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17 mag 2019
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La Moda investe sulla miniera dei Big Data

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Ansa
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17 mag 2019

Prada rafforza la sua strategia digitale con un accordo con Adobe che le permetterà di analizzare i dati registrati nell'interazione coi clienti sul web e nei sui 634 negozi. È solo l'ultimo episodio del riposizionamento degli investimenti della moda, sempre più interessata alle 'pepite d'oro' della miniera dei Big Data.

Uno store Moncler - @moncler


Un interesse sostanziato dai numeri. Per Boston Consulting entro il 2020 il 25% delle vendite fashion sarà sul web. Ma è riduttivo considerare la strategia digitale solo per l'e-commerce. Ci sono anche social media, influencer e siti.

Piattaforme web, logistica e analisi dei dati richiedono però enormi risorse. Per questo i colossi mondiali del lusso hanno potuto portarsi avanti. Kering dal 2017 ha un Chief Digital Officer per la trasformazione digitale, con progetti pilota che utilizzano i Big Data per mandare messaggi personalizzati ai clienti, in base alle loro preferenze, ricerche o acquisti.

Nel 2018 le vendite del gruppo di Pinault sono cresciute del 26,6%; quelle del suo 'campione' Gucci del 33,4%, e quest'anno il commercio online potrebbe superare il miliardo. Nel 2018 per ricomperare tutta Yoox-Net-à-Porter (l'apripista delle vendite online nella moda dell'italianissimo Federico Marchetti) il gruppo Richemont ha speso 2,7 miliardi.

Anche in Italia ci sono esempi d'innovazione. Miroglio Fashion (con marchi come Elena Mirò o Motivi) ha scommesso sulla multicanalità, istituzionalizzando lo 'showrooming', cioè l'abitudine di provare un abito in negozio per acquistarlo online. Sono nati così negozi fisici dove si possono provare le cose per poi acquistarle sul web. L'azienda è stata ripagata: l'anno scorso il fatturato da e-commerce è cresciuto dell'87%.

Altre italiane hanno dovuto recuperare terreno. Prada ha dedicato buona parte dei 284 milioni degli investimenti 2018 a riallineare la strategia, anche con nuovi siti, app per tracciare l'autenticità dei prodotti e perfino un account su Spotify. Un percorso simile sembra averlo imboccato Ferragamo. Dopo un 2018 deludente, con l'utile in calo del 21,1%, nei primi tre mesi dell'anno lo stesso utile ha messo il turbo (+23,5%). Dietro c'è il nuovo corso dalla CEO, Micaela Le Divelec Lemmi, non a caso con un passato in Gucci. Un approccio "più emozionale e coinvolgente" che punta alla fedeltà dei clienti, con investimenti in linea con il passato, ma focalizzati su marketing, influencer e i social media. Il cui ruolo dei consumatori è la leva più importante in Cina, ha spiegato Le Divelec: due volte di più rispetto a Europa e USA.

Moncler in questo senso ha fatto scuola. La creatura di Remo Ruffini macina utili (332,4 milioni nel 2018, +33%) e ricavi (1,42 miliardi, +22%). Una buona parte proprio in Asia. Dietro al successo c'è anche il progetto Moncler Genius, lanciato nel febbraio 2018 arruolando designer per capsule collection svelate con cadenza regolare per dare al consumatore sempre qualcosa di nuovo. Iniziativa considerata vincente, non tanto per i prodotti Genius venduti, ma per l'aumento del traffico sul sito (+33% di visite) e nei negozi (+10% di ingressi) che ha generato.

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