Adnkronos
23 ott 2019
Made in Italy: 1/4 della manifattura lavora anche conto terzi
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23 ott 2019
Dalle navi da crociera alle scarpe ai mobili, i prodotti italiani sono sinonimo di qualità. Potrebbe sembrare un luogo comune ma è un fatto confermato: tra il 2002 e il 2017 (ultimi dati disponibili) il valore medio unitario dell'export italiano (valore medio per tonnellata) è cresciuto del 54%, molto più di quello degli altri grandi Paesi UE (UK +40%, Germania +21%, Francia +17%, Spagna +13%).
La qualità del Made in Italy investe ovviamente anche la produzione conto terzi, elemento strutturale della nostra economia. Se ad oggi non esistono confronti internazionali che ci descrivano il ruolo del conto terzi nelle economie dei diversi Paesi, alcuni fatti possono essere d'aiuto. L'Italia è il primo Paese europeo per produzione farmaceutica conto terzi. Guardando ad un'altra filiera, l'Italia è il primo produttore mondiale di make up, quasi tutto conto terzi. Due primati che delineano il posizionamento internazionale del terzismo Made in Italy. Fondazione Symbola e Famindustria hanno indagato con interviste e approfondimenti statistici - il primo studio sul totale del conto terzi italiano - questa attitudine trasversale alle filiere del Made in Italy.
Nel nostro Paese sono 108 mila le imprese della manifattura (il 27% del totale) che hanno prodotto almeno una volta conto terzi (ultimi dati disponibili, 2016), per un fatturato relativo a questi prodotti pari a 56 miliardi di euro (il 6,3% del fatturato totale della manifattura). La quota di fatturato conto terzi sul totale del fatturato varia da settore a settore: si passa dal 13,3% dell'abbigliamento al 9,6% dell'automazione al 6,4 della farmaceutica al 6% dell'arredamento fino all'1,3 % dell'alimentare. Diverso ovviamente il peso delle specifiche filiere sul totale del fatturato italiano conto terzi: predomina l'automazione (43,5% del totale), seguita da abbigliamento (8,2%), arredamento (5,4%), alimentare (3%) e farmaceutica (2,9%) (l'altro 27% è legato a comparti con quote minori, come gomma, plastica, elettronica, prodotti petroliferi, …). La diversità delle filiere si riflette anche nella diversa dimensione delle imprese terziste: mentre nel resto del manifatturiero predominano piccole e medie imprese (sotto i 50 addetti) nella farmaceutica la maggioranza sono le imprese con oltre 250 addetti.
Se questo è il panorama italiano delle imprese che anche una sola volta l'anno hanno lavorato conto terzi, per una descrizione più puntuale del fenomeno si è scelto di osservare le imprese per le quali il fatturato conto terzi è maggiore del 50% del fatturato totale (in cui, cioè, il conto terzi è prevalente). In questo specifico perimetro rientrano 69 mila imprese - il 64% del totale dei terzisti -, 455 mila addetti e un fatturato conto terzi pari a 47 miliardi di euro. Queste imprese investono in macchinari (dal 3% del fatturato come l'alimentare, al 3,7% dell'arredamento fino al 4,3% della Farmaceutica) e in formazione (nella meccanica, ad esempio, 270 euro l'anno per addetto; nella farmaceutica 413; ma anche nell'alimentare: 78 euro).
Ed esportano: il 12% del fatturato nel caso dell'alimentare, il 14% dell'abbigliamento, il 15% dell'arredamento, il 17,5% della meccanica per arrivare al 67,6% della farmaceutica. Sono dati che descrivono un conto terzi in parte diverso dalla vulgata: meno esecutore puro e più co-protagonista nella messa a punto del prodotto, un vero partner del committente.
Aspetti confermati dall'indagine qualitativa di Fondazione Symbola e Farmindustria: trenta interviste a rappresentanti di categoria e imprese (sia conto terzi che committenti) di cinque filiere del made in Italy (abbigliamento, agroalimentare, arredo, automotive, farmaceutica).
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