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Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
6 dic 2022
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La presa di posizione politica è un nuovo paradigma nella moda?

Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
6 dic 2022

Emerso nell'ultimo decennio, l'attivismo dei marchi è diventato un tema imprescindibile dall'inizio del decennio e dall’emergere del movimento Black Lives Matter negli Stati Uniti. In precedenza, la stragrande maggioranza dei marchi non prendeva impegni politici e mirava al consenso. Tutt’al più potevano occasionalmente associarsi ad uno slogan sociale o ad un'iniziativa eco-responsabile. Dalla metà degli anni 2010, però, hanno cominciato ad affermarsi diversi propositi ed intenzioni, presi in particolare per rispondere alle aspettative di certe categorie di consumatori americani.

Collezione SavageXFenty per il mese dell'orgoglio 2021 - SavageXFenty


In occasione dell'evento Fashion Reboot, organizzato a Parigi giovedì scorso dall'Institut Français de la Mode (IFM), Caroline Ardelet e Benjamin Simmenauer hanno presentato il loro lavoro, svolto con l'IAE dell'Università Paris 1, sul tema della concretizzazione dell’attivismo nella moda. I due professori dell'istituto di formazione sono partiti dal moltiplicarsi delle personalità che mettono in chiaro, durante eventi pubblici, la loro posizione politica o la loro adesione a una causa, tramite il loro abbigliamento.

“Queste star si espongono a polemiche, anche al rigetto da parte dei loro fan o del loro pubblico. È un’impostazione rischiosa, ma permette di distinguersi dalla massa e creare una relazione specifica. Secondo gli studi, i consumatori vogliono consumare in maniera coerente con i propri valori. Proprio come le celebrità, i consumatori faranno scelte di abbigliamento in linea con le loro convinzioni e valori. Abbiamo avuto la percezione che la politicizzazione della moda, molto forte negli anni '80 e '90, sia tornata in modo nuovo. Volevamo saperne di più utilizzando un approccio rigoroso e scientifico”.

Dal 2020, infatti, le aspettative dei consumatori sono ancora più chiare: molti di loro si aspettano che i brand siano impegnati. In particolare, uno studio internazionale di Ipsos indica che nel 2021 più di due terzi degli americani, ma anche il 60% degli inglesi o dei francesi, dichiara di tendere ad acquistare un brand che condivida i suoi valori. Nel 2013 lo aveva riferito la metà degli americani, contro il 43% degli inglesi e il 44% dei francesi. E la tendenza sta aumentando. Secondo l'istituto di consulenza Roland Berger, che a fine 2021 ha posto a un panel di 2.000 consumatori la domanda: “Quanto è importante per te che i brand prendano una posizione sui temi sociali?”, il 61% dei 26-40enni e il 63% dei 19-25enni ritiene che questi argomenti siano importanti o addirittura molto importanti.

“Con le recenti crisi politiche e l'incredibile crescita delle interazioni ad oggetto politico sui social network, dove tutti possono esprimere pubblicamente i propri valori, non solo cercheremo brand allineati, ma li sfideremo a sostenere delle cause. E vediamo che le dichiarazioni senza impegno o azione non bastano più”, suggerisce Benjamin Simmenauer.

Fatta questa osservazione, adesso molti brand si stanno interrogando su come progredire su questo tema, in particolare sulla scelta di una causa e sul modo di associare ad essa il marchio stesso.

“Cosa devono fare i brand per soddisfare questa nuova esigenza politica? Di fatto, devono destreggiarsi tra richieste contraddittorie. Da un lato, i consumatori sembrano chiedere ai marchi di impegnarsi attivamente per risolvere i problemi della società, ma dall'altro, i brand hanno paura di suscitare l'impressione che tentino di manipolare o di appropriarsi di una tematica in modo opportunistico e cinico. Ci siamo detti che avremmo cercato di aiutare i marchi che hanno voglia d’impegnarsi e che non sanno come farlo”, sostiene Caroline Ardelet.
 
È stato proprio nel tentativo di fornire strumenti di analisi ai marchi che i due accademici hanno lavorato sui prodotti di abbigliamento che veicolano un messaggio.
 
Primo punto centrale per un marchio di moda: lo stile. “Ciò che rimane decisivo è il rapporto con l'aspetto fisico. Poi, il consumatore crea una connessione con il marchio che gli dà l'opportunità di esprimersi e impegnarsi su un argomento controverso. Ci sono moltissimi studi che dimostrano che questa connessione porta all'intenzione di acquisto. Infine, più il brand si assume dei rischi diventando un attivista, più intensifica il rapporto con tali consumatori”.

Lo scorso aprile i ricercatori hanno condotto un case study con 184 donne, consumatrici di moda, dall’età media di 32 anni. Caroline Ardelet e Benjamin Simmenauer hanno offerto loro quattro magliette di un marchio immaginario chiamato Mode. “Avevamo due argomenti. Uno con le notizie scottanti della guerra in Ucraina e il sostegno ai rifugiati, l'altro su un tema sociale con la protezione delle donne maltrattate. Per ognuno è stata creata una maglietta con un messaggio oppure una t-shirt interamente bianca, ma che aderisce alla causa tramite una dichiarazione via sito e social”.

Lo scopo è lo stesso per le due t-shirt parlanti, ovvero stop alla violenza contro i rifugiati e contro le donne. La t-shirt è identica in tutto e per tutto. E tra le quattro proposte, i ricercatori notano grandi differenze.

“A seconda del messaggio - e se è scritto sulla t-shirt o scritto solo su un post - le reazioni sono molto diverse. Secondo noi, le t-shirt che veicolano un messaggio sono un supporto per i temi controversi del momento. Dall'altro invece, il desiderio di esposizione non funziona con una causa che non abbia un’attualità forte. Nel nostro esperimento, è risultato più positivo impegnarsi sui social network. Quando un brand non propone una t-shirt con un messaggio, ma opta per un impegno più discreto su un social network o su una pagina del suo sito, dà l'impressione di credere in questo tema. Il suo cliente lo identificherà come un engagement vero, che non viene usato come argomento commerciale, opportunista o cinico”, sostengono i due ricercatori.

Primi elementi che presto altri case study, su diverse categorie merceologiche, dovrebbero venire a rafforzare, ma che soprattutto dovrebbero riuscire ad aiutare i brand a definire la propria strategia nella scelta delle cause a cui desiderano associarsi.

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