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Adnkronos
Pubblicato il
25 feb 2016
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E-commerce: l'export di prodotti italiani online vale 6 mld, il 4% del totale

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Adnkronos
Pubblicato il
25 feb 2016

Le esportazioni italiane sono poco supportate dal digitale. Solo il 4% delle vendite di prodotti italiani verso l'estero avviene attraverso il canale dell'e-commerce, per un controvalore complessivo di circa 6 miliardi di euro. La maggior parte del fatturato dell'export online è riconducibile ai grandi retailer online, seguiti dai marketplace e dai siti di vendite private. Il settore più esportato attraverso i canali digitali, seconda una ricerca dell'Osservatorio Export della School of Management del Politecnico di Milano, è la moda, che pesa per oltre il 65% delle vendite online oltreconfine.

facebook.com/GUESS


Gli altri comparti tipici del Made in Italy, come il cibo e il design, hanno un’incidenza più contenuta, con circa il 15% ciascuno. I principali mercati di sbocco sono l'Europa e gli Stati Uniti, seguiti da Giappone e Russia, mentre sono ancora poco presidiati Cina e Sud America.
 
Lo studio rileva come pesi complessivamente 1,5 miliardi di euro l’export online 'diretto', in cui l’interazione con il cliente finale è gestita da un operatore con ragione sociale italiana, attraverso i siti dei produttori, i siti di retailer online o multicanale o i marketplace con dominio '.it'. L'export online diretto è riconducibile per il 70% circa al fashion, seguiti dal cibo e dall’arredamento, con il 10% ciascuno. Il canale più rilevante è quello dei retailer nazionali che valgono per il 60%, mentre il 25% è generato da siti propri di aziende produttrici e il 15% da marketplace italiani.

Vale invece 4,5 miliardi di euro l’export online 'indiretto', attraverso i siti di ecommerce dei grandi retailer online stranieri, i grandi marketplace con domini stranieri o i siti delle vendite private internazionali che acquisiscono prodotti in Italia per poi venderli in tutti i Paesi in cui sono presenti. Anche in questo caso, la quota più rilevante (65%) è riconducibile alla moda, mentre cibo e arredamento pesano ciascuno per il 17%. Il canale più significativo è quello dei retailer online stranieri con oltre la metà del totale transato, seguiti dai marketplace con un terzo e dai siti delle vendite private con poco più del 10%.

"L'utilizzo dell''innovazione digitale per l'export -commenta Riccardo Mangiaracina, direttore dell'Osservatorio Export- è un'opportunità per competere a livello internazionale ancora poco utilizzata dalle aziende italiane. La limitata diffusione dell’ecommerce a supporto dell’export di prodotti è un segno evidente delle difficoltà delle nostre imprese nell’utilizzo del canale online che, se da un lato consente di ridurre le distanze col consumatore finale, dall'altro non elimina le difficoltà logistiche, normative e commerciali, oltre a quelle legate alla comunicazione e ai pagamenti".

L’export è un’attività consolidata per le aziende del food e del fashion, con rispettivamente il 12% e il 7% del totale delle esportazioni, secondi solo al settore dei macchinari e apparecchi meccanici, che si basa però prevalentemente su canali tradizionali e ancora poco sull’ecommerce, "principalmente a causa di un utilizzo non corretto dei canali commerciali online, della mancata comprensione dei vincoli legali e delle inadeguate strategie di comunicazione", si sottolinea nella ricerca.

L’80% delle aziende è costituita da esportatori abituali che destinano ai mercati esteri una quota del fatturato in media del 46%. Ma circa la metà delle aziende (48%) utilizza esclusivamente canali offline, solo l’1% esporta tramite una strategia online pura, mentre il 28% varia la propria strategia a seconda del Paese di destinazione e il 23% persegue costantemente una strategia multicanale. Le principali barriere all’ecommerce oltreconfine sono l’incapacità di usare adeguatamente i canali commerciali online (45%), le difficoltà legate alla comunicazione (16%) e le complessità di natura legale (16%). Una parte delle aziende, circa il 13%, è invece frenata da caratteristiche del prodotto, come la necessità della temperatura controllata per i prodotti freschi.

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