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Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
16 set 2023
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Lusso: verso un nuovo big bang nella direzione creativa delle case di moda?

Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
16 set 2023

Mai come in questa stagione si era avvertito un simile terremoto nell’ambito della creazione moda. Tra I numerosi annunci di partenze, come quello recente di Sarah Burton dopo 26 anni trascorsi presso Alexander McQueen, e i grandi debutti di diversi direttori artistici, le maison della moda e del lusso stanno attraversando un frenetico periodo di transizione. Le imminenti settimane della moda di Milano e Parigi, in particolare, si preparano a svelare una nuova tipologia di designer. Dotati di curriculum impressionanti forgiati nel corso di esperienze maturate all'interno delle etichette più prestigiose, questi stilisti sono significativamente più discreti rispetto ad alcuni dei loro predecessori e sembrano annunciare l’inizio di una nuova era, più pragmatica.

Sarah Burton saluta Alexander McQueen. Eccola uscire a salutare al termine della sfilata di marzo 2017 - ph AFP


Come Sabato De Sarno, che venerdì 22 settembre a Milano presenterà la sua prima collezione da Gucci. Sconosciuto al grande pubblico, questo napoletano ha iniziato la carriera da Prada nel 2005, per poi passare a Dolce & Gabbana prima di approdare da Valentino nel 2009, dove ha fatto carriera fino a diventarne il direttore della moda. Oppure l'inglese Peter Hawkings, che ha trascorso tutta la sua carriera, quasi 25 anni, con Tom Ford, prima da Gucci, poi all'interno del marchio dello stilista texano, di cui è appena diventato il successore. La sua prima sfilata, in programma questo giovedì, insieme a quella di Gucci, è una delle più attese della fashion week lombarda.
 
Sempre a Milano, sabato verrà svelato il lavoro di Simone Bellotti per Bally. Al suo attivo più di 20 anni di esperienza (tra gli altri presso Dolce & Gabbana, Bottega Veneta e Gianfranco Ferré), di cui gli ultimi 16 trascorsi presso Gucci. Bellotti è entrato a far parte del brand di calzature e accessori lo scorso anno, affiancandone il direttore creativo Rhuigi Villaseñor, poco prima che il giovane californiano di origini filippine si ritirasse dopo due stagioni. Quest'ultimo, che gestisce anche il proprio marchio Rhude, in cui unisce lusso e streetwear, è palesemente riuscito a portare a termine la propria missione, che era quella di ridare visibilità a Bally e attirare le nuove generazioni verso la storica etichetta svizzera. Tocca ora a Simone Bellotti garantire il futuro puntando “sui valori e sull’heritage di Bally”.

Altra dimissione a sorpresa è stata quella di Ludovic de Saint Sernin. Il trentenne, rinomato per la sua moda sensuale dall'erotismo disinibito, ha costruito, come Rhuigi Villaseñor, una bellissima comunità attorno al suo marchio. Però ha resistito appena una stagione alla guida dello stile di Ann Demeulemeester, sostituito all'ultimo momento dallo sconosciuto Stefano Gallici, che sarà sotto i riflettori durante la sua prima sfilata, il 30 settembre a Parigi. Dopo un'esperienza da Haider Ackermann, Gallici è entrato 5 anni fa nel gruppo milanese Antonioli, nuovo proprietario della maison belga, che lo ha promosso alla direzione artistica.

“I cool kids non hanno più il vento in poppa”
 
"In un mercato che è diventato isterico e non smette di accelerare, i cool kids non hanno più il vento in poppa. Questi giovani talenti, molto popolari sui social media, spesso imposti da agenti e altri comunicatori, sono stati assunti, più che per le loro capacità, soprattutto per il numero dei loro follower, la loro conoscenza delle community e la loro influenza sul consumatore finale. Ma se sono agili in strutture flessibili, come possono essere le loro stesse etichette, affrontare le grandi case di moda è un’altra questione. Senza contare che non hanno più diverse stagioni come prima per tastare il polso e trovare il ritmo giusto”, osserva Stefano Martinetto, amministratore delegato di Tomorrow, piattaforma multiservizi con sede a Londra dedicata ai brand griffati.

