Lusso e intelligenza artificiale: quali potenzialità per il processo creativo?
“Un anno fa, le case di moda puntavano tutto sul metaverso e sugli NFT. Oggi ne parlano molto meno, mentre s’interrogano sempre di più sull'intelligenza artificiale (IA). Siamo di fronte a un cambiamento di paradigma”, ha affermato Frédéric Rose, presidente e fondatore di Imki, una start-up specializzata in IA generativa, durante una conferenza organizzata lo scorso luglio nel centro di Parigi dalla banca pubblica di investimenti Bpifrance. Nel giro di pochi mesi, da quando ChatGPT è emersa al centro della scena pubblica, questa tecnologia si è trovata al centro dell'attenzione dell'industria della moda e del lusso, vista come uno strumento dalle potenzialità illimitate, soprattutto nel processo creativo, ma che tuttavia suscita una serie di timori fra i designer e i team stilistici.

Con l'arrivo dei software ChatGPT, Lensa AI, Midjourney, Stable Diffusion e Dall-E, negli ultimi sei mesi sono esplose le cosiddette IA generative. Più di un brand ha cavalcato l'onda, ma finora si è limitato a sfruttare questo strumento soprattutto nella comunicazione. Come il marchio Casablanca Paris, le cui immagini per la sua ultima campagna Primavera-Estate 2023 sono state scattate dal fotografo britannico Luke Nugent utilizzando l'intelligenza artificiale.
Alcuni brand hanno testato l'intelligenza artificiale in via sperimentale, come Gucci, che ha lanciato diversi progetti con artisti digitali, o Valentino, che ha affidato agli algoritmi e all'artista tedesco Mario Klingemann la produzione del video che racconta la sua storia. Più recentemente, le case di moda e lusso hanno utilizzato tale tecnologia come gadget, espediente di comunicazione o per un annuncio ad effetto durante le presentazioni delle ultime collezioni estive, allo scopo di attirare l'attenzione e darsi un'immagine alla moda.
In effetti, le IA sono già utilizzate dall’industria della moda da circa dieci anni. “La prima ondata di adozione è avvenuta tra il 2013 e il 2019. Prima attraverso il caso d'uso della segmentazione, in particolare tramite il riconoscimento delle immagini, che ad esempio consente ai marchi di moda di separare milioni di prodotti dalla concorrenza. L'altro uso è essenzialmente predittivo. A partire dallo storico della commercializzazione di un prodotto e dall'analisi dei dati, possiamo prevedere l'evoluzione di uno stock o della domanda e affinare i prezzi”, spiega Paul Mouginot, artista e ingegnere specializzato in AI, co-fondatore di Daco.io, uno strumento di competitive intelligence acquisito nel 2018 da Veepee, e della start-up Stabler.tech, che opera nel campo dell'estrazione di dati, oltre ad aver creato lo studio d'arte aurèce vettier (si scrive minuscolo, ndr.), che unisce algoritmi di intelligenza artificiale e raffinate artigianalità.
Dal 2014 sono comparsi nuovi algoritmi, i GAN (Generative Adversarial Network). Queste reti antagoniste generative conferiscono una capacità creativa alle IA, consentendo loro di eseguire imitazioni di immagini. Attraverso la raccolta di dati e immagini su larga scala, si forma un set di dati, che servirà per istruire questi modelli, capaci, una volta addestrati, di creare immagini da zero utilizzando delle parole chiave (il prompt). “L'intelligenza artificiale risponde a un brief e fornisce la risposta più adeguata. Non sarà mai in grado di anticipare o catturare lo spirito dei tempi, né di gestire le emozioni”, specifica il fondatore di Imki, Frédéric Rose.
Se la tecnologia già esiste, due ostacoli principali ne impediscono lo sfruttamento. “C'è ancora un problema sulla qualità dei dati legato al modo in cui vengono recuperati e quindi un problema di gestione degli stessi. L'altro ostacolo è dovuto all'estrazione dei dati, che sta diventando un argomento sempre più politico”, indica Paul Mouginot, ricordando che fino a poco tempo fa l’utilizzo di queste tecnologie di AI richiedeva molti sviluppatori e risorse, mentre oggi le interfacce sono disponibili a prezzi maggiormente accessibili. “Ciò che adesso è cambiato è che abbiamo aperto le piattaforme a tutti”, continua.
