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29 mag 2023
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Maria Grazia Chiuri: “La moda condivida il benessere che può creare! I savoir-faire ci connettono tutti”

Pubblicato il
29 mag 2023

Giornata sulla cultura della sostenibilità e della moda quella del 29 maggio a Venezia nell’ambito dell’iniziativa “Tempi responsabili–Responsible Times”, prima di quattro giornate di studio e lavoro tra sistema e accademia organizzate dall’università IUAV, realizzata nell’ambito di un progetto di ricerca con l’azienda tessile pratese Manteco, leader nei tessuti in lana riciclata.

Da sinistra, Karishma Swali, Maria Grazia Chiuri e Maria Luisa Frisa, quest'ultima professoressa ordinaria all'Università IUAV di Venezia - G.B. - FashionNetwork.com


La serie di giornate di studio e di lavoro si inserisce nel più ampio orizzonte delle ricerche condotte dal gruppo di lavoro che allo IUAV è impegnato nell’indagare la cultura del progetto di moda in Italia, che si manifesta in una commistione virtuosa tra la dimensione artigianale e quella industriale, gli archivi che innescano nuovi processi creativi, le culture progettuali e le strategie culturali proprie di questo campo di studi, con particolare attenzione rivolta alla sostenibilità e alle relazioni tra moda e transizione ecologica. I prossimi appuntamenti si svolgeranno a partire dall'autunno 2023. Gli esiti confluiranno in una pubblicazione bilingue (inglese e italiano) edita da Marsilio nel 2024 con distribuzione internazionale.
 
La conversazione che ha aperto i lavori, inclusa nel calendario di appuntamenti dell'edizione 2023 del Festival dello Sviluppo Sostenibile, ha avuto come protagoniste Maria Grazia Chiuri, dal 2016 direttrice creativa di Dior (prima donna nella storia di questo brand) e Karishma Swali, Managing e Creative Director della Chanakya School of Craft, scuola di ricamo a Mumbai con la quale Chiuri collabora attivamente.

“Ho cominciato a lavorare con Chanakya sin dagli anni Novanta, quando il mondo del ricamo non era ancora così affermato come oggi. Nei ‘magnifici’ anni Ottanta il ricamo era visto come qualcosa di vecchio, molto vecchio. Per chi studiava moda non era quello il riferimento in quel periodo storico. Erano rimaste poche le realtà che producevano ricami sul territorio italiano ed erano legate soprattutto a collaborazioni con l’alta moda. Il ricamo era considerato una tecnica molto più ’francese’”, ha raccontato Chiuri, impegnata ultimamente in una sorta di giro del mondo nei ‘Sud’ del pianeta, dopo gli acclamati défilé organizzati in India, a marzo a Mumbai, per la Cruise Collection 2023, e in Messico, a maggio a Città del Messico, per la Cruise Collection 2024.
 
Come ha fatto Dior a contattare i partner locali a monte con cui collaborare per queste sfilate, viene chiesto a Chiuri? “Intanto stabiliamo contatti con persone che conoscono molto bene il territorio. All’interno del mio ufficio stile c’è un bureau culturale che prepara il terreno, poi però io vado di persona più volte a vedere come sono i laboratori, come vengono gestiti, per comprendere quali siano le realtà locali con cui poter collaborare. Un lavoro di mesi, un’indagine sul campo a più riprese”.
 
La designer ringrazia per questo suo approccio “la grande scuola rappresentata dalla famiglia Fendi, un’azienda familiare al femminile che esplorò il territorio del realizzare borse e scarpe ricamate. La signora Fendi prendeva il trenino personalmente e andava a visitare le aziende che realizzavano le borse del suo marchio. Quando sono andata via da Fendi, c’erano 26 realtà che collaboravano con l’azienda solo per le borse, quindi senza contare i laboratori di ricamo, quelli che producevano gli elementi in metallo degli accessori, e così via”, dice Chiuri. “In tempi come quelli di allora, quasi ‘magici’, non c’era la distanza di oggi, bensì un rapporto personale. Erano tutte aziende familiari e si creava un contatto umano continuo”. 

