Le emissioni di CO2 della moda sono di nuovo pericolosamente in aumento, afferma un rapporto
L'industria globale del tessile-abbigliamento ha registrato durante i lockdown internazionali una contrazione delle sue emissioni di carbonio. Queste ultime tornano però a salire per otto dei dieci grandi gruppi studiati dall'organizzazione ambientalista Stand.earth, che sottolinea come le traiettorie percorse dai colossi del settore siano in contraddizione con gli obiettivi fissati dalla UN Fashion Charter (la Carta dell’ONU relativa all'industria della moda per l'azione per il clima), di cui tutti questi marchi sono firmatari.
L'analisi ha riguardato American Eagle Outfitters, Fast Retailing, Gap, H&M, Inditex, Kering, Lululemon, Levi Strauss & Co., Nike e VF Corp. Gruppi che hanno la specificità di superare i 4 miliardi di dollari di fatturato annuo e di aver firmato la Carta della Moda dell'ONU, che mira a limitare il riscaldamento globale a 1,5°C.
Una carta i cui dati sono, in questo rapporto, riconciliati metodologicamente con i rapporti ambientali e/o il CDP (Carbon Disclosure Project) pubblicati dai gruppi*. Dall'evoluzione delle emissioni tra il 2020 e il 2021 è stata ricavata una proiezione dei loro futuri incrementi, nel caso in cui gli impegni ambientali di questi marchi non venissero applicati.
Un esercizio illustrativo e militante, da cui emerge che solo Levi Strauss e VF Corp hanno finora avuto traiettorie di emissioni al ribasso dal ritorno alla normale produzione. Inoltre, solo Levi Strauss & Co sarebbe sulla strada del rispetto dell'obiettivo di riduzione del 55% delle emissioni di CO2. Il gruppo VF Corp (Supreme, The North Face, Timberland, Vans) presenterebbe una curva discendente, ma che comunque lo porterebbe, su questo slancio, a superare il target fissato per il 2030.
Solo questi due gruppi, sui dieci osservati, non mostrano una ripresa al rialzo delle emissioni di CO2 nel 2021. All’opposto in questa classifica, Nike e Inditex riportano 10 milioni di tonnellate di CO2 emesse dalla loro catena di approvvigionamento. Cifra che rappresenterebbe, secondo il rapporto, l'equivalente delle emissioni di due milioni di automobili.
“Impegnarsi a utilizzare il 100% di energia rinnovabile”
Se anche Fast Retailing, Gap Inc. e H&M Group evidenziano un'accelerazione delle emissioni, il report segnala in particolare il caso degli incrementi osservati presso American Eagle (+14,61%), Kering (+13,66%) e soprattutto Lululemon (+62,97%). Per Stand.earth, questo aumento illustra l'incapacità di Lululemon di dissociare crescita e inquinamento, ma soprattutto mostra una strategia di sourcing sempre più inquinante.
“Sebbene tutti e dieci i marchi valutati abbiano fissato o raggiunto obiettivi di energia rinnovabile al 100% per i loro negozi e magazzini, solo Kering e H&M hanno finora dimostrato la leadership necessaria per estendere questo impegno alle loro catene di approvvigionamento”, indica Stand.earth. “L'eliminazione dei combustibili fossili è fondamentale per decarbonizzare le supply chain dei marchi e ridurre la principale fonte delle loro emissioni: i brand devono impegnarsi a utilizzare il 100% di energia rinnovabile nelle loro catene di approvvigionamento proprio come nelle proprie operazioni”.
Il report è disponibile sul portale Stand.earth. Il suo riferimento, l'Emission Gap Report pubblicato dall'ONU nell'ottobre 2021, è invece consultabile sul portale dell’UNEP (il programma ambientale delle Nazioni Unite).
*“Le effettive emissioni della catena di approvvigionamento utilizzate nell'analisi sono state ottenute dai dati sui beni e servizi acquistati, riportati dalle aziende nei loro rapporti sulla sostenibilità o annuali o nelle loro risposte al CDP (ex Carbon Disclosure Project)”, afferma Stand.earth. “Le emissioni previste sono state calcolate utilizzando la variazione percentuale annua delle emissioni (ossia il tasso di crescita) comunicata dalle aziende per il periodo 2020-2021”.
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