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Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
15 ott 2017
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Louise McCabe (Asos): “Lo sviluppo sostenibile non è una gara”

Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
15 ott 2017

Direttrice della politica di responsabilità sociale delle aziende (RSE) all’interno di Asos, Louise McCabe ha presentato il 12 ottobre a Parigi la terza collezione Asos Made in Kenya, una linea dell’e-retailer britannico realizzata insieme al laboratorio africano di confezione di abbigliamento Soko. Una buona occasione per la dirigente per comunicare a FashionNetwork.com le difficoltà e gli ostacoli incontrati dai marchi sulla via dello sviluppo sostenibile.

Louise McCabe - Matthieu Guinebault/FashionNetwork


FashionNetwork: Qual è oggi la strategia adottata da Asos in materia di sviluppo sostenibile?
 
Louise McCabe: Abbiamo grandi obiettivi per la nostra attività, per esempio lavorare con un 100% di cotone sostenibile entro il 2020. Il che farà sì che avremo un’offerta di denim e di altri prodotti molto più responsabile, che sia in cotone BCI (Better Cotton Initiative, ndr.), Made in Africa, organico o fair trade. Per il momento, quello che abbiamo fatto è scegliere di lavorare con un’organizzazione specializzata nel sourcing sostenibile per l’abbigliamento, per calcolare dove si collocano i nostri principali impatti ambientali. Cotone, viscosa, poliestere… Ma in parallelo, per questa collaborazione con l’associazione keniana di abbigliamento Soko, la nostra prima preoccupazione era curare la condizione di lavoro degli operai tessili e il fatto che questo impiego possa aiutarli a uscire dalla povertà. Ciò fa parte della nostra strategia a lungo termine. Per ora si tratta di una piccola linea, al 100% sostenibile, ma non è che una prima tappa, perché è un’iniziativa che s’iscrive in un programma più ampio, che prevede ad esempio degli impegni per il corretto trattamento degli animali e la disponibilità a mappare tutte le nostre forniture.

FNW: Quali difficoltà avete incontrato da Asos quando avete lavorato sulla sostenibilità?
 
LM: La mappatura della filiera, della catena di approvvigionamento, è per esempio molto difficile, perché è sempre un groviglio complesso. E spesso è difficoltoso far cambiare le cose per motivi logistici, a seconda delle dimensioni delle aziende. Asos cresce dal 30 al 40% ogni anno, seppure in un settore industriale in una fase di grande sconvolgimento. E seguire questi cambiamenti può rivelarsi complesso. Mappare il sourcing necessita di investire una notevole quantità di risorse in molti Paesi e questo richiede la costruzione di un rapporto di fiducia con i nostri fornitori. Quando eravamo più piccoli, e quindi erano tali anche gli ordini che facevamo, eravamo meno influenti. Ora che siamo fra i committenti più grandi, possiamo spingere i produttori ad evolversi. Non abbiamo ancora portato questa logica fino agli agricoltori, ma pubblichiamo con regolarità dei rapporti sui nostri modi di procedere, non in una logica “Siamo più attenti allo sviluppo sostenibile di voi!”, ma perché l'industria nel suo complesso deve diventare sostenibile e trasparente.
 
FNW: Come è evoluto il ruolo della sostenibilità nelle vostre discussioni?
 
LM: Dieci anni fa spiegavamo questi problemi ai team del retail in modo che la nostra base gerarchica potesse capire di cosa si trattava. Oggi è il nostro stesso CEO che è appassionato di questi temi. In ogni grande riunione della nostra azienda ricorda: “Moda e integrità: ecco il tipo di società che vogliamo essere!”. E da quando lo dice, hanno cominciato a dirlo tutti, e tutti si sono allineati a questa volontà. Per me è come essere in “Alice nel paese delle meraviglie”, quando invece, 10 anni fa, dovevo farmi avanti timidamente su questi temi. Pertanto, è fondamentale coinvolgere tutti, a partire dall’apice della piramide. Il sostenibile non può agire come satellite di una struttura economica; deve essere integrato al processo.
 
FNW: La mentalità dei brand cambia altrettanto rapidamente di quella dei clienti?
 
LM: Non si può fingere e dire: "Oh sì, siamo sostenibili", presentando solo cinque capi in tutto che rispondono agli imperativi della sostenibilità. Bisogna ammettere che lo sappiamo tutti che che approvvigionarsi dei prodotti è un fatto complesso nell’universo della moda. Conosciamo tutte le cose dubbie che accadono nell’ambiente. Il fatto che alcuni marchi comprano grandi quantità di tessuto e poi ne scartano la maggior parte … Bisogna cambiare tutta questa cultura del consumo per entrare in un nuovo mondo di circolarità, e imparare a non sprecare. Ma lo sviluppo sostenibile non è una gara. E poiché i consumatori diventano sempre più attenti, i marchi stanno lavorando sempre più insieme su questi temi.

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