Christian Dior, Cruise Collection 2024 a Città del Messico - DIOR


Fondata dal padre di Karishma Swali nel 1982, l’azienda Chanakya è unica nel suo genere per il proprio archivio straordinario, composto sia da pezzi storici che da tutti i campioni che produce. “L’intento di mio padre era diffondere e condividere nel mondo l’heritage del fatto a mano indiano. Iniziò con 22 artigiani-maestri esperti, di cui lui stesso faceva parte. Oggi ne abbiamo 3.000 e realizziamo tutti i tipi di lavorazioni tipiche del nostro Paese”, spiega Swali in un ottimo italiano. “Fu proprio Maria Grazia Chiuri il mio primo incontro in Italia ed è stata parte importante del nostro progetto più recente, venuto dopo la fabbrica, ovvero la scuola di artigianato”.
 
Swali si rese conto che molte artigianalità stavano sempre più scomparendo. Inoltre, sebbene in India l’industria legata al tessile-abbigliamento sia la seconda del Paese, le competenze artigianali vengono sempre tramandate solo in famiglia, dal padre.  
 
“Quando Maria Grazia è venuta nella nostra fabbrica in India è stata lei a dire ’Ma qui lavorano solo uomini!’, perciò insieme abbiamo deciso di fondare la scuola, poi nata nel 2016”, racconta Kharisma Swali. “All’inizio credevamo che creare un centro che puntasse ad essere un’eccellenza mondiale e a far lavorare donne fino a quel momento escluse dalla manifattura fosse entusiasmante. Invece nei primi 6 mesi non veniva nessuno, per colpa di resistenze culturali. A quel punto anche noi abbiamo cominciato a proporci, andando a spiegare negli slum locali le potenzialità del progetto. Dopo alcuni mesi sono venute 30 donne, accompagnate da marito e/o suocera per capire se valesse la pena di partecipare al progetto”. Spesso quelle stesse suocere hanno voluto anch’esse entrare a fare parte della Chanakya School of Craft. “L’intento era di introdurre le donne al ricamo, ma anche di consentirne un’interpretazione personale. Oggi siamo un centro creativo dotato di un ufficio che tenta continuamente di rinnovarsi evolvendo le tecniche della tradizione”.
 
“La verità è che c’è molto di personale in questo progetto, per la condivisione dei medesimi valori con Karishma e perché ho voluto rimettere il ricamo (che fa parte di una delle prime attività creative umane) all’interno di un sistema e rivalorizzarlo”, puntualizza poi Maria Grazia Chiuri. “Del resto la mia regione d’origine, la Puglia, viene da una grandissima tradizione proprio del ricamo. Essendomi formata negli anni ’80, in cui il ricamo veniva stigmatizzato come meramente decorativo, declassato nelle scuole di moda con un’accezione sempre negativa, da sempre avevo in mente di riscattarlo. Perché il ricamo fa parte della storia dell’umanità. Rappresenta una cultura condivisa che fa parte della vita delle donne nella storia. Ha un valore molto più politico di quanto la moda abbia mai pensato. Poi ha un significato identitario. Nella zona in India che abbiamo visitato c’è un riconoscimento da parte della comunità del valore di quanto si fa coi ricami. La Chanakya School of Craft, anche grazie a libri con immagini fotografiche dettagliate, e non solo alla condivisione con gli altri, ha finalmente consentito la trasmissione allargata di questo sapere”, assicura la designer.
 
“Il ricamo, il fatto a mano, è un modo per esprimersi, ma soprattutto per noi rappresenta la ricerca di un allineamento con se stessi”, aggiunge Karishma Swali. “Essendo inserito così tanto nella cultura indiana e nella sua vita comunitaria, non è visto come qualcosa di decorativo, ma come un incontro di cultura. Oggi poi abbiamo integrato il mondo del fatto a mano con le nuove tecnologie, in quanto ci siamo dotati di un ERP (Enterprise Resource Planning o pianificazione delle risorse d’impresa) che consente di esaminare tutti i processi aziendali in tempo reale”.

Dior - Cruise Collection - Autunno 2023 - Mumbai - FashionNetwork.com


“La loro azienda ha saputo mantenere l’aspetto totalmente manuale e di artigianalità, ma lo ha integrato con un aspetto tecnologico che ha consentito loro di lavorare anche con grandi brand”, ha detto Chiuri. “Sanno ottenere un’uniformità di prodotto che per un qualcosa di realizzato a mano è incredibile, e solitamente si ottiene solo con le macchine”.

