Orsola de Castro: “Il greenwashing è un linguaggio di marketing che nega la conoscenza”
Nove anni dopo aver co-fondato il movimento Fashion Revolution, Orsola de Castro fa un passo indietro per dedicarsi a un nuovo progetto. In occasione del concorso ITS per giovani stilisti, che si è appena concluso a Trieste e di cui è stata membro della giuria, la designer attivista per l’ambiente, pioniera dell'upcycling, fa il punto su moda e sostenibilità e parla con FashionNetwork.com della sua iniziativa Esthetica.
FashionNetwork.com: Come vede evolversi i giovani designer?
Orsola de Castro: Le nuove generazioni di designer hanno un modo di pensare molto diverso rispetto all'industria della moda, nella quale una serie di criteri non funzionano più. A cominciare dalla sua mentalità legata alla velocità. I giovani creatori di moda non vogliono più essere sfruttati dal settore, vale a dire lavorare senza orario ed essere pagati pochissimo. Allo stesso modo, non sono più attratti dalle grandi maison, ma sempre più da progetti su piccola scala o artigianali. Il mito del luccicante mondo della moda si sta sgretolando.
FNW: Cosa sta cambiando nella creazione?
ODC: C'è più ricerca. Si parla maggiormente di upcycling e community, oltre che di filiera ecosostenibile. Ma tutto questo non viene trattato in modo approfondito e resta alla superficie. I giovani designer non sono realmente aiutati da un'industria dove tutto va a ritmi velocissimi e dove gli scarti non vengono presi in considerazione né valorizzati. Gi stilisti giovani non sono supportati dal settore, soprattutto nella parte legata all’innovazione, senza contare che i materiali sostenibili sono molto costosi e poco accessibili. Difficile quindi vedere concretizzate sul mercato queste nuove creazioni.
FNW: Qual è la sua visione sugli impegni ecologici del settore?
ODC: Se il comparto della moda avesse investito nel recupero quanto ha investito nel riciclaggio chimico, oggi avremmo un'industria in grado di affrontare il drammatico problema degli scarti tessili, che ha generato immense discariche tossiche, come quelle nel deserto di Atacama in Cile o in Ghana.
FNW: Perché il riciclaggio chimico non funziona, secondo lei?
ODC: Il processo consiste nel riportare la fibra ad essere fibra. Tuttavia, creare una fibra dalle fibre dei vestiti usati è impossibile, dato che il 70% dei nostri vestiti è realizzato con fibre miste. Il riciclaggio è un mito! Invece, il riutilizzo di un indumento usato e l'upcycling non hanno bisogno di chimica. È un processo molto più pulito e una delle pochissime soluzioni che abbiamo per rallentare l'inquinamento tessile. La Generazione Z lo fa istintivamente. Acquistano capi che rivendono una volta usati, spesso personalizzandoli.
FNW: Cosa pensa del greenwashing?
ODC: Il greenwashing costituisce un grossissimo problema. È un linguaggio di marketing, che nega la conoscenza. Dovrebbero esserci corsi specifici sul greenwashing nelle scuole. Sfortunatamente, nel nostro mondo della super velocità, le persone non hanno voglia di informarsi. L'unico consiglio che posso dare è di invitare le persone a leggere tra le righe, a pensare fidandosi del proprio istinto. Ad esempio, quelle materie plastiche che ci vengono presentate come ecologiche non possono essere ecosostenibili...
FNW: Quali sono i suoi nuovi progetti?
ODC: Dopo nove anni di lotta politica con il movimento Fashion Revolution, che ho co-fondato con Carry Somers, ho fatto un passo indietro. Ho urlato abbastanza. Sono anche stata molto ascoltata, ma ora devo essere più concreta, dedicandomi completamente a un'industria che non esiste attorno ai giovani designer che vogliono adottare un nuovo approccio. Così ho rilanciato Esthetica, che avevo creato nel 2006 e che è stato il primo spazio ecosostenibile all'interno della London Fashion Week. Ho appena debuttato alla settimana della moda di Berlino, mostrandovi il lavoro di quattro designer tedeschi e due ucraini. Sarò anche al Festival di Hyères per occuparmi del premio eco-responsabile promosso da Mercedes-Benz.
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