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12 giu 2020
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La moda Made in Italy del futuro? Sostenibile, di qualità, accessibile e integrata

Pubblicato il
12 giu 2020

Giovedì scorso, alcuni importanti rappresentanti di istituzioni, consulenti e imprenditori del comparto moda si sono confrontati sul futuro dell’universo fashion durante l’ottavo appuntamento di “Tempo di Rinascita - Scenari, idee, progettualità”, ciclo di conferenze digitali ideato dall’agenzia di comunicazione DOC-COM per riflettere a più voci sul mondo che sta cambiando. Ne è risultato, in particolare, che la moda realizzata in Italia (seconda industria manifatturiera del Paese), rappresenta un patrimonio al quale non si può rinunciare, a maggior ragione mentre la nazione è alle prese con il post-pandemia, e che già nel prossimo futuro sostenibilità, qualità e accessibilità saranno i concetti (e soprattutto le pratiche) che porteranno il settore a rifiorire.

Antonio Franceschini, CNA Federmoda


“Dobbiamo far passare il messaggio che, nel comparto moda in particolare, il concetto di Made in Italy si è arricchito di valori sempre più riferiti all’ambito della responsabilità sociale d’impresa”, ha esordito Antonio Franceschini, Responsabile Nazionale di CNA Federmoda inaugurando la conferenza, “e che il Fatto in Italia interpreta nel mondo non solo i valori di bellezza e qualità dei prodotti, ma anche quelli di una produzione sostenibile dal punto di vista sociale, etico e ambientale. L’Italia può posizionarsi nel contesto internazionale come fabbrica del bello, grazie anche ad una catena di fornitura integrata nei nostri distretti industriali; serve, però, una visione condivisa, un’unità di filiera sulla necessità di riconoscere il valore anche economico delle competenze lungo tutti gli anelli della catena imprenditoriale”.

È stata affidata a PixData, agenzia di digital intellicence e digital consulting, l’analisi del web sentiment relativo alla moda Made in Italy nel pre, durante e post Covid. A emergere, tre parole che saranno le linee guida del fashion di domani: ecosostenibilità, qualità e accessibilità. “Da gennaio 2020, Pixdata in partnership con KPI6.com, ha analizzato e classificato 110 mila conversazioni in merito alla moda realizzata in Italia, con l'obiettivo di creare un osservatorio del Made in Italy per anticipare le richieste del pubblico e suggerire a imprenditori e aziende del settore, insight di mercato”, ha spiegato Luca De Albertis, co-CEO di Pixdata, il quale ha riferito di una media del sentimento delle conversazioni che identifica un 35% di negatività verso il Made in Italy, che scende al 17% quando si parla di qualità ed ecosostenibilità.

Luca De Albertis, Pixdata

 
Gli utenti di riferimento appartengono alla generazione Z (35,7%) e ai millennials (32,1%). Essi sono caratterizzati da apertura mentale e predisposizione al cambiamento superiori alla media, ma hanno al contempo un basso potere d’acquisto. È quindi necessario ripensare il Made in Italy attraverso soluzioni che permettano all’audience di acquistare abiti di qualità, ecosostenibili e a un prezzo contenuto, guardando a modelli come il noleggio e il riuso. E ha illustrato la case history di Rent the Runway. “Esistono ad esempio nuovi business digitali in abbonamento che stimolano il riuso, pongono l’accento sulla redemption del cliente, lasciando ampi spazi ai costi di acquisizione, che sappiamo essere la grande criticità degli e-commerce di oggi”, afferma De Albertis.

Un esempio? Sottoscrivi l’abbonamento mensile, e scegli quattro capi a tuo piacimento, quando vorrai potrei mandarne indietro uno, due, tre o addirittura tutti e quattro, scegliendo i nuovi prodotti dal catalogo che ti verranno spediti direttamente a casa tua in sostituzione a quelli che non soddisfano più le tue esigenze. “Altro cambiamento significativo sarà quello che investirà sempre più il retail: i negozi diventeranno dei veri e propri “Media Outlet” dedicati non alla vendita del prodotto, ma alla narrazione del brand e agli aspetti più emozionali del marketing”, ha sostenuto l’esperto.

Marco Calzolari, Kaos


Secondo Maria Elena Molteni, direttore responsabile di Luxury&Finance, reshoring, internazionalizzazione e digitalizzazione saranno i mantra del futuro post Covid. “Sull’internazionalizzazione il Ministero degli Esteri ha lanciato da pochi giorni un piano che si fonda su sei pilastri. Il digitale era già prepotentemente in agenda. Oggi diventa una necessità”, ha affermato la Molteni. “Non solo per dare vita a gemelli digitali capaci di surfare le onde di una nuova eventuale crisi sanitaria, ma anche per essere sempre più proiettati e presenti nel mondo”.
 
