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Pubblicato il
14 mar 2018
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Le sfide del tessile-moda italiano tra managerializzazione e ricambio generazionale

Pubblicato il
14 mar 2018

Managerializzazione e ricambio generazionale, il futuro del tessile-moda nazionale dovrà passare anche da lì. È stato, infatti, questo uno dei temi dibattuti durante il convegno "Umbria: incontro con i talenti della moda" tenutosi a Gubbio il 10 marzo e promosso da Confindustria Umbria e dal Gruppo Giovani Imprenditori di Sistema Moda Italia.

Bertrand Thiry


Secondo la decennale esperienza nel settore del manager francese Bertrand Thiry, la longevità delle aziende del nostro Paese, per lo più a conduzione familiare, dipenderà in primis dalla loro capacità di sapersi trasformare in società moderne, aperte e tecnologiche.
 
Profondo conoscitore della realtà manifatturiera italiana grazie alle numerose esperienze dirigenziali presso realtà del nostro comparto tessile (Maglificio Matia, Unomaglia, Mantero e Ratti, ndr.), Thiry ha elogiato nel suo intervento la creatività e la qualità del Made in Italy. “Oltre il 90% della produzione francese è realizzato in Italia. I cugini d’Oltralpe sono forti nel marketing, nella distribuzione e nella comunicazione ma, da 15-20 anni, non hanno più la capacità di creare un prodotto di altissima qualità e, per fare questo, devono appoggiarsi a realtà esterne, principalmente italiane che, grazie ai loro artigiani, hanno ancora quel savoir faire andato via via perduto nel mio Paese”.

D’altro canto, secondo il manager, la riluttanza in Italia al ricambio generazionale potrebbe rappresentare il principale fattore di declino delle aziende a conduzione familiare, che come ben noto, sono la maggioranza nel tessuto produttivo del Belpaese. “Spesso più anziani di quelli italiani, i marchi francesi hanno già compiuto questo passo facendo entrare nuovi soci in azienda, avviando una fase di managerializzazione sconosciuta alla maggior parte delle imprese del tessuto industriale italiano”, ha spiegato Thiry. 
 
“I grandi gruppi d’oltralpe hanno un crescente bisogno di piccole imprese che rispondano ancora più fedelmente alle loro esigenze e saranno quindi pronti a fare acquisti non più solo di griffe, ma anche di quei piccoli produttori e laboratori artigianali italiani che sono una delle forze motrici alla base della qualità del made in Italy. Si tratta di un processo già in atto in altri settori che, a breve, investirà a mio avviso anche il comparto moda”, ha preconizzato il manager.
 
Thiry ha concluso precisando che l’eccesso di managerializzazione potrebbe rappresentare un’arma a doppio taglio: “L’azienda perde parte del suo DNA, della sua anima, e viene proiettata in una stringente logica finanziaria, che può portarla a tralasciare importanti aspetti legati per esempio a valore e qualità”.

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