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2 mar 2021
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Pil italiano giù dell'8,9% nel 2020

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Ansa
Pubblicato il
2 mar 2021

Il Pil cala dell'8,9% e fa un balzo all'indietro di 23 anni riportando il livello in volume a quello del 1997 quando a palazzo Chigi c'era Romano Prodi alla guida dell'Ulivo. La pandemia da Covid nel 2020 ha ridotto in modo significativo l'attività economica, i consumi e il lavoro mentre ha fatto crescere il deficit e il debito ma anche la pressione fiscale.

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Nel frattempo peggiora il fabbisogno nei primi due mesi 2021: si attesta a 14,1 miliardi, con un peggioramento di 15,5 miliardi rispetto al risultato registrato nel primo bimestre 2020. In particolare a febbraio pesano le minori entrate fiscali e anche, in maniera molto meno rilevante (circa 200 milioni), i rimborsi per il cashback.

Il prodotto interno lordo a prezzi di mercato nell'anno, secondo i dati provvisori diffusi dall'Istat - è stato pari a 1.651.595 milioni di euro correnti, con una caduta del 7,8% sul 2019. Ma se si guarda al volume si scende sotto i 1.600 miliardi (a 1.572) con un calo dell'8,9% (1250 miliardi in meno), leggermente migliore della previsione del Governo, ma peggiore delle prime stime Istat.

Nell'anno, a causa dell'emergenza Covid, della caduta delle entrate e dell'aumento delle spese per fronteggiare la crisi economica e sanitaria, l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche in rapporto al Pil è stato pari al -9,5% a fronte del -1,6% del 2019. Il debito ha raggiunto la cifra monstre di 2,569.258 miliardi, pari al 155,6% del Pil (dal 134,6% del 2019) e il dato peggiore dal primo dopoguerra. Per il deficit al 9,5% il dato è il peggiore dal 1995, inizio delle serie storiche.

Si riduce l'occupazione in termini di Ula (unità di lavoro equivalenti a tempo pieno), guardando quindi alle ore di lavoro effettivamente prestate e il totale dei redditi da lavoro dipendente. Le Ula sono diminuite nel 2020 del 10,3% rispetto al 2019 perché risentono del massiccio utilizzo della cassa integrazione e del calo dell'attività per quanto riguarda il lavoro indipendente. In pratica nell'anno si è perso il lavoro di oltre il 10% degli occupati anche se l'occupazione si è ridotta molto meno grazie al blocco dei licenziamenti e gli altri interventi di sostegno messi in campo dal Governo.

I redditi da lavoro dipendente (retribuzioni lorde più contributi sociali) sono diminuiti nell'anno del 6,9% passando da 719,9 miliardi a 670,5 miliardi. Le retribuzioni per Ula sono invece cresciute del 2%.

Nell'anno è aumentata la pressione fiscale e si sono ridotti i consumi delle famiglie, soprattutto per alberghi e ristoranti e per l'abbigliamento, settori colpiti direttamente dall'emergenza Covid con il lockdown, la riduzione dell'attività a causa delle restrizioni per ridurre il contagio e lo smart working.

La pressione fiscale complessiva è cresciuta dal 42,4% del 2019 al 43,1% del 2020, dato questo legato alla minore flessione delle entrate fiscali e contributive (-6,4%) rispetto a quella del Pil a prezzi correnti (-7,8%). Per i consumi delle famiglie in generale l'Istat registra un calo complessivo del 10,7% risultato di una caduta del 6,4% per i beni e del 16,4% per i servizi.

I settori che hanno sofferto di più a causa della pandemia sono stati alberghi e ristoranti con un calo del 40,5%, i trasporti (-24,7%), ricreazione e cultura (-22,5%) e vestiario e calzature (-20,9%).

L'Istat ha diffuso anche i dati provvisori sui prezzi al consumo di febbraio con il secondo aumento consecutivo tendenziale. Nel mese si è registrato un aumento congiunturale dello 0,1% e una crescita tendenziale dello 0,6%. L'inflazione acquisita per il 2021 è allo 0,7%. Rallenta il carrello della spesa (i prezzi dei beni alimentari e quelli per la cura della casa e della persona) a +0,3% (dal +0,4% tendenziale di gennaio). L'incremento congiunturale dei prezzi è dovuto prevalentemente alla crescita dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (+1,4% su gennaio).

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