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Pubblicato il
9 lug 2013
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Menniti: "Facciamo qualcosa perchè l’Italia non resti una bella conchiglia su una spiaggia deserta"

Pubblicato il
9 lug 2013

Dopo la cessione dell'80% di Loro Piana al colosso francese LVMH, Domenico Menniti, Presidente e Amministratore Delegato del marchio napoletano Harmont & Blaine, parla a tutto campo della vicenda e dell'attuale situazione economico-politica italiana, poco rosea per il comparto. "Quanto sta avvenendo ormai da anni altro non è che la logica conclusione dell’assenza di una seria politica di sviluppo industriale dell’Italia".

Domenico Menniti dirige il marchio del Bassotto


Questo ennesimo acquisto di una prestigiosa ed eccellente azienda italiana da parte di un gruppo straniero, per di più inattesa, e quindi piombata come un fulmine a ciel sereno nell'ambiente, ha scosso gli animi di tanti dirigenti di aziende italiane, tra i quali lo stesso Menniti, che ha voluto condividere con FashionMag le sue considerazioni sulla vicenda e le sue impressioni più ad ampio raggio sulla situazione italiana in generale.

"Per decenni l’attenzione della classe dirigente di questo Paese si è concentrata (male) sulla meccanica pesante, sulle autostrade mai completate, sul cemento. Tutto con grande miopia, con una visione medievale, con un respiro corto. C'è chi pensa che se le banche si fossero mosse per far nascere due o tre grandi gruppi del lusso, oggi Loro Piana sarebbe ancora in mani italiane. Purtroppo con i 'se' e con i 'ma' non si riscrive la storia. Abbiamo per anni detto che, nei nostri viaggi all’estero, avvertivamo forte l'assenza del nostro Paese, mentre francesi, tedeschi ed americani godevano del supporto forte e deciso dei loro governi", ricorda Menniti.

Pier Luigi Loro Piana dirige l'azienda di famiglia con suo fratello Sergio


L'AD ha portato ad esempio la sua esperienza di sviluppo sul mercato ciense, ove la prima boutique a marchio del bassotto è stata inaugurata nel 2004, a Guangzhou. "I partner cinesi di allora ci chiesero la presenza delle autorità italiane (volutamente scritto con la minuscola) che, impegnate in altre attività, non ci concessero il benché minimo supporto. Va bene, ci dicemmo, siamo una piccola azienda che parte per un'impresa impossibile, 14 milioni di fatturato, così deve andare. Ne avevamo aperte 12 di boutique in Cina, saremmo dovuti arrivare a 30 entro questo anno. Le abbiamo invece chiuse tutte a febbraio 2012, unitamente alla chiusura del desk per l'assistenza alle aziende italiane in Cina per la protezione dei marchi!", precisa l'AD, ricordando che oggi Harmont & Blaine, testardamente attestata nel Mezzogiorno d’Italia, con un competitor internazionale che fattura 6 miliardi di dollari statunitensi, ha raggiunto quasi i 100 di milioni di euro di fatturato, una presenza in quattro continenti e 500 dipendenti diretti. "Come potremmo noi non comprendere il travaglio dei fratelli Loro Piana nell’assumere la più difficile ed irreversibile decisione della storia centenaria dell’azienda. Resistere portando avanti la bandiera della Italianità totale o trovare alleanze per garantire la continuità del brand, il rafforzamento dell’azienda ed una migliore capacità di penetrare i mercati mondiali?".

Bernard Arnault dirige il colosso del lusso Louis Vuitton Moët Hennessy (Foto: AFP)


"L’Italia non offre e non potrà più offrire alternative che non è stata capace di costruire negli ultimi 25 anni del secolo scorso. Si è perso troppo tempo ed il tempo non è una variabile indipendente", osserva il Presidente di H&B. "Colpa degli imprenditori, colpa delle banche, colpa della politica? A che servono queste sterili discussioni quando, di fronte allo sfacelo delle istituzioni, all'assenza della politica, si continua ad assistere agli sprint di questo o quel ministro per ottenere uno strillo in prima pagina su ipotesi che vengono ritirate il giorno dopo? Imu, Tares, Tarsu mentre il mondo corre veloce, mentre quelle nazioni che noi chiamiamo ancora emergenti sono emerse da un pezzo e sono diventate protagoniste sul palcoscenico del mondo", rileva sconsolato.

"Forse la sicurezza che ci hanno dato le nostre bellezze naturali, il patrimonio artistico più importante del mondo, ci hanno cullato nella certezza che tutto si sarebbe risistemato, che le nostre inefficienze sarebbero state compensate da altri valori che solo noi italiani possedevamo. No, non è cosi. Lo shopping continua, la produzione resterà forse in Italia, ma altrove andrà il valore aggiunto, quello che genera capacità di comunicazione e di investimento. Facciamo qualcosa, tutti assieme, se non vogliamo che l’Italia resti un guscio vuoto, una bella conchiglia su una spiaggia deserta!".

Parole che fanno riflettere e che hanno davvero un fondamento, soprattutto quando si pensa che nel solo comparto della moda e del lusso, una delle eccellenze del nostro Paese, abbiamo "perso" negli ultimi anni un grande numero di aziende e griffe storiche, acquisite da stranieri. Solo il miliardario Bernard Arnault, patron del colosso francese LVMH, ha arricchito il suo portafoglio con quelli che erano alcuni dei nostri fiori all'occhiello: dopo Fendi, Emilio Pucci, Olga Berluti, Acqua di Parma, nel 2011 ha fatto sua anche la nostra storica gioiellieria romana, Bulgari, e a giugno 2013 ha ripreso la pasticceria Cova della strada più chic di Milano, via Montenapoleone.

Ma, in questa "conquista d'Italia", Arnault non è - purtroppo - solo: François-Henri Pinault segue infatti da vicino le mosse del suo principale concorrente. Il gruppo da lui guidato, Kering (ex PPR), ha fatto molto parlare di sé negli ultimi mesi, dopo le acquisizioni della fiorentina Richard Ginori e della gioielleria Pomellato, che sono andate ad aggiungersi alla lista di altre eccellenze italiane già in mano di Pinault da anni: Gucci, Bottega Veneta, Sergio Rossi e Brioni. A luglio del 2012 arrivava invece la notizia che il Valentino Fashion Group (Vfg, che comprende la griffe omonima e la licenza per il marchio M Missoni) passava alla Mayhoola for Investment, società del Qatar riconducibile allo sceicco Hamad bin Kahlifa al Thani, Emiro e padrone assoluto del Paese, uno dei più ricchi e stabili dell'Opec.

Un quadro che ben giustifica le parole del dott. Domenico Menniti, portavoce in quest'occasione di pensieri che sono ampiamente condivisi nel nostro Paese. Un Paese che è effettivamente una perla e che, non dimentichiamolo, nella moda e nel lusso vanta ancora brillanti nomi interamente di proprietà. Da Ferragamo ad Armani, da Versace a Prada, da Zegna a Cucinelli, da Roberto Cavalli a Dolce & Gabbana, per non citarne che alcuni... Riusciremo a tenerceli stretti?

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