Con la complessità oramai assunta dagli studi stilistici e la sofisticazione raggiunta dai dipartimenti di marketing, è meglio avere delle abilità e una buona conoscenza dei processi industriali. Soprattutto quando sul posto bisogna confrontarsi con grandi team, formati da esperti di lungo corso. In ogni caso, il ruolo centrale del direttore artistico oggi non consente più, o lo permette con grande difficoltà, di gestire in parallelo il proprio marchio. Ad esempio, Anthony Vaccarello da Saint Laurent e Demna da Balenciaga vi hanno rinunciato abbastanza rapidamente.
 
Come Ludovic de Saint Sernin, Charles de Vilmorin ha gettato la spugna lo scorso aprile da Rochas, dove dirigeva lo stile da due anni. Per ora la maison ha scelto di affidarsi allo studio. In tre anni, lo stilista 26enne ha registrato un'ascesa fulminea. Dopo aver lanciato in pieno lockdown una prima collezione di bomber colorati promossa sui suoi social network, eccolo sei mesi dopo sfilare sulle selezionatissime passerelle dell'haute couture parigina con il proprio brand appena lanciato, prima di ritrovarsi assegnata il mese successivo - nel febbraio 2021 - la direzione artistica della maison Rochas.

Charles de Vilmorin durante il suo ultimo défilé per Rochas nel settembre 2022 - © ImaxTree


“Tutti i nuovi designer adorati dai social network, che sono stati posti ai vertici delle case di moda negli ultimi due anni, sono crollati. Questo sistema non funziona. Sta esplodendo. I follower e il buzz sul web non bastano più per fare business. Ecco perché le aziende si affidano a professionisti e a un modello più sano”, osserva Patricia Lerat di PLC Consulting, consulente nel campo del lusso e cacciatrice di talenti.
 
“Stiamo assistendo a un ritorno all'organizzazione orizzontale, dove lo stilista-star lascia il posto a un designer dotato di maggiore maturità. Personalità dotate di carisma, ma estremamente competenti. Tecnici, che però fanno anche il lavoro dietro le quinte”, continua la consulente. “Siamo passati da un designer poliedrico dotato di una forte componente mediatica, a uomini che stanno in ombra dopo aver acquisito una significativa esperienza all’interno delle maison, concentrati sul prodotto e capaci di governare lo studio stilistico; il che significa supervisionare le pre-collezioni, le collezioni principali, i tanti show, le celebrità, le collaborazioni, ecc.”, aggiunge Stefano Martinetto.
 
Con la sua esperienza più che ventennale presso Alexander McQueen, Louis Vuitton, Yves Saint Laurent, Zegna e Gucci, l'irlandese Daniel Kearns, appena nominato alla direzione creativa di Cerruti 1881 e Kent & Curwen, corrisponde a questo nuovo profilo. Proprio come Simon Holloway, nominato lo scorso aprile alla guida di Dunhill, che ha lavorato soprattutto da Calvin Klein, Ralph Lauren, Michael Kors, Jimmy Choo e Agnona. O Louise Trotter, che terrà la sua prima sfilata da Carven a Parigi, anche lei il 30 settembre. Dopo aver lavorato da Calvin Klein, poi da Gap e Hilfiger, Trotter era a capo dello stile di Lacoste da quattro anni. Gli è succeduta la stilista dal profilo più sportivo Pelagia Kolotouros, che ha lavorato soprattutto per Yeezy, The North Face e Adidas e ha mosso i primi passi all'interno del marchio francese nel corso di un evento tenutosi a New York questa settimana.

Ritorno alle basi
 
È sempre quest'autunno che Phoebe Philo, designer cult dallo stile minimal e senza tempo, torna alla ribalta con il lancio in sordina del suo marchio. “Stiamo arrivando alla fine della ‘sportswearization’ in voga da un decennio, con i suoi grandi loghi apposti su t-shirt e felpe con cappuccio. Oggi questo non basta più per fare affari. Torniamo alla questione dell’abbigliamento con il ritorno del fashion design. La differenziazione non avviene più come prima tramite il logo, ma attraverso i tagli, i materiali, i volumi”, nota un esperto, ben introdotto nel settore del lusso. “L’industria cerca profili rassicuranti, con stilisti che sappiano confezionare abiti e collezioni, capaci di vestire per la vita vera”.
 
