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20 apr 2023
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e-P Summit: tracciabilità e passaporti digitali al centro del simposio sul Fashion Tech di Pitti Immagine

Pubblicato il
20 apr 2023

Si è chiusa a Firenze, in Stazione Leopolda, l’edizione 2023 dell’e-P Summit, l’appuntamento organizzato da Pitti Immagine in cui le aziende della moda incontrano le realtà del mondo digitale. La conclusione emersa? Molto semplice, quasi lapalissiana: il futuro della moda sta nell’innovazione. Sostenibilità – e la tracciabilità, suo diretto corollario – intelligenza artificiale, novità digitali nel retail, metaverso e passaporti digitali sono stati i grandi temi affrontati da questa edizione, curata come sempre da Rinaldo Rinaldi, direttore del comitato scientifico di e-P Summit, il quale in chiusura, con un accenno di commozione, si è mostrato molto soddisfatto delle oltre 700 presenze di visitatori professionali intervenuti alla manifestazione.

Al microfono Raffaello Napoleone, AD di Pitti Immagine, con Rinaldo Rinaldi, direttore del comitato scientifico di e-P Summit


Un buon risultato, se si pensa alla contemporaneità con Salone del Mobile e Fuorisalone, ma anche con la fiera della sposa, sempre a Milano… o la cocktail week a Firenze. Proprio per questo, secondo un portavoce di Pitti Immagine sentito da FashionNetwork.com, le date dell’appuntamento dovrebbero essere modificate dal prossimo anno, per evitare sovrapposizioni con altre manifestazioni nazionali di moda, lusso o design dalla rilevanza anche internazionale.
 
In Leopolda erano presenti 33 aziende con i loro stand, da start up a grandi gruppi globali, impegnate nel fornire (alla moda, ma non solo) servizi di SaaS-Software as a Service, realtà aumentata e virtuale, soluzioni per gli e-commerce, capi riciclati provenienti da tessuti di scarto, le ultime novità digitali e del Web3. Con, in sottofondo, la nuova normativa del Digital Product Passport, ovvero il passaporto in formato digitale dei prodotti, che dovrà condurre ad uno step successivo la tracciabilità e gli ostacoli ai falsi nel fashion, obbligando i brand della moda ad adottarlo entro il 2030.

Fashiontech indispensabile
 
“Nella moda crescono i volumi produttivi e le richieste manifatturiere, perciò tutto il lavoro a livello Tech che si sta compiendo è indispensabile”, ha affermato in apertura Raffaello Napoleone, AD di Pitti Immagine. “Ci troviamo in una fase delicata, seppur interessante, in cui per molte aziende i costi di adeguamento a queste tecnologie e normative non saranno bassi, ma una volta affrontati daranno sicuramente frutti”.

In uno degli oltre 20 tra speech e tavole rotonde organizzati, Francesca Romana Rinaldi, Director Monitor for Circular Fashion di SDA Bocconi, ha sostenuto che “saper creare una sinergia tra grande e piccola azienda è un aspetto fondamentale”. Secondo lei “le Gen Z e Alpha hanno bisogno di nuovi touchpoint, più curati e differenti rispetto al passato”. Le aziende dovranno “investire sull’ecodesign, formarsi costantemente per dirigersi verso la tecnologia 4.0 e la industry 5.0, ed è fondamentale che tutte, piccole e grandi, comincino a cooperare con Program Manager o esperti di comunicazione a 360 gradi”. Il tutto mentre “il retail vive una rivoluzione, con il boom del second hand - che è solo all’inizio - e il passaggio dal prodotto al servizio - che è già avvenuto”. Per la manager, la complessità che si sta generando va gestita. Il che comporta innanzitutto sapere con precisione “chi sta dietro alle prime fasi delle produzioni e quali siano i materiali utilizzati”, dice, “ma per innovare veramente nella sostenibilità occorre che le aziende modifichino il proprio mindset, che operino un cambiamento culturale interno, e sviluppino soluzioni legate al metaverso, realtà in cui hanno già investito più di 300 brand globali”.
 
Essere davvero circolari ed ecologici è complicato
 
Dopo Giusy Stanziola, Start Lab & Development Programs di Unicredit, che ha ricordato come l’istituto bancario supporti da tempo le startup e l’ecosistema dell’innovazione, il quale ha raccolto oltre 2 miliardi di euro di investimenti nel 2022 in Italia da start up e PMI innovative, è toccato a Gio Giacobbe, CEO del marchio di calzature eco-sostenibili ACBC ricordare quanto sia ancora difficile e complicato essere davvero ecologici. “È proprio vero che è sempre più facile nascere sostenibili che diventare sostenibili”, ha affermato. “È il momento di ragionare sulla costruzione di un’intera filiera circolare e sulla biodegradabilità”.

