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Pubblicato il
16 set 2015
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Givenchy: Riccardo Tisci, momenti d'introspezione a New York

Pubblicato il
16 set 2015

Per la prima volta in 63 anni di storia, Givenchy ha lasciato Parigi per mettere in scena una sfilata spettacolare alla Fashion Week di New York. In un'intervista esclusiva concessa a “CNN Style” e trasmessa da FashionMag.com, il direttore artistico italiano di Givenchy Riccardo Tisci rivela i motivi di questo cambiamento, le sue fonti di ispirazione, la sua passione per l'arte e il suo amore per New York.
 

 


Perché il défilé di Givenchy si è svolto a New York in questa stagione?

Gli Stati Uniti sono la prima nazione ad avere creduto in me. E' negli Stati Uniti che Givenchy ha cominciato ad avere un grosso successo, persino prima di averne in Europa. E' piuttosto strano, ma c'è anche la coincidenza che il fondatore Hubert de Givenchy ritenesse che il grande passo da compiere da parte di Givenchy negli anni '50 fosse verso gli Stati Uniti.

Givenchy e lo street style

Givenchy è, naturalmente, una casa di moda. Io ho portato l'alta moda in strada, ed è questo il tocco, questa la chiave che ho portato nello street style. Questo mi ha reso diverso. Sono stato uno dei primi ad aver ripreso gli sweatshirts, o le scarpe da ginnastica, e ad averli resi più Givenchy, più di lusso. Sono il primo a fare dell'alta moda che si possa indossare per la strada in modo più rilassato e destrutturato.

Come percepisce gli Stati Uniti, lei che è nato e cresciuto nel Sud Italia?

C'erano due cose importanti ai miei occhi: la libertà d'espressione e il fatto di poter arrivare qui per cambiare la mia vita. In Italia, ci sono molte persone che, partite dal nulla, sono andate negli Stati Uniti per poi arrivare a figurare tra i più grandi: Sophia Loren, Federico Fellini. Ci si può esprimere liberamente negli USA. Era il mio American Dream.

La sua passione per la pallacanestro: fonte d'ispirazione del suo sogno americano?

Il basket occupa un posto particolarmente importante nella mia vita. E' a scuola che ho cominciato a praticare questo sport, e che cominciai a scoprire questo nuovo mondo, che poi è diventato la mia ossessione. Fin dalla mia infanzia, mi dicevo: "Un giorno, mi piacerebbe fare una sfilata a New York". Il mio sogno americano era di organizzare una sfilata di moda per la strada, perché è da lì che provengo. Ecco perché ho deciso che sarebbe stata una sfilata all'aperto a New York, perché la gente possa vedere lo show. I giornalisti e i buyer ti sostengono e partecipano al tuo successo, ma il vero successo viene dalla strada. Sono persone vere quelle che comprano e che comprendono ciò che si vuole esprimere. In strada mi sento a casa. La strada è dove tutto succede e tutto è successo.

Le immagini e i simboli che hanno influenzato il suo lavoro

Ho utilizzato Bambi, la bandiera statunitense, e molti elementi legati alla cultura americana. E' divertente perché chiunque può amare un animale di Walt Disney, così come la bandiera degli States. Sono ossessionato dalla simbologia dell'America e dei grandi colossi che sono nati lì: McDonald’s, Marlboro, Coca-Cola, Nike, che sono così forti dal punto di vista culturale in tutto il mondo da aver cambiato la cultura.

Il significato di venire da un ambiente povero

Quando si arriva dalla povertà, quando si muore di fame e si soffre, ciò che emerge di più è la propria creatività. Si apprezza maggiormente ogni cosa. Si dà importanza ai colori, ai materiali, ai messaggi e a tutto ciò che fanno le persone. La maggior parte delle grandi figure della storia che sono così forti per la società e la cultura, come Frida Kahlo, Madonna, provengono tutte da ambienti poveri e questo è ciò che le rende più oneste.

La cultura urbana negli Stati Uniti e a New York

Per me la cultura urbana è più forte quando è onesta, quando la gente non si cura di ciò che la moda impone, ma indossa ciò che gli piace ed è fiera del risultato finale. In Giappone come in Inghilterra, la street culture è cool, ma resta ancora molto regolare, coscienziosa. Quello che mi piace di New York è l'onestà: sanno indossare cosa gli sta meglio, conoscono le proporzioni, i colori, accordare colori e materiali. E' fantastico. Questa è genialità!

I suoi inizi a New York

Sono appassionato di musica e arte, e allora sono arrivato a New York all'età di 19 anni soprattutto in cerca di novità, di scoperte. Erano gli anni '90, passati fra discoteche, Body & Soul, house, hip-hop…Era la fine del rock, e l'hip-hop e l'R'n'B debuttavano. Mi ricordo del mio arrivo: era la prima volta che vedevo una macchina controllare due volte se avessimo delle armi in un club. All'interno, il mix di culture, il modo in cui la gente si vestiva in un modo allo stesso tempo fresco, informale e casual. Quanto alla musica, era geniale.

Ciò che mi ha impressionato di più a New York è stata la libertà, il fatto di poter condividere ciò che si desidera con chiunque, il vostro modo di vestire... E' al mio arrivo all'aeroporto che mi sono detto: "Un giorno, io vivrò in questo Paese".

Bruno Joly (Versione italiana di Gianluca Bolelli)

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