Lo hanno capito bene i grandi player del lusso, che già da tempo ricercano questa nuova tipologia. Come illustra Chanel, che ha scelto il braccio destro di Karl Lagerfeld, Virginie Viard, per succedere al mitico stilista tedesco. O anche Kering, che ha cercato Matthieu Blazy per Bottega Veneta. Da quando ha assunto la direzione creativa del marchio italiano, il suo successo non è mai calato. Lo stilista aveva precedentemente lavorato presso Raf Simons, Maison Margiela, Celine e Calvin Klein. Allo stesso modo, nel 2015, Kering ha promosso da Gucci l’allora poco conosciuto stilista Alessandro Michele. Ma all’epoca era ancora in vigore la ‘starizzazione’ dei designer.

Lo sconosciuto Matthieu Blazy si è affermato in poche stagioni da Bottega Veneta - © ImaxTree


Un approccio oggi superato, come spiega l’addetto ai lavori. “Venti anni fa, le maison scommettevano tutto sul loro direttore artistico. Si parlava solo di lui ed era attraverso lui che passava la comunicazione della griffe. Ma dopo lo scandalo di John Galliano da Dior, il settore ha preso coscienza che non poteva più contare su un’unica voce. Allo stesso tempo, assistiamo da diversi anni a una molteplicità di interventi all’interno delle label, che si sono diversificate nella forma e nelle persone, dal CEO al digitale passando per collaborazioni e pop-up. Da questo deriva il profilo più sobrio adottato dai nuovi direttori creativi”.

Ritornato alla moda dopo quattro anni di purgatorio, John Galliano, al timone di Maison Margiela dal 2015, da allora è diventato molto più discreto. Senza che questo danneggi il brand, che risulta essere la griffe più importante in termini di vendite per la divisione lusso del gruppo italiano di moda OTB, che ne è proprietario.
 
L’evoluzione del mercato del lusso, con aziende che operano su scala sempre più ampia, ha portato i responsabili dello stile ad indossare sempre più la veste del direttore d’orchestra. “Il direttore artistico deve saper comprendere l'epoca e incarnarla, avere un nuovo punto di vista creativo sulla civiltà, sulla cultura, sulla vita, interpretandola in mille modi, compreso l'abbigliamento. Ma anche saper far parlare del brand, dotandosi della squadra ideale e dando il giusto ritmo alle collezioni, aggiornando costantemente l'offerta. È chiaro che non può fare tutto da solo”, sottolinea l'esperto.

“La festa è finita!”
 
“Tutta questa macchina richiede enormi risorse da parte dei marchi, mentre il contesto non è più così favorevole. La Cina non si sta riprendendo, gli Stati Uniti si stanno contraendo, le piattaforme digitali hanno un eccesso di stock e tagliano i loro ordini, i prezzi stanno esplodendo... La festa è finita! E ora più che mai, alla guida dello stile i brand hanno bisogno di persone solide, su cui poter contare”, continua.
 
“Questi cambiamenti successivi e ravvicinati all'interno dei dipartimenti creativi sono sintomatici di un malessere del settore, che è alla disperata ricerca di soluzioni. Nessuno capisce cosa sta succedendo. Dopo la folle corsa degli ultimi tempi verso una crescita spettacolare, il mercato sta rallentando, a partire dalla Cina fino alla rete di rivenditori multimarca. Ci si interroga su quale sarà il nuovo ritmo della moda”, sottolinea Stefano Martinetto.
 
Che si chiede: “Cosa sarà più redditizio? La spettacolarizzazione ad oltranza, come quella attuata da Louis Vuitton con Pharrell Williams, messo a capo delle sue collezioni per l’uomo, o il tecnico dal profilo sobrio? Non mi stupirei di trovare presto a capo di una grande griffe Fabio Zambernardi, il direttore del design che ha appena lasciato Prada dopo quarant'anni di lavoro per la casa di moda milanese”, dice. Molti posti in effetti restano ancora da coprire, come testimoniano le tante sfilate d'addio previste sulle passerelle di questa stagione. Da Milano - con Tod's che si separa da Walter Chiapponi e Moschino che, privato di Jeremy Scott, organizza una sfilata per il proprio anniversario - a Parigi (con Alexander McQueen e anche Chloé, che mostrerà l'ultima sfilata di Gabriela Hearst).

