatta di tacchi a stiletto ma anche calzari piatti e stivali aperti da gladiatore.
Tavolozza semplice: nero, bianco e arancio. Le spalline del reggiseno in bella vista sono chic e mai trash. Maria Sharapova arriva con Anna Wintour e si sistema tra i vip del parterre. Esile come le modelle, Victoria è in realtà la sua musa: "Tutti i vestiti di questa collezione sono pezzi che vorrei portare", spiega emozionatissima, additando il miniabito addosso che incrocia georgette plissettato, chiffon e tela.
Applausi a scena aperta e su Twitter: "Congratulazioni per la sua evoluzione da Spice Girl a stilista", ha dato l'imprimatur Vogue Uk alla moglie di David Beckham, lui nel backstage nel ruolo di 'mammo' con in braccio Harper Seven, l'ultima dei quattro figli della coppia. Victoria è lanciatissima. Tra voci che Jennifer Aniston le abbia chiesto di disegnarle l'abito da sposa, gli inglesi vorrebbero che Posh tornasse in patria ma la Beckham ha fatto sapere che è ben decisa a restare a New York, almeno per la moda.
Posh non è del resto la sola europea: come lei l'italiana Hache (sta per 'H' in francese) di Manuela Arcari (é la sister line di Ter et Bantine), e poi le britanniche Rag and Bone e Jenny Puckham con una collezione ispirata a Las Vegas, lo spagnolo Custo Barcelona e la linea 'etica' Edun dell'irlandese Alison Hewson, la moglie di Bono che lavora con gli artigiani del Mali e dello Zimbabwe, hanno optato per la Big Apple come trampolino per le loro collezioni.
La Arcari era al debutto a New York: al Pier 59 sull'Hudson ha presentato un guardaroba in globetrotting in cui nulla combacia ma tutto collima in una ricerca di "perfetta imperfezione" destinata a durare nel tempo grazie a un sistema di pezzi scomponibili e riconfigurabili. Lino, cotone, seta, voile in una tavolozza organica (sabbia, beige, ocra, kaki) illuminata da tocchi di azzurro acqua e giallo pallido. Gli elementi di base, portati con sandali piatti che disegnano intrecci sul piede, sono essenziali: camicie precise, pantaloni esatti, piccole giacche, giubbe da lavoro, shorts, top come maxi-tshirt, lunghe gonne, abiti, prendisole.
Il tutto rigorosamente made in Italy nell'ex stabilimento Eridania di Granarolo Faentino sopravvissuto al terremoto. Tanti stranieri dunque. New York resta con Milano una delle Fashion Week commercialmente più importanti per la moda, ma per quanto? Quando gli Stati Uniti erano superpotenza globale, erano anche il maggior paese consumatore di beni di lusso ma nell'ultimo decennio tuttavia il pendolo si è spostato in linea con le geopolitica.
La Cina rappresenta il 40 per cento del fatturato di alcune aziende, mentre negli Usa è dimezzata la porzione di reddito che una famiglia ricca spende in moda. Altri segni di allarme, la chiusura di otto negozi Saks Fifth Avenue a fronte di alcuni buoni risultati a Wall Street: Tommy Hilfiger +4,2 per cento, Calvin Klein +4,7 per cento e il 're' Ralph Lauren -5,1 per cento. Ma loro, ormai, vendono in Cina
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