Un momento del summit - G.B. - FashionNetwork.com


“Si tratta di passi che un’azienda appena nata può permettersi di compiere sin dai primi giorni d’attività, ma il tessuto produttivo dell’Italia è composto da tantissime aziende che hanno una storia costruita sul bello, sul valore aggiunto del loro prodotto, per cui l’eco-design, la tracciabilità, la circolarità non erano, non potevano essere, il focus dell’approccio del loro business”, ha proseguito l’imprenditore. “Si pensi a un marchio del lusso, che crea beni pensati per durare. Quanti acquirenti di beni di lusso riportano indietro il prodotto per renderlo circolare? Nessuno, in quanto il concetto del luxury è quello della durata dell’articolo nel tempo, nel corso delle generazioni. Si pensi che attualmente su 10.000 prodotti trasformati nella moda solo 10 sono davvero circolari”. 
 
“In ACBC facciamo calzature, ed è complicato, perché una scarpa è composta da 20 parti diverse. Il nostro obiettivo è dunque ridurre le emissioni a parità di numero di prodotti”, continua Giacobbe. “Sappiamo bene che chiedere alle aziende della moda di realizzare una collezione totalmente circolare o biodegradabile oggi è follia. Significherebbe creare un’infrastruttura molto complicata. Cosa fare allora?”, si è chiesto. “La nostra scelta è realizzare soluzioni che oggi siano attuabili su ogni azienda per impattare sul clima. Quindi attualmente si può puntare a realizzare una collezione col 50% dei materiali riciclati o bio-based. In più, forse l’azienda del futuro non sarà più solo una società che produce e mette in vendita, ma si impreziosirà dell’offerta di quei servizi che oggi cura per realizzare la sua produzione”.
 
Per iniziare a ridurre sprechi e costi della moda il 3D può essere una soluzione efficace. Del resto, showroom virtuali, sfilate sul Web e virtual fitting proseguono la loro corsa, dopo essersi rivelati centrali durante la pandemia. Lo ha dimostrato l’intervento di Daniela Capone, 3D Virtual Prototyping Supervisor di Versace, marchio che già dal 2018 ha inserito il 3D in azienda per supportare il processo creativo dei designer e proporre nuovi modi e processi per vendere.
 
La questione Passaporto Digitale dei Prodotti
 
Con il DPP (acronimo di Digital Product Passport), l’Unione Europea lancia una nuova sfida al settore perché promuova la circolarità dei prodotti e sia assolutamente trasparente nel fornire tutte le informazioni a proposito dell’impatto sull’ambiente della produzione di un capo. In sintesi il DPP è una sorta di passaporto digitale che fornisce informazioni su ogni prodotto, tutto il suo viaggio commerciale dai materiali usati alla produzione, e può aiutare i consumatori a fare scelte sostenibili. Questo Passaporto Digitale potrebbe rappresentare lo strumento che guiderà il sistema moda verso una transizione sostenibile basata su tracciabilità e trasparenza di filiera. Almeno è quanto auspicano le istituzioni europee.

Un intervento di Francesca Poggiali, affiancata da Attila Kiss e Augusto Rosi


“Il fatto che le aziende possano costruire il DPP secondo i dettami del regolamento e metterlo direttamente sul loro sito (cioè senza dover più riempire un formulario e mandarlo alla UE per creare un mero database centralizzato gestito dalla stessa Unione Europea), costituisce una grandissima opportunità”, ha affermato perentoriamente Francesca Poggiali, Chief Public Policy Officer Europe di GS1 Global Office. “Il DPP è decentralizzato e permette di creare e strutturare i propri dati. Tutto questo ci aiuterà a gestire anche i dati relativi alla circolarità, e darà estrema trasparenza. L’interoperabilità dei dati stessi, che richiede un’identità permanente che si costruisce nel tempo, ci ricorda che la vera sfida è rendere i dati accessibili a tutti lungo tutta la filiera a livello globale”, ha aggiunto.
 
Secondo Poggiali, è un momento “storico, perché è in atto una consultazione europea che scade a maggio e la UE sta sviluppando uno studio con Joint Research Center che sarà pronto in dicembre, ma nel frattempo sta chiedendo alle aziende vari dati e pareri su quali siano i data attributes che possano raggiungere il DPP, e al contempo anche aiutare le aziende”.
 
Si sta inoltre decidendo quali siano i settori che dovranno adottare il passaporto, e il tessile-abbigliamento, insieme all’elettronica, sono le categorie industriali su cui la UE ne chiederà certamente l’adozione. Secondo Francesca Poggiali, “gli standard esistono già (codice a barre, identificazione, tracciabilità, ecc., molti dei quali sono già nei tavoli di lavoro delle aziende della moda), o si stanno stabilendo, perciò molti brand di moda hanno già intrapreso questa strada, proponendo prodotti 'connessi', e anticipando così la legislazione che renderà obbligatorio il passaporto”, ha detto.
 