Peter Do di Helmut Lang al termine della sua recente sfilata a New York - © Launchmetrics


In questo intenso momento di cambiamento, la nomina di Peter Do da Helmut Lang sembra andare in controtendenza. Lo stilista di origini vietnamite, il cui marchio eponimo è acclamato sulle passerelle newyorkesi e in questa stagione sfilerà a Parigi, ha aperto le danze della settimana della moda di New York l'8 settembre, con la sua prima sfilata per il marchio emblematico del minimalismo degli anni ‘90. Un primo tentativo che non ha convinto del tutto.

È il momento delle promozioni interne
 
“Questo tipo di nomina può sicuramente funzionare per marchi di medie dimensioni, ma non è più pensabile nelle grandi case di moda, dove il ruolo di direttore artistico richiede persone dedicate, che difficilmente hanno il tempo di occuparsi della propria label. La posta in gioco è troppo alta e i marchi di lusso hanno acquisito una tale portata che spesso preferiscono le promozioni interne. Un approccio molto più efficace rispetto all’ingaggiare qualcuno che avrà bisogno di tempo per trovare un proprio posto e il giusto compromesso tra la sua libertà creativa e i valori della maison”, analizza la direttrice dell’Andam, Nathalie Dufour.
 
“Un Martin Margiela da Hermès oggi non sarebbe più necessario. Il fatto di rivoluzionare troppo un marchio e rivedere tutto è troppo complicato”, prosegue Dufour. “Le case di moda sono diventate macchine molto grandi, ultra-organizzate tra le diverse divisioni: dalla Ricerca & Sviluppo, all’approvvigionamento, alla CSR. Hanno bisogno di qualcuno capace di mettersi al loro servizio e di integrarsi nella loro organizzazione, che sia operativo fin dall'inizio”.
 
Per Nathalie Dufour, l'idea del creatore di moda onnipotente sviluppatasi negli anni '70 è sopravvissuta. Anche se i famosissimi campioni di alcune maison non sembrano affatto in pericolo, da Hedi Slimane di Celine a Nicolas Ghesquière da Louis Vuitton od Olivier Rousteing da Balmain. “Le maison non hanno più bisogno di far puntare i riflettori su una sola persona, ma cercano qualcuno capace di portare avanti un lavoro approfondito, che metta il proprio ego creativo al servizio del brand e che sia in grado di trasmettere un messaggio fedele al suo DNA. Si privilegiano quindi competenze e know-how dotati di profili professionali, che siano preparati, anche e soprattutto, a gestire la transizione ecologica”.
 
Lo sviluppo sostenibile è diventato una priorità per l’industria del lusso, e i valori che veicola, fra tracciabilità e valorizzazione degli artigiani, si riflettono nell’organizzazione e nella direzione creativa del comparto. “Anche noi dobbiamo essere in linea con questo discorso. Se dobbiamo parlare di ecologia, si deve cominciare dall'uomo, con un concetto di rispetto e umiltà. In questo contesto, il nuovo direttore creativo deve anche mostrarsi più umile e sobrio rispetto al suo predecessori”, conclude Patricia Lerat.
 
Un’evoluzione che non è sfuggita a Balenciaga, il cui mediatico direttore artistico Demna (vero nome Demna Gvasalia) recentemente ha cominciato a mantenere un basso profilo. Colpito dallo scandalo delle controverse pubblicità equivoche del brand di fine 2022, lo stilista si è concentrato nuovamente su abbigliamento e prodotti, come lui stesso aveva annunciato all'inizio dell'anno, rinunciando alle sue sfilate spettacolari. Demna si è allontanato volontariamente dallo status di star designer onnipotente, tendendo a mettere in sordina la propria escalation di esposizione mediatica.

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