Il comparto del tessile-abbigliamento si appresta a chiudere, stando alle stime degli analisti, con una contrazione che sarà nell’ordine del 25% nella migliore delle ipotesi e del 35% nella peggiore. “Intanto si deve fare fronte a una crisi di liquidità senza precedenti per le aziende che spesso non riescono ad accedere ai finanziamenti del Governo e nemmeno agli ammortizzatori sociali”, ha continuato la Molteni, “se è vero che la cassa integrazione è stata anticipata dalle aziende per 4 milioni e 300mila dipendenti e le risorse sono andate esaurite in 15 giorni. Serve accelerare e dare spazio con strumenti adeguati a un comparto che, insieme al turismo e alla cultura, può rappresentare una leva strategica per evitare che all’emergenza sanitaria non segua una vera emergenza economica”.

Claudia D'Angelo, Fashion Research Italy


Ha focalizzato invece l’attenzione sulla moda veloce Marco Calzolari, titolare e amministratore unico di Kaos SpA, azienda con sede nel distretto del Centergross di Bologna e specializzata in moda total look dal 1980. “Abbiamo visto come una filiera dalla struttura più snella come quella del pronto moda sia riuscita a gestire meglio una situazione terribile come quella del recente lockdown, visto che ha meno dispendio di risorse e molta più agilità di movimento e di investimenti”, ha detto. “La moda veloce può configurarsi come un modello di business alternativo e vincente per la sua capacità di resilienza, resistenza e di reazione immediata”.
 
Claudia D'Angelo, responsabile dell’Archivio di Textile Design della bolognese Fondazione Fashion Research Italy, voluta dal cavalier Alberto Masotti, già patron de La Perla, per supportare le piccole e medie imprese, ha parlato di heritage e dell'archivio come leva di sviluppo. “Le radici del tessuto manifatturiero italiano costituiscono senz’altro la marcia in più del nostro Paese: sono quel "saper fare", frutto di decenni di eccellenza artigiana, che ne caratterizza le produzioni. Io sono convinta che le aziende per crescere debbano riappropriarsi del proprio passato per renderlo vivo, fonte inesauribile di creatività e ricerca, una sicura via di accesso a processi d’innovazione e internazionalizzazione”, ha affermato.

Lorenzo Delladio, La Sportiva


Da Lorenzo Delladio, CEO e presidente di La Sportiva, azienda della Val di Fiemme che produce calzature per l’arrampicata e l’alta montagna, arriva l’invito alla decelerazione. “Avevamo già pronta la nostra collezione Primavera-Estate 2020, ma il lockdown ci ha costretti a sospendere i nostri progetti. La lezione che abbiamo tratto da questi ultimi mesi è che è possibile, anzi auspicabile, adattarsi a modelli di produzione e di vita più lenti e meditati, meno strettamente consumistici. Per il futuro, mi auguro che si continui ad innovare, ma senza frenesia e con più consapevolezza”.

Marco Morosini, Brandina


“Di fronte a questa crisi senza precedenti l’imprenditore è stato abbandonato. Non mi sono mai sentito solo come in questo momento. Siamo soli nel combattere per un made in Italy di cui l’Italia va fiera a parole, ma si dimentica di difendere”, ha detto con durezza Marco Morosini, CEO del marchio di moda balneare Brandina The Original, sottolineando il coraggio imprenditoriale emerso dal comparto e la necessità di un maggiore supporto da parte dello Stato. “Non c’è sostegno alla creazione, alla formazione e al rinnovo delle professionalità. Il Governo deve difendere meglio gli asset della moda, del turismo e della cultura. È necessario migliorare la produttività, agevolare lo sviluppo dell’artigianato, abbassando il costo del lavoro e quindi anche quello del prodotto finale”.

Luca Piani, Duvetica


Infine, l’importanza della digitalizzazione è stata al centro dell’intervento di Luca Piani, dal settembre 2019 CEO di Duvetica International, brand italiano specializzato nella produzione di capispalla imbottiti. “Duvetica ha iniziato un forte processo di digitalizzazione con la nuova acquisizione da parte del gruppo coreano F&F, che ha voluto mantenere investimenti e creatività in Italia. Siamo ormai dentro a un mondo che accelera il contatto tra azienda e consumatore finale e in questo il digitale offre enormi vantaggi, non solo nell’interazione con le persone, ma anche nella revisione e ottimizzazione di processi organizzativi interni senza i quali l’internazionalizzazione e la sopravvivenza in momenti come quello del recente lockdown non sarebbero state possibili”.

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