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Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
26 ott 2020
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Secondo GlobalData, la strategia di Gap si rivela “inadeguata in Europa”

Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
26 ott 2020

Dopo che Gap ha previsto di cessare le attività di vendita diretta in Europa e nel Regno Unito, diversi analisti affermano che i problemi del marchio americano sono il risultato di scelte strategiche sbagliate.

Gap


Secondo GlobalData, l'azienda propone “linee di prodotto poco interessanti”, mentre la sua propensione ad abbattere i prezzi la rende “inadeguata nel mercato europeo”. Questa critica segue le notizie secondo le quali il rivenditore sta valutando la chiusura di tutti i propri negozi in Europa, e di una piattaforma logistica nel Regno Unito. Per Gemma Boothroyd, analista specializzata nel settore dell'abbigliamento presso GlobalData, ciò non è sorpendente, “data la sua offerta prodotti, che non le consente di differenziarsi, e la sua incapacità di capitalizzare la crescente domanda di abbigliamento casual”.
 
In effetti, le difficoltà di Gap sono apparse quando la sua offerta principale – proprio l’abbigliamento casual – è al centro di una tendenza sempre più dominante, soprattutto nel 2020. Gemma Boothroyd è chiara: “Anche se la richiesta di abbigliamento casual è stata molto elevata quest'anno, perché i consumatori europei hanno trascorso più tempo a casa, era già troppo tardi per Gap, che non è stato capace di sfruttare le proprie linee di prodotto: la sua reputazione era già troppo danneggiata da anni di gamme mediocri”.

Durante il lockdown, molti marchi europei e dettaglianti di e-commerce si sono rivolti al "casualwear", che ha permesso ad alcuni di mitigare la crisi vissuta in questi mesi dall'intero comparto moda. “Se, a livello globale, Gap è riuscito praticamente a raddoppiare il suo business nell’e-commerce (che ha rappresentato quasi il 50% delle sue vendite totali nel contesto della pandemia di Covid-19) questo successo non si è riflesso sull’Europa, dove le vendite totali del secondo trimestre, conclusosi ad agosto, sono diminuite del 47%”, ricorda Gemma Boothroyd.
 
L'analista rileva che i consumatori europei “non provano alcun senso di fedeltà patriottica al marchio” e che Gap ha perso la quota di mercato che una volta si era ritagliata in Europa. Con molti rivenditori di abiti formali o da sera che hanno sofferto di una bassa domanda per i loro prodotti, Gap avrebbe potuto avvantaggiarsi dei provvedimenti di lockdown e smart working per tutta la primavera e l'estate.
 
Ma secondo Gemma Boothroyd, i suoi rivali (come Uniqlo del gruppo Fast Retailing) hanno saputo sfruttare meglio questo particolare periodo, offrendo “capi facili e senza tempo, piuttosto che trend sul breve periodo”. “Uniqlo ha sperimentato una buona crescita, mantenendo un'offerta di prodotti chiara, semplice e attraente. Invece, Gap si è disperso in vari rivoli [stilistici] e, anche con promozioni ripetute e costanti sui suoi prodotti, non è riuscito a catturare l'interesse dei clienti europei”.
 
Del resto, la storia dell'industria della moda è piena di esempi di brand che non sono riusciti ad attraversare gli oceani. I marchi che hanno successo in un continente possono avere difficoltà in un altro: lo abbiamo visto in tempi relativamente recenti, quando il marchio britannico Topshop ha ridotto i suoi piani di espansione in Nord America, prima di abbandonare completamente le proprie ambizioni nella regione.
 
Il fallimento di Topshop potrebbe dunque ripetersi per Gap, ma in direzione contraria?

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