Utilizzate per ottimizzare il processo industriale o le vendite e l’esperienza del cliente, le IA sono rimaste piuttosto lontane dal processo creativo. Infatti finora pochissime case di moda si sono avventurate in questo campo, con poche eccezioni, come Acne Studios. Nel 2020, l'etichetta svedese ha prodotto la sua collezione uomo per l'Autunno-Inverno 2020/21, in collaborazione con l'artista Robbie Barrat, a partire da modelli di abbigliamento proposti dalla macchina, con un approccio molto sperimentale. “Poiché la macchina ha elaborato solo le foto di Acne Studios, il risultato sembra molto familiare. È il nostro universo, ma in un'altra galassia. Sono particolarmente felice di come l'intelligenza artificiale ci abbia insegnato a guardare i vestiti, con uno sguardo differente, senza pregiudizio”, commentava all'epoca il direttore creativo Jonny Johansson su Sabato, il supplemento del quotidiano belga L'Echo.

Nel frattempo la pandemia di Covid-19 ha dato una spinta alla digitalizzazione e tali tecnologie si sono perfezionate. “Le IA ci sono sempre state, ma era molto complicato interagire con loro. La rivoluzione odierna sta in questa capacità di interagire e generare contenuti, che va oltre i limiti umani. Oggi possiamo creare un testo che abbia senso e significato, oppure un'immagine, facendoli generare dall'intelligenza artificiale. Non c'è bisogno di studiare Belle Arti! Basterà possedere l'arte del prompt, vale a dire la capacità di descrivere con precisione ciò che vogliamo, affinché l'intelligenza artificiale faccia il lavoro per noi”, riassume il presidente di Imki, Frédéric Rose.
Suggestioni infinite
“La sfida più grande è disporre di un database qualitativo. Quando i set di dati sono corretti, le applicazioni per il settore del lusso sono innumerevoli, soprattutto in termini di produzione e scadenze. L'intelligenza artificiale consentirà di accelerare un processo creativo molto significativo, creando collezioni in molto meno tempo di oggi. Attingendo a una base di dati illimitata, l’AI può generare nuove proposte in poche ore e all'infinito, comprese le stampe. Aumenterà di dieci volte il potenziale creativo”, aggiunge Nicolas Flaud, direttore dello sviluppo di moda e lusso presso Imki.
Per Clarisse Reille, direttrice generale dell'Istituto Francese del Tessile e dell'Abbigliamento (Institut Français du Textile et de l’Habillement-IFTH), “questo strumento, che offre un moodboard molto ampio ed esteso, rafforzerà la creatività, portando verso l'eccellenza soprattutto i creatori che hanno delle visioni e delle convinzioni. Quando cominceranno a utilizzarlo, nessun designer potrà rinunciare ad avere più ispirazione”. “È un nuovo campo creativo che si sta aprendo, come fece a suo tempo la fotografia. All'epoca si temeva che avrebbe fatto scomparire la pittura. In realtà, l'invenzione della fotografia ha spinto la pittura verso la realizzazione di qualcos'altro”, ricorda.
Totalmente privato di regole in termini di couture e costruzione del capo, stimolato solo dalle immagini, il computer genera le sue creazioni senza alcun tipo di barriera, con un innegabile effetto rinfrescante.
“Dando accesso a proposte differenti, l'intelligenza artificiale offrirà ai marchi e ai creatori di moda soprattutto il lusso della scelta, in un'era in cui i ritmi hanno avuto un’incredibile accelerazione. Porterà una ventata d'aria fresca, farà risparmiare tempo. Da un punto di vista pratico, permetterà da una parte di circoscrivere il problema dell'appropriazione culturale prendendo ispirazioni originali da diversi angoli del mondo senza copiarle, ma proponendone una forma di quintessenza. Dall’altra parte, l’intelligenza artificiale aiuterà a essere produttivi, fornendo allo stesso tempo proposte interessanti, perché consentirà di accedere a nuove forme e idee e di spingersi oltre i propri limiti”, ha affermato Paul Mouginot.

La gamma di possibilità è immensa. Come sottolinea Nicolas Flaud, “le applicazioni di intelligenza artificiale generativa consentiranno ai marchi, ad esempio, di testare la propria collezione con i propri dipendenti, addetti alle vendite o anche con i clienti, prima di avviare la produzione. Quindi un notevole risparmio di tempo, ma anche di denaro, perché eviterà la sovrapproduzione. Senza contare che impiegando meno tempo per sviluppare un modello di vestito, potremo reagire più rapidamente e attenerci alle tendenze del momento”.
