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4 apr 2019
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Roberto Cavalli: vittima o carnefice?

Pubblicato il
4 apr 2019

Roberto Cavalli: vittima o carnefice? Lo storico marchio del lusso non naviga certo in buone acque, e questo non aiuta a fare chiarezza sulle cause (e sui responsabili) dello stato di crisi in cui versa da anni. Inoltre, come succede spesso in questi frangenti, in cui sono coinvolti veri e propri pezzi da novanta, la verità è la prima ad essere sacrificata e la partigianeria finisce per prendere il sopravvento. Ripartiamo quindi dai numeri, terreno di scontro nelle ultime ore tra i sindacati e il presidente della Roberto Cavalli SpA, Emiliano Nitti.

@robertocavalli


La polemica verte sui 450 milioni di euro che Clessidra avrebbe pagato per acquisire la maggioranza del marchio fiorentino. In una nota divulgata lo scorso 2 aprile, le associazioni sindacali sostengono che tale cifra – emersa in occasione del tavolo di crisi sul gruppo del lusso tenutosi in Regione Toscana – sarebbe stata confermata dallo stesso Nitti, il quale avrebbe inoltre dichiarato che “dei 450 milioni, in realtà solo 15 sono serviti alla ricapitalizzazione della Roberto Cavalli SpA”.
 
Contattato da FashionNetwork.com, il presidente Nitti ha rivelato di essersi focalizzato, nel suo intervento, sulla “ricostruzione storica degli investimenti effettuati dagli azionisti, a partire dai circa 230 milioni di euro spesi per l’acquisto del 90% delle azioni dal fondatore dell’azienda nel 2015”.

Durante l’incontro, il presidente ha quindi “ricordato che la società, nel corso di questi anni, ha beneficiato per oltre 100 milioni dalla vendita di un immobile in Francia di proprietà del gruppo”. A cui vanno aggiunti “40 milioni derivanti dalla rinegoziazione di un importante contratto di licenza, risorse rimaste a disposizione della società”.
 
In questo contesto di ricostruzione storica va inserito anche il riferimento alle “due tranche di un aumento di capitale, pari a 15 milioni di euro, interamente sottoscritte dagli azionisti nella seconda parte del 2018”, prosegue Nitti.
 
Il presidente conclude smentendo di aver informato il tavolo “circa gli investimenti fatti per nuove aperture per il triennio 2016-18 e per iniziative di marketing per il biennio 2017-18”.
 
Ricapitolando: 230 milioni, e non 450, sarebbe stato il prezzo pagato da Clessidra per assumere il controllo della maggioranza di Cavalli. Inoltre, il disappunto dei sindacati, che accusano il fondo di non aver dedicato sufficienti risorse al rilancio del brand, condannandolo all’attuale stato di crisi, confligge con i ripetuti aumenti di capitale di cui è punteggiata la storia recente della Roberto Cavalli.
 
Ma non è tutto. Il mandato affidato a Rothschild per individuare un nuovo socio non deriverebbe da uno spietato desiderio di Clessidra di disinvestire in Cavalli, ma da regole statutarie interne comuni a tutti i fondi, che impongono, spiega una fonte vicina alla vicenda, “di non poter investire oltre una certa quota (circa il 20% del patrimonio del fondo) in una singola società. E Clessidra stessa, nella partita Cavalli, tra acquisto di quote, vari aumenti di capitale e investimenti in marketing e nuovi negozi, stava raggiungendo il limite”.
 
Il “tetto” avrebbe quindi impedito al fondo di sottoscrivere l’ennesimo aumento di capitale da 47 milioni di euro, presentato dalla società ai soci il 13 marzo 2019, dando il definitivo via libera alla richiesta di concordato presentata al tribunale di Milano. Strada resasi necessaria dal momento che la società continuava a registrare perdite e nessuna delle offerte di acquisto pervenute fino a quel momento (con in testa quelle di Bluestar Alliance, OTB e Philipp Plein) era risultata vincolante.

Paul Surridge al termine della sua sfilata d'esordio con l'uomo Cavalli a Firenze - © PixelFormula

 
Una manovra di salvataggio, quindi, e non di abbandono, quella attuata da Clessidra, che negli anni ha impiegato tutte le risorse a sua disposizione per risanare la situazione – passaggio di consegne tra due AD (Renato Semerari e Gian Giacomo Ferraris) e altrettanti direttori creativi (Peter Dundas e Paul Surridge) – senza tuttavia ottenere i risultati sperati.  
 
Quando entrò il fondo, la società già versava in stato di dissesto finanziario, con perdite, nel 2014, pari a 12,2 milioni di euro. Il ritorno all’utile nel 2015 – 32,8 milioni a livello consolidato grazie alla cessione dell’immobile parigino – è stato solo una dolce illusione, seguita da un 2016 e un 2017 in rosso, rispettivamente, per 54,6 milioni e 33,7 milioni.

È quindi evidente come la responsabilità di questa situazione non sia imputabile ad un unico soggetto. Le ragioni della crisi della Roberto Cavalli sono profonde, e andrebbero ricercate anche “oltre” Clessidra. Nella stessa società, ad esempio. Nella perdita di appeal delle sue collezioni, che negli anni ‘70-‘90 hanno riscosso un successo planetario grazie allo stile ben definito impresso al marchio dal suo fondatore, vero innovatore con il suo denim stampato, i broccati e la pelle a stampe animalier

Uno smarrimento stilistico, aggravato da un generale rallentamento del mercato del lusso, in primis in Russia, dove il marchio – particolarmente presente – ha registrato nel 2015 un significativo calo delle vendite. Infine, avrebbe inciso negativamente sul rilancio del brand anche una struttura aziendale troppo onerosa, rispetto ai nuovi livelli di fatturato (dai 210 milioni del 2014 ai 152 del 2017).

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