“Voler fare tutto questo insieme partendo da zero, porta con sé il rischio di dover investire molto in soluzioni che poi ‘chiudono’ i dati. Ed ecco l’importanza di un concetto: l’interoperabilità”, sostiene infine la manager, “che vuol dire poter consentire la gestione e la condivisione dei dati in maniera aperta, per poterli rendere accessibili a tutti lungo l’intera filiera worldwide”.
 
“Il DPP porterà un grosso impatto sul processo che riguarda la condivisione delle informazioni in tempo reale, è necessaria una integrazione intra-filiera”, ha aggiunto a tale proposito Augusto Rosi, Operations Manager di Max Mara. “Aiuterà ad avere un linguaggio comune, ma vanno supportate le piccole realtà per agevolare questo processo di integrazione”. Un processo che comunque richiede tempo e risorse. “La filiera ha più livelli”, ha spiegato Attila Kiss, CEO del gruppo Florence, che già ha avviato progetti di digitalizzazione. “Un prodotto finito per arrivare in showroom può essere toccato da tantissime aziende, fra chi taglia, stira, stampa, e confeziona il capo. Inoltre, il prodotto finale è sempre più spesso composto da tante materie prime diversissime tra loro. Per questo è difficile raccogliere i dati. Come rendere possibile, dunque, la tracciabilità di ogni materiale o il loro riutilizzo circolare? È una questione ancora molto dibattuta e complessa. Inoltre, la sfida è capire quali dati devono figurare dentro il passaporto, ma anche come procurarseli”.
 
Soluzioni digitali per la trasparenza
 
In questa direzione si muovono aziende come l'italiana Certilogo, fondata nel 2006 da Michele Casucci, che consente ai brand di connettere digitalmente i loro prodotti attraverso un'identità digitale sicura, tramite la quale i consumatori possono verificare l'autenticità del prodotto e accedere a contenuti e servizi circolari offerti dal brand, come la riparazione, la rivendita e il riciclo. Finora sono 80 i marchi che hanno usufruito di tale servizio, usato (secondo i dati raccolti dall'azienda) da un utente ogni quattro secondi in oltre 180 nazioni (è disponibile in 10 lingue). La sua missione consiste anche nel democratizzare i prodotti connessi e l’accesso al Digital Product Passport, per consentire ai brand opportunità di storytelling rilevanti o migliorare la shopping experience connettendo fisico e digitale.

Un momento dell'intervento di Michele Casucci


Michele Casucci è intervenuto a e-P Summit per raccontare il ruolo cruciale che l'autenticazione digitale assolverà in misura sempre maggiore per i prodotti della moda e del lusso, in una coinvolgente presentazione che ha ricordato i casi storici più emblematici di truffe che hanno fatto scuola, per mettere in guardia sui rischi della novità DPP con le implicazioni che porterà con sé.
 
Infine Carlo Segato, Lead Solution Consultant di Adobe, ha ricordato come il concetto di esperienza sarà cruciale nel retail - anche digitale - del futuro. “Nella nuova strategia di interazione con il cliente derivante dalla trasformazione digitale in atto, Adobe è in prima linea”, ha detto il dirigente a FashionNetwork.com. Il gruppo statunitense Adobe (nato nel 1982, 17 miliardi di dollari di fatturato 2022, 22.000 dipendenti) nacque vendendo sotto forma di CD software di creatività, come Photoshop o Illustrator. “L’idea era di convincere negozianti e retailer a vendere questi programmi”, racconta Segato. “Nel 2009 l’azienda modificò la strategia, andando nella direzione tecnologica del mercato. Cambiarono le strutture dei computer, Internet iniziò ad andare più veloce, si parlava di Cloud. Stava cambiando tutto il mondo industriale ed economico, non solo del software. Perciò Adobe cominciò a vendere sottoscrizioni lavorando coi consumatori finali, generando nel giro di un anno uno dei principali e-commerce del mondo”.
 
In seguito Adobe iniziò a comprare aziende leader nell’analisi dati, come Omnitour (oggi Adobe Analitics), oppure Neolane (oggi Adobe Campaign), che si occupava di campagne di marketing automation cross-canale, riscontrando che la trasformazione digitale poteva diventare un’opportunità utile per molte altre aziende. “Oggi è cominciata la terza ondata evolutiva di Adobe: l’Experience Cloud. Una suite unica di soluzioni che aiutano a creare la propria esperienza o strategia digitale: dati in tempo reale, scalabilità, personalizzazione dei contenuti, soluzioni per il marketing, gestione dei contenuti e dell’e-commerce (grazie alla piattaforma Magento) sia in ambito B2C che B2B, per aziende di ogni dimensione”, ha concluso Segato.

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