“Dior mi lascia molto libera, ma io a Parigi sono stata vista come molto anomala, non crediate”, ha proseguito Chiuri, tornando a riferirsi ai suoi ultimi défilé. “Nell’ultimo viaggio per la sfilata di Mumbai, i dirigenti di Dior erano molto sorpresi, perché l’India viene vista come un posto dove andare a produrre a basso costo. In realtà ha anche molte eccellenze”.
 
La designer 59enne in un caso si è messa in contatto con laboratori locali usando direttamente il lavoro che già facevano, senza commissionare loro dei pezzi esclusivi per Dior, mentre ad altre comunità locali ha chiesto di integrare i loro ricami con un abbigliamento contemporaneo e di reinterpretare articoli iconici del brand francese, come la “Bar Jacket”.
 
Non bisogna dimenticare che anche dalla parte degli artigiani di quei luoghi la stilista ha trovato delle resistenze. “In Messico, ad esempio, sono più indietro, perché da loro non esiste il concetto del cartamodello”, spiega la stilista. “Tutte queste realtà danno per scontato ciò che sanno fare, per cui non riescono a vederlo con gli occhi degli altri e quindi anche le potenzialità ulteriori che questo savoir-faire può portare con sé a livello creativo. Se lo vedono solo come un qualcosa di esecutivo e non creativo, loro per primi non ne colgono appieno il valore. Invece il savoir-faire ci connette davvero tutti, invece che dividere”.
 
Per Chiuri, “la moda è un territorio estremamente complesso, in cui ogni realtà è diversa dall’altra, e c’è sempre il rischio che lo stilista si senta l’unico esecutore, mentre in realtà il risultato finale è sempre il prodotto di uno sforzo collettivo. Una complessità che non ha una soluzione semplice e immediata, e per agire correttamente richiede un lavoro produttivo e di team costante, anche molto faticoso, ed in cui occorre essere persistenti su ogni singolo aspetto”, assicura l’esperta designer. “Vige la diffusa illusione che ci sia una soluzione che vada bene per tutti. In realtà ciascuno deve trovare una soluzione rispetto a dove si trova. Un’azienda come Dior ha una complessità notevole e solo con la partecipazione di tutti a un progetto ci può essere un cambiamento, un’evoluzione culturale”.
 
“Quando ho iniziato la mia carriera non avevamo le basi culturali per capire quanto fare moda significhi fare politica”, aggiunge Maria Grazia Chiuri. “In una delle prime interviste che ho ‘subìto’ da Dior mi hanno chiesto se ero una stilista politica. Ho risposto che la politica è ovunque, anche nella moda. Nella sfilata in India il mio obiettivo era anche quello di portare i giornalisti e i clienti negli atelier. Alcuni di loro si sono commossi nel conoscere la storia che sta dietro a queste artigiane e nel vederle all’opera”.
 
“Forse quanto ho fatto in India o Messico può apparire contraddittorio visto che è stato realizzato all’interno di un marchio come Dior, che fa parte ovviamente di un mondo legato al profitto, al capitale. Ma me ne danno la possibilità, dunque mi sembra giusto farlo”, puntualizza Chiuri. “Certo nessuno ha ancora avuto la capacità di immaginarsi un altro sistema da quello attuale”.

Maria Grazia Chiuri - Foto: Dior


E quale potrebbe essere questo nuovo sistema moda futuro? “L’uomo è l’unico animale che si veste, perciò il desiderio di vestirci per impersonare ciò che vogliamo essere nel mondo è tipicamente umano. Ciò che io cerco di fare, e che tutti dovremmo fare, secondo me, è mettere il sistema moda al servizio di una comunità più larga, utilizzarlo in modo collettivo per condividere il benessere che può creare”, risponde la stilista. 
 
Intanto, la Chanakya School of Craft ora vuole crescere. Tante donne hanno terminato il percorso formativo e lavorano full o part time, anche grazie ai contatti della scuola. Ora è allo studio una struttura per cui dal 2024 ci sarà la possibilità di frequentarvi una scuola estiva di design. “Abbiamo anche una sede in Italia, a Bologna, che attualmente è un semplice atelier, dove abbiamo in corso un training tecnico con la partecipazione di 45 donne. Prossimamente vogliamo aprire nel capoluogo dell’Emilia-Romagna una nostra branch”, conclude Karishma Swali.

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