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APCOM
Pubblicato il
3 feb 2016
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L'industria tessile siriana lotta per non morire

Di
APCOM
Pubblicato il
3 feb 2016

Una modesta fiera di settore a Beirut, in Libano, diventa una finestra di opportunità per l'industria tessile siriana che non intende arrendersi ma è costretta ad attirare all'estero una clientela diventata sempre più rarefatta a causa della guerra civile.


Il tessile di Damasco era un settore leader dell'economia nazionale con produzioni di stoffe di lusso e solide esportazioni dirette in Medioriente e in Europa. Ma ha dovuto fare i conti con un conflitto feroce che si articola all'interno dello scontro epocale che contrappone in tutto il mondo l'Islam sunnita a quello sciita.

Le fabbriche sono state distrutte, i lavoratori costretti a sfollare, le vendite congelate dalla sanzioni internazionali e la manodopera sempre più scarsa a causa della fuga massiccia verso l'Europa.

"Macchinari rubati sono stati contrabbandati in Turchia" rivela Alaa Eddine Maki, imprenditore tessile siriano. "Siamo stati costretti ad aprire laboratori di fortuna con qualche decina di macchinari recuperati qua e là. Prima, ogni capannone disponeva di 200 o 400 macchine utensili".

Ma l'obiettivo finale resta sempre l'attenzione alla qualità che era il marchio di fabbrica del tessile siriano. Un'industria che non intende piegarsi alle ricorrenti follie dell'estremismo locale o indotto. Come testimonia Reem Abu Dahab, determinata direttrice alle vendite di "Fitnah", consolidato brand siriano: "Una volta i compratori venivano da tutto il mondo ma la guerra li ha spaventati e ora sempre meno si avventurano in Siria. Per questo abbiamo deciso di presentare i nostri prodotti nelle esposizioni estere, come a Beirut o in Egitto".

Fonte: APCOM