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Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
27 feb 2019
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Tommy Hilfiger: un tour dietro le quinte del centro di innovazione per il denim di Amsterdam

Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
27 feb 2019

Per la primavera 2019, il denim Tommy Hilfiger si tinge di verde. Il marchio statunitense introduce per la prima volta nella sua offerta di jeans una collezione in denim al 100% riciclato, composta di una giacca e di numerosi pantaloni. Il marchio afferma di aver usato un filo fatto di plastica recuperata, dei bottoni delle stagioni passate inutilizzati ed etichette realizzate con carta riciclata. Un vero percorso ecologico per la firma americana, che aveva già intrapreso questa via, ma i cui jeans fino ad oggi potevano vantare solamente un 15% (con punte del 40%) di materie prime riciclate. La nuova collezione si presenta dunque come "rivoluzionaria" per il settore. Un orgoglio e un’affermazione notevoli per le squadre del "Denim Center", che ha sede ad Amsterdam, del gruppo PVH (proprietario di Tommy e Calvin Klein), che sono coloro che stanno dietro questi progressi.

La collezione Jeans al 100% riciclata - FNW


Il gruppo statunitense PVH sembra infatti aver puntato nettamente sulla tela blu di Genova. E lo vuole far sapere. In un settore del denim che vende ogni anno più di 2 miliardi di jeans, la società produce 15 milioni di pezzi. “Il denim rappresenta circa il 15% del nostro fatturato”, ha spiegato a FashionNetwork.com Daniel Grieder, boss di PVH Europa e CEO di Tommy Hilfiger. “Ma noi pensiamo di poter raggiungere il 25%”. Come? Puntando sull’innovazione. E ovviamente, per il gruppo innovazione deve fare rima con eco-responsabilità. La sfida è enorme, anche per un gruppo che realizza un fatturato di oltre 7 miliardi di dollari.
 
Nonostante gli sforzi delle aziende più avanzate nei campi della tessitura e della finitura, qualla del jeans resta un’industria molto inquinante. Tommy Hilfiger, soprattutto tramite Tommy Jeans, che vende già due milioni di prodotti in denim ogni anno, intende muoversi rapidamente al riguardo.

Mentre la nuova sede europea del gruppo, che accoglie 2.000 collaboratori, si impone all’occhio con i suoi tre grandi edifici, i suoi spazi collegati, la sua architettura o la sala d’analisi in tempo reale di tutti i dati del gruppo, questo centro di ricerca e sviluppo è molto più discreto.

All guida del centro per il denim c'è Nicolas Prophte, che lavora in collaborazione con una dozzina di fornitori del settore all'avanguardia - FNW


Concepito quattro anni fa, il centro, collocato in un palazzo dalla facciata anonima, è stato avviato a partire da due anni fa ed è coordinato dal francese Nicolas Prophte. La sua capacità è stata rafforzata nel giugno 2018 con l'aggiunta di un laboratorio per la finitura e i lavaggi intensivi. In totale, il gruppo ha investito più di un milione di euro nell’attrezzatura. Il sito ospita una quarantina di specialisti del denim i quali, per la maggior parte, sono cresciuti professionalmente all’interno dei subfornitori del settore, prima di fornire a Hilfiger la loro esperienza.
 
Con i principali attori a monte della filiera del denim che propongono i servizi dei loro centri di sviluppo, PVH ha scelto invece di investire nella propria unità. E più che un centro chiuso, gli attori del luogo lo considerano uno spazio di connessione. “Vogliamo attirare le idee, far sapere che ci troviamo là per testarle”, dicono i tecnici che lavorano sul posto. Questo “Denim Center” vuole rendere possibile il far emergere le innovazioni tecniche o creative di domani in relazione con una decina di partner industriali di tutto il mondo, coi designer e coi clienti. E così permettere al gruppo di avere un vantaggio sui suoi concorrenti.
 
In loco, PVH possiede abbastanza superficie per rafforzarsi. Grandi finestre rivelano i laboratori. I designer dei brand hanno accesso ad una libreria di 1.300 campioni registrati. Ma è soprattutto nell’atelier denim che il marchio concepisce i prodotti. Sulle pareti, troneggiano rotoli di fili multicolori e rotoloni di tela denim di diverse grammature.
 
