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4 gen 2021
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Le calzature italiane perdono il -33,1% nei primi 9 mesi

Pubblicato il
4 gen 2021

L’onda lunga del coronavirus continua a farsi sentire sui principali settori del fashion made in Italy. Per quanto riguarda nello specifico il comparto calzaturiero, sebbene nel terzo trimestre si siano registrati timidi segnali di ripresa, con un fatturato comunque in calo del -26,6%, la strada per uscire dalla crisi è ancora lunga, come delinea Siro Badon, Presidente di Assocalzaturifici.
 

Siro Badon, Presidente di Assocalzaturifici


"I dati cumulati dei primi 9 mesi dell’anno ci mostrano un settore messo a dura prova dall’emergenza sanitaria. Registriamo contrazioni attorno al -20% in volume per consumi interni (-17,8%) e vendite estero (-20,1%), forti arretramenti nella produzione industriale (-29,4%) e una riduzione media di un terzo (-33,1%) nel fatturato delle aziende associate”, ha dichiarato Badon. “Flessioni generalizzate, quasi sempre a doppia cifra, sui principali mercati di sbocco, con l’attivo del saldo commerciale che si è ridotto del -18,1%”.
 
Il Presidente ha inoltre sottolineato come i primi segnali di un ritorno alla normalità della domanda, sia internazionale che interna (a settembre export e acquisti delle famiglie italiane avevano eguagliato i volumi dell’analogo mese 2019), rischiano di essere subito annullati dalla seconda ondata pandemica, con gravi ripercussioni sulle capacità di tenuta del settore, che ha visto ridursi ulteriormente nel 2020 il numero di imprese attive (-101 nei primi 9 mesi) e di addetti (sceso di circa 2.600 unità).

Secondo il Fashion Consumer Panel di Sita Ricerca per Assocalzaturifici, i comparti più colpiti sono quelli delle scarpe “classiche” per uomo e donna (con cali attorno al -30%), mentre per le calzature da bambino e le sneaker la flessione oscilla tra il -15 e il -20%. Meno pesante la frenata per il segmento pantofoleria, sceso del -7,4% in paia e del -6,8% in spesa.
 
Le esportazioni, che da sempre costituiscono il traino del settore, hanno subìto nei primi 9 mesi dell’anno una contrazione del -20,1% in quantità e del -17,2% in valore. Complessivamente sono stati esportati da gennaio a settembre 127,1 milioni di paia (quasi 32 milioni in meno rispetto all’analogo periodo del 2019) per 6,4 miliardi di euro, con prezzi medi in aumento del +3,6%. La flessione si è decisamente affievolita nel trimestre luglio-settembre, con un calo del -6,5% in volume e del -1,5% in valore; in particolare, nel mese di settembre il numero di paia esportate ha eguagliato quello di settembre 2019 (+0,3%).
 
Dal punto di vista geografico, le esportazioni verso i Paesi della UE (65% del totale) sono calate del -16,5% in volume e del -14,5% in valore, con un picco di oltre il -20% verso la Francia. Tra le destinazioni extra-UE (scese nell’insieme del -26% circa in quantità e del -19,3% in valore), cali nell’ordine del -30% per il Nord America (con gli USA che segnano un -35% in volume e -29,6% in valore), del -23,3% in Far East (Cina -20% in volume, Hong Kong -35%, Giappone -25%), con l’unica eccezione della Corea del Sud (cresciuta del 16% in valore, pur a fronte di una flessione del -6,8% nelle paia). Male anche la CSI (con la Russia che perde il -25% in volume) e il Medio Oriente (-20,5%). Un po’ meno pesante (-16,4% in quantità e -9% in valore) la riduzione dell’export verso la Svizzera, tradizionale hub logistico-distributivo delle grandi multinazionali del lusso, grazie al recupero (+6% nelle paia e +10% in valore) registrato nel terzo trimestre. Scese infine del -29% in quantità e del -23% in valore le vendite verso il Regno Unito.
 
Per quanto riguarda l’Italia, il Veneto (che rappresenta il 28% sul totale Italia) contiene le perdite in un -13,4% in valore. Arretramento del -18% per la Lombardia e del -22% circa per la Puglia; ancora più marcate le flessioni per la Toscana (-30,3%), le Marche (scese del -27,7%) e la Campania (-42,4%).

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