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Adnkronos
Pubblicato il
17 dic 2018
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L'export italiano verso l'Iran penalizzato da embargo USA

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Adnkronos
Pubblicato il
17 dic 2018

Con le sanzioni USA imposte all'Iran a rischio una quota importante dell'export italiano. Il possibile rallentamento della domanda dell'Iran infatti potrebbe ripercuotersi sul Made in Italy che ha in Teheran un mercato di sbocco importante. È uno studio lanciato dal CSC, il Centro Studi di Confindustria, a fare il punto della delicata situazione internazionale. "L'Iran è un fondamentale mercato di sbocco per l'export italiano. E le sanzioni imposte dagli USA rappresentano una sfida per le imprese italiane, che oltre a dover far fronte a un quadro normativo più complesso, si troveranno a dover competere in spazi più stretti: ci si attende infatti un'ulteriore riduzione della domanda della Repubblica Islamica legata a quella dell'economia nel suo complesso, dato che idrocarburi e prodotti derivati colpiti dalle sanzioni costituiscono quasi la totalità delle esportazioni iraniane e che queste a loro volta pesano per il 24% del PIL iraniano", si legge nel Report degli economisti di viale dell'Astronomia.

ANSA


La sfida infatti, spiegano, "sarà quella di aumentare le quote per cercare di tenere elevato l'export in valore; le opportunità per l'Italia non mancano: tenuto conto che l'Iran ha una composizione della domanda di beni importati in linea con i prodotti esportati dal nostro Paese, si stima che ci sia un potenziale di 1,7 miliardi di euro contendibile ai principali concorrenti nell'area".

L'import totale dell'Iran, dice il CSC, si è attestato nel 2017 poco sotto i 50 miliardi di dollari e nell'ultimo quinquennio si è assistito a un crescente peso di beni ad alto contenuto tecnologico, in cui l'Italia gode di un elevato grado di competitività sui mercati globali: il peso degli autoveicoli è passato dal 2,9% del 2012 al 6,4% nel 2017, i macchinari dal 7,6% all'8,7%, le apparecchiature elettriche dal 3,4% al 4,6% e la chimica-farmaceutica dal 3,5% al 4,6%.

L'Italia ad oggi, ricorda ancora il CSC, ha una quota di mercato pari al 3,8%, che salirebbe a circa il 7,3% nel caso in cui riuscisse ad esprimere a pieno il suo potenziale. Il settore dei macchinari risulta, in termini di valore esportato in Iran, il più importante per il nostro Paese. Questo settore presenta un potenziale stimato di oltre 400 milioni di dollari in più rispetto ai 1.118 già realizzati. Per potenziale di export seguono il comparto delle apparecchiature elettriche e quello della chimica-farmaceutica con rispettivamente 245 (export effettivo: 137) e 233 milioni di dollari (export effettivo: 201).

Tra i settori tradizionali svetta la componente fashion (tessile, calzature e gioielli), ad oggi molto ridotta per l'Italia (circa 38 milioni di dollari), ma con un forte margine di espansione che ammonta a poco meno del quadruplo di quanto già realizzato (147 milioni). Per riuscire ad ampliare la sua quota con successo, l'Italia dovrebbe puntare a contendere quote ai propri competitor nei settori in cui essi sono meglio posizionati.

Ad esempio, nel settore degli autoveicoli l'Italia si troverebbe a competere con Giappone (quota del 5,0% nel 2017), Francia (10,1%) e Germania (3,8%); l'Italia, con una quota di appena lo 0,5% e in calo rispetto al 2012, ha quindi ampi margini per provare a recuperare il terreno perduto .

Per i macchinari, prosegue l'analisi CSC, la sfida si presenta molto difficile, visto che la Cina è andata consolidando la sua posizione fino a raggiungere da sola quasi il 40% dell'intero mercato iraniano e produce con una struttura di costi molto diversa da quella italiana; tuttavia questo è il mercato a più elevato potenziale e su cui concentrare gli sforzi, intanto per riprendere il secondo posto perso nell'ultimo quinquennio in favore della Germania.

Nella chimica-farmaceutica i nostri diretti concorrenti (Germania, India e Turchia) hanno tutti quote che eccedono di oltre il doppio quella italiana. Nel settore fashion si è assistito a un rapido mutamento della struttura di mercato, fino al 2012 presidiato dalla Turchia, a cui si è sostituita gradualmente la Cina, con una quota del 62,5% nel 2017; in questo mercato la partita si gioca nella gamma medio bassa, in cui l'Italia, qualora intendesse posizionarvisi, dovrebbe puntare ad elevarne la qualità, facendone al contempo percepire come più che compensato il differenziale di prezzo.

Per mantenere le importanti relazioni commerciali con la Repubblica Islamica dunque, conclude lo studio, "si richiede quindi una performance straordinaria, che consenta di incrementare le quote del made in Italy", sintetizza concludendo il CSC.

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