AFP
8 lug 2015
American Apparel chiude dei negozi e sopprime dei posti di lavoro
AFP
8 lug 2015
Il gruppo statunitense American Apparel, cantore del “Made in America” (cioè del produrre negli USA), ha annunciato lunedì scorso l'adozione di un programma per la riduzione dei costi che prevede delle chiusure di negozi e l'eliminazione di vari posti di lavoro, il tutto per sopperire alla diminuzione delle vendite.
Il gruppo californiano, da tempo in aperto conflitto con il suo ex leader e fondatore Dov Charney, vuole ridurre le spese di 30 milioni di dollari nei prossimi 18 mesi, secondo un comunicato. Per riuscirci, chiuderà dei negozi “sottoperformanti” e sopprimerà dei posti di lavoro. Tuttavia, American Apparel non ha fornito dati precisi sul numero di punti vendita interessati dal provvedimento, né sulla loro localizzazione, e anche su quante persone esattamente intende licenziare.
La società, che poteva contare su 239 negozi in una ventina di Paesi nel mondo, dei quali 135 negli Stati Uniti, a fine marzo, vede calare inesorabilmente le vendite dal 2010 e continua a perdere denaro.
“Siamo determinati a ristrutturare l'azienda”, ha assicurato lunedì Paula Schneider, la nuova direttrice generale, che vuole lanciare per la prima volta una linea per l'autunno per uomini e donne. “Si tratta di misure necessarie per aiutare American Apparel ad adattarsi ai venti contrari che scuotono l'industria dell'abbigliamento nel suo complesso, preservare gli impieghi della grande maggioranza dei nostri 10.000 dipendenti ed essere di nuovo redditizi”, ha proseguito.
Tuttavia, “non c'è alcuna garanzia che otterremo impegni finanziari sufficienti (da parte dei creditori) per finanziare le nostre esigenze nel corso dei prossimi dodici mesi senza dover procedere ad un aumento di capitale”, ha comunque avvertito la Schneider, la quale ha aggiunto che: “Non vi è alcuna garanzia che saremo in grado di trovare questi nuovi fondi supplementari”.
In maggio, American Apparel aveva comunicato l'intenzione di raccogliere nuove risorse per 10 milioni di dollari, ma non ha mai indicato se avesse effettivamente raggiunto questo obiettivo.
L'industria statunitense dell'abbigliamento sta attraversando un momento difficile, dovendo sopportare la concorrenza dei rivali europei (H&M, Zara...) che sono riusciti a fare breccia in questo mercato un tempo ostico per loro. A ciò dobbiamo aggiungere l'apprezzamento del dollaro, che rende ulteriormente più onerosi i costi di produzione per American Apparel, in quanto il brand produce negli States, e diminuisce i ricavi generati all'estero.
Gap Inc (Banana Republic, Old Navy), altra perla di questo settore, ha annunciato a metà giugno che avrebbe chiuso un quarto (175) dei negozi del suo omonimo brand in America del Nord (Stati Uniti, Canada e Messico) e un numero “limitato” in Europa.
Oltre all'erosione delle vendite, American Apparel deve anche affrontare il conflitto giudiziario che da un anno l'oppone a Dov Charney, estromesso e cacciato lo scorso dicembre dopo essere stato accusato di molestie sessuali. Dov Charney ha presentato 20 denunce contro il gruppo, ha precisato lunedì la società, che proprio lo stesso Charney ha fondato nel 1989 a Montreal, ma con sede a Los Angeles.
A Wall Street, il titolo azionario del brand non se l'è passata bene: calava infatti del 9,92%, a 0,44 dollari verso le ore 19 italiane di lunedì.
Versione italiana di Gianluca Bolelli; fonte: AFP
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