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Ansa
Pubblicato il
8 feb 2011
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Lacroix e le donne d'Oriente, in mostra 150 abiti

Di
Ansa
Pubblicato il
8 feb 2011

Non burqa o niqab, scuri e informi, che nascondono il corpo femminile privandolo della propria identità e sensualità. Ma abiti colorati, ricamati con le fantasie più svariate, carichi di significato, che ornano e valorizzano la figura, a volte la proteggono, unendo la praticità all'estetica.

Christian Lacroix

E' uno sguardo nuovo sul modo di vestire delle donne orientali quello di Christian Lacroix, nell'esposizione "L'orient des femmes" che si é appena aperta al Museo del Quai Branly di Parigi.

"E' soprattutto un inno alle donne orientali, alla loro arte vestimentaria, alla loro storia, ai costumi e alle tradizioni", spiega lo stilista, che ha curato la direzione artistica della mostra patrocinata dalla Première Dame di Francia, Carla Bruni.

"Con Hana Chidiac, responsabile delle collezioni Africa del Nord e Vicino Oriente del museo, abbiamo cercato di mostrare questi costumi nella loro umile grandezza, nella loro modesta opulenza, regione per regione, appesi come quadri o forse pronti a prendere il volo su manichini sospesi, mentre ci dicono le parole essenziali di un'epoca troppo in fretta dimenticata".

L'esposizione si apre con un abito da bambina del XIII secolo, ritrovato in una grotta del Libano - un prestito del Museo nazionale di Beirut - ma la maggior parte dei pezzi in mostra, circa 150 tra vestiti, mantelle e veli, risalgono alla fine del XIX secolo fino a nostri giorni e provengono dalle collezioni del Quai Branly e da quella privata di Widad Kamel Kawar, in Giordania.

Sono i costumi tradizionali delle donne dei villaggi, siriane, giordane, palestinesi o beduine, che abitavano i territori dal nord della Siria alla penisola del Sinai, spiega la Chidiac, e la cui ricchezza e vivacità ha spesso attirato l'ammirazione dei viaggiatori del secolo scorso.

E' dagli anni '70 che l'immagine e la fisionomia della donna del Vicino Oriente è cambiata. Dice Lacroix: "Oggi quella che chiamiamo la 'tenuta islamica' rinvia a qualcosa di colore scuro, che ricopre il corpo delle donne senza nulla lasciare scoperto e porta progressivamente all'abbandono dei costumi tradizionali orientali e alla conseguente scomparsa di un arte vestimentaria secolare. Invece", continua lo stilista, "gli abiti di queste donne 'mitiche' sono carichi di segni, sono abiti scritti che raccontano una terra d'origine, un ambiente sociale o religioso, un'arte di vivere, un modo d'essere. Sono gli abiti che avrei voluto creare".

"Mi piace l'idea di queste donne che il giorno della pubertà erano obbligate a cominciare a ricamare il loro vestito di matrimonio", osserva ancora Lacroix, "perché c'é posto per la loro individualità. Nessuno stilista oggi potrebbe competere con quello che è stato elaborato da secoli di artigianato e tradizione". E riguardo alla questione del velo islamico lo stilista si dice contrario "quando c'é obbligo, quando è imposto, quando è la negazione della persona".

Invece non c'é "nessun motivo personale" alla base del patrocinio dell'esposizione della Bruni, si affretta a spiegare Lacroix, ma solo una questione pratica: "Al vernissage dovevano venire la regina di Giordania e anche la moglie del presidente egiziano Hosni Mubarak e solo una Premiere Dame avrebbe potuto accoglierli. Ma poi gli eventi recenti non hanno reso possibile la loro venuta".

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