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Di
Reuters
Versione italiana di
Laura Galbiati
Pubblicato il
12 mar 2018
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Una Brexit senza accordi potrebbe costare 65 miliardi di euro

Di
Reuters
Versione italiana di
Laura Galbiati
Pubblicato il
12 mar 2018

Le aziende della Gran Bretagna e dell’Unione Europea potrebbero dover far fronte a costi annuali supplementari di circa 65 miliardi di euro se nessun accordo di libero scambio sarà trovato per il dopo Brexit, e il settore finanziario britannico sarebbe quello più colpito, afferma uno studio pubblicato il 12 marzo e condotto dallo studio di consulenza Oliver Wyman e dallo studio d’avvocati Clifford Chance.

Il costo di una "Brexit dura" è valutato a 65 miliardi di euro da uno studio pubblicato il 12 marzo - Reuters


Le società della UE dovranno pagare circa 35 miliardi di euro in barriere tariffarie e non tariffarie se la Gran Bretagna lasciasse il blocco senza accordi. Dall’altro lato, esportare verso la UE costerà 30 miliardi di euro l’anno alle aziende britanniche.
 
“Questo aumento dei costi e le incertezze minacciano di ridurre la redditività e l’esistenza di alcune aziende”, afferma il rapporto.

La UE ha presentato la scorsa settimana alla Gran Bretagna un progetto di accordo di libero scambio per il dopo Brexit molto più modesto rispetto alle ambizioni di Londra, in particolare nell’ambito dei servizi finanziari.
 
In caso di divorzio senza accordo, il Regno Unito e l’Unione Europea dovranno fare scambi commerciali sotto l’egida della regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), il che porterà una “Brexit dura”. Trovare un accordo doganale permetterebbe di ridurre i costi di circa la metà per entrambi i blocchi, afferma lo studio.
 
Il Primo Ministro conservatore Theresa May ha tuttavia escluso qualsiasi forma di unione doganale una volta che la Brexit sarà effettiva, sostenendo che ciò impedirebbe al Regno Unito di negoziare i suoi propri accordi commerciali con potenze come l’India o la Cina.
 
La grande maggioranza (70%) dei costi supplementari generati in Gran Bretagna da una “Brexit dura” saranno suddivisi tra i servizi finanziari, i produttori di automobili, l’agricoltura, l’agroalimentare, i beni di consumi e le attività chimiche, sostiene lo studio. In particolare, i servizi finanziari soffrirebbero molto perché sarebbero costretti a implementare nuove operazioni per continuare a servire i loro clienti nella UE. Rappresentando oltre il 10% del PIL della Gran Bretagna, i servizi finanziari sono l’unico ambito i cui i britannici hanno un’eccedenza commerciale con la UE.

Nell’Unione Europea, il settore che subirebbe l’impatto più forte sarebbe l’automotive, seguito dall’agricoltura e dall’agroalimentare, sottolinea il rapporto.

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