Al centro, un grande tavolo da lavoro circondato da 17 macchine da cucire permette ai team di realizzare direttamente sul posto i prototipi. Una volta convalidate, le informazioni vengono inviate ai laboratori di produzione di tutto il mondo: tutto è digitalizzato. “Questo sistema ci permette di realizzare i prototipi in 48 ore, contro le 3-6 settimane precedenti”, si rallegra Daniel Grieder. Un notevole risparmio di tempo se si pensa che ogni stagione vengono concepiti cento nuovi modelli.

Il gruppo realizza i suoi prototipi sul posto - FNW


Il guadagno di di tempo e il risparmio di materie prime sono chiaramente al centro delle preoccupazioni dell’azienda. Nell’edificio vicino c’è il "Denim Lab". Le squadre in camice bianco sono occupate a lavorare su macchine il cui prezzo è spesso di diverse decine o anche di centinaia di migliaia di euro ciascuna. Il gruppo si è affidato a macchine laser dell'azienda Jeanologia e a lavatrici high-tech dell'italiana Tonello. La sfida? Usare meno acqua possibile, eliminare delle sostanze chimiche e accelerare i processi produttivi.
 
Con queste tecnologie, la confezione di un jeans, per la quale prima venivano usati 180 litri di acqua, può potenzialmente essere realizzata con 10 litri. Il Lab ha appena acquisito la nuova versione di una macchina per il trattamento dell'acqua che consente, rendendola chiara, di riutilizzare la stessa acqua per 40 giorni.

Concretamente, i team sviluppano le finiture laser che permettono di dare un aspetto invecchiato a un jeans in meno di 90 secondi, contro più di mezz'ora con i metodi tradizionali. I jeans passano anche all’interno di grandi macchine blu che eseguono lavaggi con ozono per ottenere l’usura desiderata; la tintura è anche realizzata grazie a macchine che utilizzano la tecnologia di nebulizzazione. Tutti i dati e i modelli sono digitalizzati.

Le macchine per il 'delavaggio' Tonello e per la finitura laser Jeanologia, permettono di sperimentare in loco diverse tecnologie - FNW


Da Amsterdam, questi elementi possono essere inviati ai subappaltatori. Invitati a equipaggiarsi con le stesse macchine avanzate, ma a livello industriale, questi partner devono essere in grado di passare a una fase di produzione rapida non appena viene visualizzato l’ordine di un modello. L'ambizione è di essere in grado di lavorare come allo specchio. All’interno del Lab spiegano che oggi il 60% degli stili sono realizzati con il ‘delavaggio’ laser.
 
Chiaramente, se l'approccio è più eco-responsabile, deve anche consentire ai marchi del gruppo di consegnare al mercato gli stili più richiesti il più rapidamente possibile. Soprattutto, PVH sembra aver ascoltato una critica mossa da molti anni dagli industriali della filiera: i designer e i buyer di denim dei brand non sono a conoscenza delle innovazioni e delle tecnologie disponibili.

Per realizzare i "baffi", il centro consente anche di effettuare test manuali - FNW


“I team creativi del gruppo, ma anche clienti come i grandi magazzini, vengono per frequentare seminari”, spiegano le squadre del Lab. “Gli facciamo realizzare tutti i passaggi della creazione di un jeans in due giorni. Così si fa passare un messaggio di qualità, innovazione ed eco-responsabilità al cliente finale. I team di Zalando e di El Corte Inglès sono già transitati per quella che il gruppo ha chiamato la "Denim Academy".
 
Il centro di Amsterdam è uno strumento di punta per il gruppo PVH. E costituisce anche un test. Nell’intento di avvicinarsi alle culle del consumo, il gruppo progetta di creare altri centri di questo tipo in Asia e in America. Potrebbe così operare con reattività secondo le tendenze locali e fornire questi mercati in tempi rapidi. Di fronte a colossi come Levi’s, che sta per approdare in Borsa e che ha pure lui inserito l'innovazione e l'eco-responsabilità sulla sua roadmap, o ancora Uniqlo, anch’esso proprietario di un centro di competenze nel denim in California, la strategia di PVH può rivelarsi vincente a medio termine.

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