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Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
25 nov 2019
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LVMH-Tiffany: quale impatto per questa acquisizione record?

Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
25 nov 2019

Comprandosi Tiffany & Co., LVMH ha messo a segno un grandissimo colpo. Il numero uno mondiale del lusso ha messo sul tavolo la cifra record di 14,7 miliardi di euro, o 16,2 miliardi di dollari, per impadronirsi del leader del lusso negli Stati Uniti, ma anche e soprattutto di un marchio di gioielleria iconico. Si tratta della più grande acquisizione del gruppo francese nella sua storia. Un'operazione straordinaria, che si preannuncia molto promettente, e che è stata accolta favorevolmente dai mercati lunedì.

Con Tiffany, LVMH ha comprato una storia ricca di un'eredità culturale lunga oltre 180 anni - Tiffany.com


Tiffany & Co., una delle ultime grandi società indipendenti, senza azionisti di riferimento, era una preda ideale. Soprattutto perché mostra ancora un buon potenziale di crescita, essendo in piena fase di rilancio dal 2017, dopo un periodo complicato. In altre parole, un'operazione dai rischi limitati per LVMH, che dovrebbe garantirgli dei vantaggi. E questo anche se il prezzo pagato può sembrare elevato, poiché rappresenta 16,6 volte l’EBITDA del gioielliere, secondo i dati diffusi dal gruppo del lusso, valutando la società 16,9 miliardi di dollari.
 
“Tiffany & Co. è il primo gioielliere al mondo se togliamo gli orologi a Cartier”, indica un esperto del settore. Nell’esercizio 2018, chiuso il 31 gennaio 2019, Tiffany ha ottenuto un fatturato di 4,442 miliardi di dollari (4,034 miliardi di euro), in crescita del 7% riapetto all’esercizio precednte, con un utile netto di 586,4 milioni di dollari (532 milioni di euro), pari al 13,2% delle vendite totali, mentre l’utile operativo è stato di 790 milioni e l’EBITDA di 1,019 miliardi di dollari, con margini rispettivi del 17,8% e del 22,9%.

Con la sua celebre “blue box”, la scatola turchese del suo packaging dal colore così caratteristico, entrato nel linguaggio quotidiano come “blu Tiffany”, il marchio di gioielli, che vanta 14.200 dipendenti, dà a LVMH l’opportunità di mettere le mani su una casa storica, dotata di un ricco heritage, come piace al gigante francese, e di un’immagine consolidata da quasi due secoli. Tiffany & Co. è stato fondato da Charles Lewis Tiffany con l’apertura del primo negozio a New York, nel centro di Manhattan, nel 1837... Lo stesso anno in cui è nata Hermès! Altra casa che è stata oggetto delle attenzioni di LVMH.
 
“La struttura di Tiffany & Co. è sana ed interamente verticalizzata, dal design alla produzione. La società è molto avanzata nel settore. Dal 1982, controlla totalmente l’approvvigionamento e si procura direttamente tutti i diamanti, in particolare quelli grezzi, che poi fa tagliare. Il processo è completamente inquadrato. Su questo punto è inattaccabile. È anche molto avanti nella gestione dei clienti”, afferma l'esperto.
 
Un plus innegabile, in un momento in cui lo sviluppo sostenibile è diventato un must per l'industria del lusso. Come ha sottolineato il direttore finanziario di LVMH, Jean-Jacques Guiony: “Vogliamo trarre vantaggio dalla struttura produttiva interamente verticale dell'azienda e creare alcune sinergie a livello di gruppo. Potremmo beneficiare, ad esempio, del sourcing dei diamanti, ma è troppo presto per parlarne adesso”.

I vari segmenti dell'offerta multisfaccettata di Tiffany & Co. - LVMH


Altro elemento interessante: il gioielliere ha enormemente sviluppato la sua presenza nel mondo, quasi al 100% attraverso il canale di vendita al dettaglio, a parte in Asia, dove è distribuito anche tramite il canale wholesale. Su 321 negozi, situati in 20 Paesi e per la maggior parte nelle location più prestigiose, ne conta 124 negli USA ed è distribuito molto bene anche in Asia, con 90 boutique (escluso il Giappone che da solo ne conta 55), in particolare in Cina, dove è molto presente. Ai negozi s’aggiunge l’e-shop, che rappresenta il 7% delle vendite totali.
 
