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Versione italiana di
Laura Galbiati
Pubblicato il
22 nov 2018
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Lusso: il delicato utilizzo dei social network in Cina

Versione italiana di
Laura Galbiati
Pubblicato il
22 nov 2018

Con un sempre maggior numero di griffe occidentali in cerca di notorietà sull’allettante mercato cinese e la forza crescente dei social network, la situazione è cambiata per l’industria del lusso. Nell’approcciare la Cina, per evitare le insidie, i brand del lusso devono tener conto ora più che mai dell’evoluzione dell’opinione pubblica e dell’importanza che quest’ultima ricopre sul Web.

Una pubblicità criticata dagli internauti cinesi perchè mostra un vecchio quartiere di Pechino - Dolce & Gabbana


Negli ultimi anni sono stati numerosi gli episodi di reazioni critiche da parte degli internauti cinesi riguardo all’immagine che gli Occidentali diffondono online sul loro Paese. Negli ultimi tempi tali episodi sono diventati più difficili da gestire per le maison, che si trovano spesso a dover correggere il tiro. Come nel recente caso di Dolce & Gabbana, obbligati ad annullare un’importante sfilata a Shanghai a causa di video promozionali realizzati per l’evento, giudicati sessisti e razzisti dai consumatori cinesi. Inoltre, il 22 novembre molte piattaforme cinesi di e-commerce hanno eliminato dalle loro proposte i prodotti del brand.
 
La maison italiana si era già imbattuta nella suscettibilità cinese lo scorso anno, con la campagna “DG Loves China”, che precedeva la sfilata del brand a Pechino. La campagna, scattata nei vecchi quartieri della capitale cinese, era stata vivamente criticata e accusata di presentare un’immagine stereotipata e una visione “arretrata” del Paese, anziché mettere in evidenza la Cina moderna. Di fronte a queste proteste, la griffe aveva dovuto ritirare le immagini dai media cinesi.

“Ho avuto lo stesso tipo di problema girando un documentario a Nanchino. Le autorità locali mi hanno domandato di mostrare i nuovi edifici e non i quartieri storici. Da questo punto di vista, i cinesi sono molto nazionalisti. Un aspetto che si è rafforzato molto negli ultimi cinque anni, dopo che la Cina è diventata la seconda potenza economica mondiale”, racconta una giornalista italiana che ha lavorato a lungo per i media cinesi e che preferisce mantenere l’anonimato.
 
“Siamo in un clima ufficiale di esaltazione nazionalista e xenofoba in Cina”, rincara la dose il sinologo François Godement, ricordando l’incidente del produttore tedesco di automobili Daimler, di cui l’Impero di Mezzo è il primo mercato, che lo scorso febbraio ha dovuto scusarsi con Pechino a causa di una pubblicità sul suo account Instagram (tra l’altro non visibile in Cina) che citava il Dalai Lama.
 
E ancora, lo scorso maggio Gap ha ricevuto un’ondata di lamentele sul suo account ufficiale sul social cinese Weibo per aver rappresentato su una t-shirt una mappa della Cina priva di alcuni territori, tra cui Taiwan. L’azienda americana ha dovuto scusarsi e annunciare di aver distrutto il prodotto in questione.
 
In occasione della presentazione del rapporto “Luxury goods worldwide market 2018”, Claudia D’Arpizio, partner di Bain & Company, ha spiegato come questo cambiamento culturale influenzi anche il mercato del lusso. “Il consumatore cinese è molto meno complessato rispetto al passato e non ha più paura di acquistare marchi made in Cina. Nel Paese c’è un grande sentimento di orgoglio rispetto al fatto di essere cinesi e questo si riflette anche, anzi soprattutto, sul Web”.