L’intelligenza artificiale generativa, infatti, comincia a essere percepita dalle aziende come una potenziale leva di crescita. In un recente studio condotto dal Boston Consulting Group per Altagamma, il 45% dei dirigenti intervistati ha affermato che ChatGPT li ha spinti ad aumentare i propri investimenti nell’intelligenza artificiale, e il 67% dei dirigenti senior ha affermato di voler dare priorità all’intelligenza artificiale generativa.
L'intelligenza artificiale sarà fonte di sovrapproduzione?
Tuttavia, bisogna far rilevare alcune possibili criticità che devono mettere in guardia rispetto a questo entusiasmo generalizzato. Lungi dal limitare la produzione, l’intelligenza artificiale rischia, al contrario, di alimentare la sovrapproduzione, come stanno già testimoniando alcuni attori del fast-fashion. Anche se questa considerazione non dovrebbe coinvolgere il settore del lusso, è chiaro tuttavia che avere la possibilità di creare collezioni in tempi più rapidi incoraggerà il trend, con il probabile arrivo di più capsule collection sul mercato.
Un altro problema, molto poco menzionato dai sostenitori dell’intelligenza artificiale, è quello dell’impronta ambientale della tecnologia digitale. L’high-tech è già un grande consumatore di energia. Il ricorso su larga scala a una tecnica simile non può che amplificare tale superconsumo. Inoltre, come osserva Clarisse Reille, “esiste il rischio di possibili manipolazioni e di distorsioni replicate da questo tipo di strumento aperto”.
Guardando anche il punto di vista pratico, le immagini generate dall'AI non permettono di andare direttamente in produzione. “Oggi il difetto delle immagini generate digitalmente è che sono in 2D. Stilisti e modellisti, che conoscono il tessuto e i committenti, devono quindi integrarle”, sottolinea la direttrice generale dell'IFTH. “Ma entro due anni avremo delle soluzioni”, afferma. “In un futuro abbastanza prossimo, con il 3D, saremo in grado di generare forme del tutto originali, in particolare tramite gli algoritmi NeRF”, afferma Paul Mouginot.
Alcuni player del settore della moda sono già al lavoro per avvicinare l'IA, con la sua velocità di esecuzione, al 3D, una tecnica di modellazione esistente già da anni, che consente di ottenere rendering molto realistici, compresa la caduta di un tessuto sul corpo, per visualizzare un prodotto prima di realizzarne il prototipo. Una prima piattaforma, che lavora sull'integrazione tra intelligenza artificiale e progettazione 3D, è stata lanciata a fine 2021 a Hong Kong: si tratta di AiDLab, creata dal Politecnico di Hong Kong e dal Royal College of Art, che hanno sviluppato il software AiDa, attualmente in fase di test da parte di studenti di moda.

Infine, l’IA tocca un punto cruciale, ovvero la questione della proprietà intellettuale. “C'è una vera sfida per i possessori dei dati nel riuscire a preservarli, perché tutto ciò che viene dato alle IA per alimentarli viene utilizzato dalle IA. Ciò solleva il problema del diritto d'autore. I marchi che utilizzano l’intelligenza artificiale devono assolutamente proteggere i propri dati e le loro creazioni”, avverte Frédéric Rose, il quale osserva che “la maggior parte delle griffe del lusso lo hanno capito, in quanto i sistemi di intelligenza artificiale esistenti sul web sono completamente vietati all'interno dei loro team”.
Sulla stessa lunghezza d'onda, Clarisse Reille preconizza “uno strumento totalmente adattato al marchio, che deve creare il proprio sistema di intelligenza artificiale con un suo set di dati e un universo che rifletta la sua storia. Questa base deve essere di sua proprietà”.
“L'importante è essere capaci di personalizzare il modello di intelligenza artificiale sull'immaginazione dei marchi. Ciò consentirà di effettuare una formazione più raffinata e precisa sul DNA della maison”, conferma Paul Mouginot, che incoraggia i brand “dedicarvisi abbastanza rapidamente”. “Sarà una vera trasformazione. Le aziende devono assolutamente abituarsi a queste tecnologie perché ciò accada. È un po' come l'avvento di Internet. Molti, soprattutto tra le griffe del lusso, erano restii a scommettere sul digitale. Ora, i primi ad aver scommesso sul digitale beneficiano ancora di questo vantaggio competitivo”, conclude Clarisse Reille.
L’unico problema è la carenza di talenti esperti in intelligenza artificiale e 3D nel settore della moda. Le scuole stanno appena iniziando a lanciare una formazione dedicata.
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