“Il modello di business delle firme di LVMH si sviluppa già su una distribuzione di negozi in gestione diretta. Con Tiffany, per il gruppo francese ciò significa continuare a rafforzare la distribuzione in proprio e aumentare il suo potere contrattuale”, nota la designer di gioielli Loretta Baiocchi, che ha lavorato per le maggiori griffe del lusso e della gioielleria.
 
Tiffany verso un destino alla Louis Vuitton?
 
“Questo marchio sembra anche pronto per una più facile espansione nei mercati orientali. La sua offerta è molto interessante, perché copre tutti i segmenti. È particolarmente forte soprattutto nei prodotti di base gamma. Il modello di Tiffany è già ben definito. Con la sua forza d’urto, LVMH sarà in grado di estendere questo concept, che in sostanza è già pronto”, osserva. “Tiffany & Co. è un marchio universale, declinabile su qualsiasi prezzo. La sua gamma è d’alto livello sia nei primi prezzi che nei gioielli di alta e altissima gioielleria. Potrebbe diventare il Louis Vuitton della gioielleria!”, aggiunge un analista.
 
Sì, è vero, l’azienda di gioielli ha vissuto un periodo difficile dal 2015 cambiando il CEO per due volte in quattro anni e mostrando una certa discontinuità strategica, ma dopo aver registrato vendite in calo e aver perso quote di mercato tra il 2015 e il 2017, ha cominciato a riguadagnare terreno l’anno scorso, sotto la guida del nuovo CEO Alessandro Bogliolo. Arrivato al suo capezzale nel 2017, insieme al nuovo direttore artistico Reed Krakoff, il manager è riuscito ad infondere nuovo slancio a Tiffany & Co.
 
“Il marchio ha sempre mantenuto un valore intrinseco molto elevato, che non è mai stato messo in discussione, anche nel periodo in cui ha perso significativi volumi e quote di mercato negli Stati Uniti”, sottolinea ancora l’analista, stimando che questa transazione riguardi “un marchio poco sfruttato e dall’enorme potenziale di crescita”.
 
Con la sua solida struttura finanziaria, il gruppo guidato da Bernard Arnault appariva del resto come uno dei meglio posizionati per vincere questa sfida. Tanto più perché il colosso francese è noto per la capacità di rendere redditizi i propri investimenti, come tstimonia l’ascesa di Bulgari, che ha raddoppiato il fatturato da quando è stato acquistato da LVMH nel 2011.

La boutique del gioielliere a Sydney, in Australia - Tiffany.com


Con Tiffany, anche la divisione “Orologi e Gioielli”, che comprende i marchi Bulgari, Chaumet, TAG Heuer, Hublot e rappresenta solo il 9% delle vendite totali di LVMH, dovrebbe ottenere dei vantaggi, fino a salire al 16% del fatturato di gruppo e contribuire per il 13% al suo utile operativo, contro il 7% attuale, secondo le stime di LVMH.
 
In una teleconferenza con analisti, i dirigenti del gruppo transalpino del lusso hanno sottolineato come questa acquisizione consentirà “un bilanciamento aggiuntivo del portafoglio di LVMH, sia per prodotti che per regioni”, costituendo nel contempo “un complemento perfetto” delle sue maison, “idealmente allineato con l'obiettivo del gruppo di unire tradizione e modernità”. Il direttore finanziario Jean-Jacques Guiony, ha spiegato che per l’azienda americana non c’è una “priorità specifica”, ma che l’obiettivo è di far crescere insieme “il prodotto, la rete distributiva e il branding”.
 
Particolare attenzione dovrebbe essere prestata agli anelli di fidanzamento, uno dei punti di forza di Tiffany. Il fatto che la casa americana sia rinomata anche per i prodotti entry level non disturba il nuovo proprietario, perché questa linea fa parte dell'immagine di marca del gioielliere statunitense. “Come abbiamo imparato dall’esperienza con Bulgari, insisteremo sullo sviluppo delle collezioni, perché la collezione costituisce il cuore di questo business”, aggiunge il direttore finanziario.
 
La distribuzione in Europa, invero ancora debole, poiché rappresenta l’11% delle vendite complessive del gioielliere, contro il 44% degli USA, il 28% dell’Asia-Pacifico, e il 15% del Giappone, dovrà necessariamente aumentare, soprattutto presso la clientela locale e il travel retail.
 
Alla domanda se considera Tiffany & Co. più newyorchese che statunitense, Jean-Jacques Guiony ha risposto: “Né statunitense, né newyorchese. È un vero marchio di lusso, con un heritage americano che lo rende unico”. L'integrazione nella galassia LVMH è già partita.

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