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24 gen 2016
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Milano Unica e il tessile italiano investono su New York

Pubblicato il
24 gen 2016

La ciclicità dell’industria dell’abbigliamento è soggetta a variabili nazionali e internazionali, come le crisi economico-finanziarie dei Paesi, i tassi di interesse, il conseguente livello di spesa procapite, i sentimenti di fiducia o sfiducia del consumatore, ecc. L’influsso di queste variabili è forte sull’andamento dell’industria e delle esportazioni per i settori a forte vocazione internazionale, come quello tessile italiano.

Anche il Gruppo Oltolina, di Asso (CO), col suo brand Borgomaneri 1862, a MU NY


“Si tratta di cambiamenti macroeconomici e geopolitici più grandi di noi, ma il nostro sistema tessile, seppur con le sue difficoltà, parte comunque in vantaggio, perché possiede un’etichetta il cui valore è riconosciuto in tutto il mondo: il Made in Italy", sottolinea Maurizio Forte, direttore ICE New York e coordinatore Uffici ICE rete USA.

Questa considerazione strategica di funzionari governativi e imprenditori tessili italiani è confortata da diversi studi internazionali. In uno in particolare, ricorda Sistema Moda Italia, chiamato “How the global urban landscape will look in 2030”, di Oxford Economics, è previsto il comparire di molti cambiamenti nel mondo urbano, diversi da città a città.

La produzione globale della Cina surclasserà nel breve periodo l’aggregato della produzione europea e statunitense, tuttavia il PIL procapite cinese delle grandi città impiegherà molto più tempo a eguagliare quello delle metropoli dei Paesi a economia avanzata, tanto che un cittadino di Pechino impiegherà circa 24 anni per raggiungere livelli di PIL comparabili a quelli di un newyorchese oggi.

Il PIL di New York è quello che crescerà di più nel mondo entro il 2030. Lo studio include nel ranking globale prevalentemente città statunitensi e aree metropolitane annesse (12 su 50), e città cinesi.

Già oggi, New York City e Los Angeles sono i due fashion hubs più grandi degli Stati Uniti e tra i più importanti al mondo. Ma altre città, come San Francisco, Nashville, Columbus, Seattle e Dallas, si stanno rafforzando in tal senso. Il numero dei fashion designer negli USA è di 17.000, cresciuto di oltre il 50% negli ultimi 10 anni: 900 di essi hanno il quartier generale nella Grande Mela. Solo a NY, la moda di alta gamma produce un giro di affari di 98 miliardi di dollari.

"Il gusto e la competenza di un’economia esperta in fatto di moda spiega perché le griffe, i più importanti department store, le attività di new business, debbano difendere la qualità dei semilavorati, fatta di tradizione, innovazione e attenzione alla sostenibilità, asset offerti dall’industria tessile italiana. E spiega anche perché l’export tessile nazionale verso gli USA risulta positivo del 17,2% nel 2015", commenta il Direttore Generale di Milano Unica, Massimo Mosiello.

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