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Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
6 apr 2023
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Passaporto digitale dei prodotti: quale potenziale per la moda e il lusso?

Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
6 apr 2023

La Commissione Europea sta attualmente portando avanti un progetto di passaporto digitale dei prodotti (o “Digital Product Passport”, DPP). Il suo obiettivo è quello di poter controllare il rispetto delle regole di progettazione ecocompatibile associando al documento digitale l'origine e i dati di produzione dell’articolo. Uno strumento che potrebbe prendere la direzione della blockchain, ovvero dei database decentralizzati che aprono la strada a un futuro sfruttamento commerciale e di marketing del passaporto da parte dei brand.

Il DPP deve consentire l'accesso ai dati di produzione e sostenibilità di un prodotto, destinati sia alle autorità di controllo che ai consumatori - Shutterstock


Il progetto DPP è stato svelato il 30 marzo 2022, per un accesso obbligatorio ai dati previsto, per il momento, nel 2026. Ma il Digital Product Passport avrà probabilmente un'interpretazione minimale, che sarà un po' costosa e poco produttiva per il marchi stessi, spiega a FashionNetwork.com Joël Hazan, vicedirettore di Boston Consulting Group (BCG). Per lui, se la versione minimalista del progetto si baserà sui dati di fabbricazione e riciclabilità, il DPP aprirà altre strade.

“È infatti un obbligo che apre un'opportunità”, per lo specialista della materia. “Non appena si deve creare questo obbligo in modo digitale, che può essere messo a disposizione di tutti, la domanda è se non si possa fare di più. La questione per i marchi è se possono sviluppare un'intera politica di servizi attorno a tali identificatori”.

Per Jöel Hazan, coautore di un report dedicato, pubblicato a gennaio con la blockchain Arianee, sono interessati tutti i settori dove c'è una seconda vita o riciclabilità dei prodotti, dalle automobili all'abbigliamento. Ma, nella moda e nel lusso è sul mercato del secondhand che il DPP potrebbe generare la maggior attività.

“Un prodotto che verrebbe associato a un “token”, il suo gemello digitale, potrebbe ad esempio, se lo decido, essere visibile su una piattaforma”, spiega l'esperto, che fa l'esempio di un paio di sneaker. “Su questa piattaforma le persone potrebbero allora farmi delle offerte che attraggano il mio interesse, anche se non pensavo necessariamente di vendere. Questo sta già accadendo con alcuni NFT e può creare moltissime offerte”.

Quali tipi di sistemi per quali problemi?

Per il BCG, tre percorsi sono ora compatibili con il Digital Product Passport. Primo fra tutte quello della gestione centralizzata dei dati, dove le informazioni relative al prodotto verrebbero archiviate in uno o più database gestiti da terzi. Problema: solo questa terza parte avrebbe il diritto di accesso e modifica a tai dati.

Gli altri due percorsi si basano su un passaporto convalidato da una blockchain. Un sistema che, attraverso l'archiviazione decentralizzata, ha il vantaggio di offrire una maggiore sicurezza, in quanto un singolo utente o gestore non può alterare i dati. Anche in questo caso è rintracciabile ogni modifica dei dati.

In questi percorsi aperti dalla blockchain, due possibilità sono a disposizione del DPP. Innanzitutto, quella in cui un utente si identifichi come proprietario di una parte fisica di un database digitale gestito da un marchio o da un fornitore di servizi. Una blockchain privata, o condivisa con un consorzio, il cui rappresentante di spicco è attualmente la blockchain Aura avviata dal gruppo LVMH. Un primo tipo di approccio alla blockchain che però è limitato, a causa del suo ecosistema chiuso, giudica il BCG. 
 
“L'interoperabilità nativa fornita dalle blockchain pubbliche è la chiave per lo sviluppo di servizi futuri nel tempo”, spiega Joël Hazan, sottolineando che l'Europa inquadrerà molte cose, ma non ha necessariamente i mezzi per realizzarla. “Le blockchain private sono state originariamente create per ottimizzare i processi interni. Dal giorno in cui ci si vorrà muovere verso i rapporti con i clienti, le blockchain private saranno morte”.
 
Un'altra possibile strada è allora la “tokenizzazione” del DPP. Il passaporto digitale questa volta verrebbe archiviato su una blockchain pubblica e potrebbe essere controllato in modo sicuro tramite diritti di accesso crittografati. Un approccio che consentirebbe ai marchi di tenere d'occhio i propri clienti, ma anche di sfruttare un ecosistema aperto in cui potrebbero emergere funzionalità future. Un punto temuto da molti brand, che temono di vedere altre strutture prosperare sui dati relativi ai propri clienti.

Marchi sempre più consapevoli

Il progetto del DPP dovrebbe, qualunque cosa accada, rafforzare l'interesse dei marchi per la blockchain. Un interesse che era già decollato con la corsa lanciata da Facebook sul metaverso. Ma mentre, nella pratica, questi strumenti sono ancora solo marginalmente adottati dai consumatori, i marchi ora adotterebbero un approccio più ragionato a questi temi, e applicazioni concrete, per Joël Hazan.

Shutterstock


“Nell'orologeria, ci chiediamo da anni come i marchi possano perdere così tanto valore nel mercato dell’usato. Tuttavia, vediamo Rolex e Audemars Piguet lanciare certificazioni di seconda mano e la blockchain sta aiutando a dare garanzie di sicurezza a tali rivendite”, spiega l'esperto.
 
La blockchain, offrendo una conoscenza ancora più precisa dei clienti e dei loro acquisti, può anche sfruttare leve di marketing per fidelizzare i clienti o generare nuove vendite. “Tutti i marchi che non hanno un rapporto diretto con il cliente hanno tutto l'interesse a utilizzare il DPP per comunicare con lui", afferma Joël Hazan. “Non saranno più i rivenditori ad avere tutti i dati dei clienti”.

È difficile non fare un collegamento con la rivoluzione che venne generata dalla comparsa dei social network. Alla loro nascita, i brand, soprattutto quelli del lusso, li evitavano ben volentieri. Oggi molti di loro dipendono da questi generatori di pubblico, sostiene il manager di BCG. Il quale sottolinea che la blockchain non pone questo rischio di dipendenza. “C'è il rischio che non diventi uno standard tecnologico o che il decentramento dei dati non si presti a tutti gli aspetti del business”.

Resta la questione della praticità. C’è bisogno di un “wallet” (portafoglio online) per conservare NFT e criptovalute. Chi ha provato quest’esperienza negli ultimi anni può testimoniare l'ergonomia aleatoria e la praticità tutta relativa delle interfacce offerte. “Tutto questo è finito”, afferma però Joël Hazan, per il quale i consumatori non scenderanno a compromessi sulla facilità d'uso, che deve essere fluida e semplice come su qualsiasi portale online.

Fino a quando non sapremo cosa germoglierà dal DPP, la sua stessa forma rimane sconosciuta. Bruxelles è infatti alla ricerca di un dispositivo che resti accessibile alle PMI. Da qui un progetto ancora vago, in cui i passaporti dei prodotti potrebbero non essere nemmeno realizzati articolo per articolo, ma per lotti di articoli identici. Limitando così uno sfruttamento più ampio del suddetto dispositivo.

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