16 set 2020
Primo semestre nero per pelletteria (-43,2%) e calzaturiero italiani (-36,3%)
16 set 2020
A causa degli effetti della pandemia di coronavirus, la pelletteria italiana ha subito nei primi sei mesi del 2020 una forte battuta d’arresto, secondo i dati elaborati dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assopellettieri: il fatturato è crollato del -43,2%, con una perdita di 1,9 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo del 2019.

L’export è sceso del -30,6% in valore, a 3,57 miliardi di euro, tornando al livello di tre anni fa e interrompendo il trend di crescita degli ultimi anni. La flessione in quantità esportate è stata del -24,8% e il prezzo medio al kg è calato del -7,6%. Tutte le principali tipologie merceologiche hanno conosciuto flessioni rilevanti: le borse (che rappresentano il 65% del fatturato estero) hanno registrato cali del -26% in valore, le valigie del -30%, le cinture del -42% e la piccola pelletteria del -40%.
Analizzando le performance dal punto di vista geografico, a parte rarissime eccezioni come la Corea del Sud (+1,1%) e la Polonia (+6,8%), tutti i mercati hanno subito significative perdite. In valore, gli Stati Uniti sono scesi del -38%, la Svizzera (prima destinazione dell’export di pelletteria italiana con il suo ruolo di hub logistico di molte grandi griffe) del -40% circa, l’Unione Europea del -18%, la Francia del -9%. Belgio e Olanda registrano perdite di circa il -13%, la Germania (primo mercato in quantità) del -23%, la Spagna del -38% e l’Austria del -43,3%. Preoccupante anche la situazione dei Paesi extra-UE: il Far East registra un calo complessivo del -27,4% in valore, con Cina a -30%, Hong Kong a -47% e Giappone a -30%. Male anche Russia (-30,5%), Emirati Arabi (-39%) e Canada (-29%), mentre il Regno Unito, considerato post Brexit Paese extra UE, contiene la diminuzione al -13,4%.
In Italia, le vendite al dettaglio di pelletteria e calzature, riprese dopo il lockdown, presentano ancora andamenti insoddisfacenti: -35,1% a maggio e -12,8% a giugno, principalmente a causa del crollo del turismo, soprattutto per i prodotti di fascia alta.
Dopo il lockdown, la ripartenza è ancora lontana dall’arrivare: nel bimestre maggio/giugno l’export è calato del -35% in valore, le vendite al dettaglio del -24% e la produzione del -44%. Molti ordini sono stati annullati, sono cresciuti gli insoluti e 9 aziende su 10 hanno dovuto ricorrere agli ammortizzatori sociali.
Leggermente inferiori, ma comunque preoccupanti, le perdite subite dal comparto calzaturiero, che nei primi sei mesi dell’anno ha registrato un calo del -36,3% del fatturato e del -34,9% della produzione. L’export frena del -26,4% in quantità e del -25,4% in valore, attestandosi a 3,8 miliardi di euro, seppur con prezzi medi in debole aumento (+1,3%).
“L’emergenza sanitaria ha avuto pesanti ripercussioni sull’andamento del nostro comparto produttivo”, ha commentato Siro Badon, Presidente di Assocalzaturifici. Oltre alla contrazione nei valori produttivi e del fatturato, dobbiamo registrare una decisa flessione sul fronte dei consumi interni e dell’export. La spesa delle famiglie è scesa del -30%, nonostante l’impennata degli acquisti online (+42%) dovuta alla chiusura dei negozi durante il lockdown. Anche l’export non sorride: -22% in quantità i mercati dell’Unione Europea, dove sono dirette 2 calzature su 3 vendute all’estero, e -33,4% quelli extra-UE, con un saldo commerciale, seppur in attivo per 1,6 miliardi di euro, fortemente ridimensionato (-34%)”.
Cali generalizzati in tutti i mercati, con pochissime eccezioni (anche per le calzature, Polonia e Corea del Sud): la Germania, prima per volumi, perde il 17%, sia in quantità che in valore. Pesanti le flessioni dei flussi verso Cina e Hong Kong (rispettivamente -31,4% e -44,1%); il Far East perde nell’insieme circa il 30%, sia in quantità che valore. Sensibile arretramento sui mercati della CSI (-37% in volume e -30% in valore); male gli USA (cali prossimi al -40%) e il Medio Oriente (-26% in quantità). Si riducono di circa un quarto i volumi diretti verso la Svizzera e di un terzo quelli verso la Francia, ai primi due posti nella graduatoria per valore.
Anche tutte le principali regioni esportatrici hanno subito pesanti conseguenze, con la sola eccezione dell’Emilia Romagna (+20%), trainata da Piacenza, polo logistico distributivo in costante crescita negli ultimi anni. Le flessioni più marcate hanno riguardato la Toscana (-44%), le Marche (-32,5%) e la Campania (-34%); la Lombardia è scesa del -25,1%, il Veneto del -20,2%, la Puglia del -22,2% e il Piemonte del -20,9%.
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