La t-shirt di Gap "incriminata" secondo gli internauti cinesi - DR


“A ciò si aggiunge il ruolo preminente dei social network, anche se non esistono social network liberi in Cina. Da sempre controllati dalle autorità sui temi politici e sociali, i cinesi hanno in effetti la tendenza a scatenarsi in rete su tutti gli altri argomenti, sfogando la loro rabbia. Il che testimonia il livello di tensione presente nel Paese”, ha continuato la giornalista. “Gli internauti sono diventati un vero e proprio esercito in Cina, con un’influenza sempre maggiore sull’opinione pubblica, in grado ormai di far arretrare in modo concreto le aziende occidentali su vari argomenti. L’abbiamo visto anche attraverso alcune campagne di boicottaggio”.
 
Nell’ultimo rapporto pubblicato sui consumatori del lusso digitale, Launchmetrics ha evidenziato la potenza dei social network cinesi. Se in Europa e negli Stati Uniti tutto si concentra in un’offerta globale proposta da qualche supporto, ad esempio Instagram, il mercato cinese è molto locale e frammentato, ma il numero di utenti dei social network è di gran lunga maggiore che in Occidente.
 
“WeChat e Weibo, per esempio, che contano 1,6 miliardi di follower, si indirizzano esclusivamente al mercato cinese, ma hanno un potenziale incredibile in alcune regioni del Paese. È per questo che i dati digitali in Cina hanno così tanto valore per le aziende del lusso. Facebook detiene oltre 2,1 miliardi di follower attivi e YouTube più di 1,5 miliardi”, sostiene lo studio.
 
Inoltre, in Cina gli influencer raggiungono il 53% del valore totale dell’impatto mediatico (Media Impact Value). Le piattaforme di social network di origine cinese, come Weibo, WeChat o Xiaohongshu, sono i canali che contribuiscono maggiormente al valore dei marchi di lusso in Cina (circa il 61%, con Weibo che ha generato il valore più alto), sottolinea ancora Lauchmetrics nel suo rapporto.
 
In questo contesto, i player del lusso hanno tutto l’interesse a non provocare la suscettibilità del pubblico cinese. Lo scorso anno, la top model americana Gigi Hadid ha dovuto rinunciare a partecipare alla sfilata annuale di Victoria’s Secret a Shanghai in seguito alla protesta suscitata da un video sul Web in cui imitava gli occhi a mandorla. Lo scorso aprile è stato un alterco con dei clienti cinesi avvenuto presso lo spazio Balenciaga nel deparment store Printemps di Parigi, riportato dalla stampa cinese, a scatenare la furia degli internauti cinesi, costringendo l’insegna e la griffe a porgere le loro scuse.

Gogoboi, influencer top in Cina, in occasione della sfilata Dolce & Gabbana nel gennaio 2017 - © PixelFormula


“Per comunicare al di fuori dei propri confini, i marchi devono conoscere bene il clima nel quale l’opinione pubblica vive e adattarsi ai codici e ai valori di ciascun Paese. Con i social network, però, non ci sono confini, tutto può essere ripreso in maniera esponenziale, da qui l’importanza di vigilare attentamente per evitare i ‘bad buzz’”, ci spiegano da Visibrain.
 
Secondo le rilevazioni di questa piattaforma di controllo dei social network, il bad buzz di Dolce & Gabbana ha generato più di 26.000 menzioni su Twitter nelle ultime 24 ore, rispetto alle normali 2.000/2.500 menzioni del brand al giorno. “C’è una differenza, ma limitata. Per avere un termine di paragone, all’inizio di quest’anno la foto di H&M con un ragazzino nero che indossava una felpa con la scritta "Coolest monkey in the jungle" (la scimmia più cool della giungla) ha generato più di 500.000 tweet in sole 24 ore”.
 
Da notare che in Cina l’utilizzo dei social network passa soprattutto attraverso community locali come WeChat, quindi le ripercussioni sono minori sulle piattaforme occidentali. Ciò non toglie che il minimo passo falso può essere particolarmente penalizzante su questo mercato.
 
“Bisogna rispettare la storia e le tradizioni di ogni Paese. I valori sono immutati. Il modo di comunicarli e le dinamiche sui social network sono invece storia recente. Bisogna essere molto prudenti nel modo di utilizzarli”, consiglia l’ex Presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, Mario Boselli, che ora presidia l’Istituto Culturale Italo Cinese.

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