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APCOM
Pubblicato il
2 apr 2013
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Inizio 2013 choc per la moda, chiusi 4000 negozi

Di
APCOM
Pubblicato il
2 apr 2013

Crisi e austerità sembrano aver cancellato dal Dna degli italiani il gene della moda. E anche le botteghe e i negozi di abbigliamento, un tempo trampolino di lancio delle nuove tendenze mondiali, stanno via via scomparendo. Dopo la flessione di spesa del 10,2% in abbigliamento e calzature registrata nel 2012 (-6,8 miliardi), a gennaio 2013 questa, nonostante i saldi invernali, ha continuato a contrarsi, segnando il -4,5% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente.

foto Corbis


Un calo consistente e prolungato, che mette a rischio la storica rete italiana di negozi di abbigliamento tradizionali, che, tra le imprese travolte dalla crisi del mercato interno, sono i più colpiti: su un totale di 14.674 Pmi che, secondo le nostre proiezioni, scompariranno entro la fine del trimestre, quasi una su tre (4.171) sarà un'impresa attiva nella distribuzione moda. La stima è di Fismo-Confesercenti, l'associazione di categoria del settore, che avverte: "Emorragia gravissima, che mette a rischio un'industria da 66,5 miliardi e gli effetti benefici del turismo fashion per l'economia delle nostre città: i turisti dell'abbigliamento già le saltano per finire negli outlet".

"Stiamo perdendo la cultura del bello - avverte Roberto Manzoni, presidente Fismo - sia nell'indossare che nel fare. Le imprese del settore stanno vivendo una situazione di difficoltà epocale, e la politica non sembra riuscire ad affrontare i problemi reali del paese".

Nonostante l'abbigliamento made in Italy continui a essere una delle eccellenze del paese, la diminuzione del reddito globale continuerà a ridurre la spesa dedicata alla moda dalle famiglie italiane. Dopo il -4,5% registrato a gennaio, Fismo Confesercenti prevede per il 2013 un aggravarsi della situazione, con un calo del 5% sul 2012, pari a quasi 3 miliardi di euro in meno.

Alla fine dell'anno, la spesa delle famiglie in abbigliamento sarà scesa di 10 miliardi dal 2011: il calo più consistente di sempre. La quota di spesa dedicata al vestiario si è attestata nel 2012 al 7,1%: quasi la metà del 13,6% registrato nel 1992, e che ci poneva, assieme al Giappone, al vertice della classifica mondiale. In parte il processo è dovuto senz'altro a motivi culturali: il concetto stesso di status symbol, che una volta includeva spesso e volentieri particolari capi di vestiario, anche importanti, sembra ormai essersi spostato in verso i prodotti tecnologici.

Tanto che la spesa delle famiglie per la moda si è erosa negli ultimi anni, sebbene mai a ritmi veloci come quello attuale. Tra il 2000 e il 2011 si sono persi solo 6 miliardi di euro. Ma il crollo avvenuto negli ultimi due anni mette a nudo il peso della crisi economica nella scelta degli italiani di avere meno vestiti. In periodi di difficoltà, infatti, si rinuncia spesso ad acquistare un nuovo capo d'abbigliamento, facendo affidamento sul vecchio guardaroba.

I negozi sono schiacciati tra crisi, tasse ed eccessi di concorrenza. Nel primo bimestre 2013, nonostante l'avvio dei saldi (partiti dallo sconto medio record del 40%) i consumi di vestiario hanno continuato a ridursi, portando alla chiusura di 3.482 imprese del tessile e dell'abbigliamento, per un saldo negativo di 2.767 unità, destinato a lievitare nel trimestre a quota 4.150. Se il trend dovesse continuare inalterato, a fine anno le chiusure saranno quasi 21mila, mentre il saldo negativo arriverà a 16.684 esercizi.

La causa principale è la riduzione della spesa degli italiani. Ma sulle imprese pesano anche la pressione fiscale molto alta e il caro affitti. Si sconta altresì un eccesso di concorrenza: da un lato, dell'industria della contraffazione moda, che fa perdere al settore 12 miliardi l'anno. Dall'altro, quella dei siti di saldi privati online e dei factory outlet, che sostanzialmente praticano promozioni per tutto la durata dell'anno. E che stanno erodendo, grazie alla concorrenzialità del sottocosto, quote ai restanti canali di distribuzione. Nel 2012 attraverso l'e-commerce e i factory outlet, combinati, è passata una spesa di 1,6 miliardi.

La crisi della distribuzione moda colpisce tutta l'Italia. E nemmeno le tre capitali della moda italiane, Milano, Firenze e Roma, città di peso internazionale nel mondo della fashion industry, sfuggono alla desertificazione. Entro la fine dell'anno, stima Fismo, nel comune di Milano 342 negozi di abbigliamento chiuderanno senza essere sostituiti. A Firenze il saldo sarà negativo per 132 unità. Ma la perdita più grave si registrerà nel territorio di Roma Capitale, dove spariranno 750 negozi moda: più di due al giorno. In totale, nelle tre città, il saldo complessivo sarà in rosso di 1224 imprese.

In pericolo non c'è solo un simbolo culturale dell'Italia, ma anche un'industria di grande valore economico. Considerando, oltre agli esercizi di distribuzione, anche la produzione moda che viene prodotta in Italia e venduta nel paese attraverso i negozi tradizionali, il settore nel 2012 valeva 66,5 miliardi: 54,5 miliardi per quanto riguarda l'abbigliamento, 12 per calzature e accessori. Un dato in calo dell'8,7% rispetto ai 72,3 miliardi registrati nel 2011 e ascrivibili per 58,8 miliardi all'abbigliamento e per il 13,5 alle calzature.

Tra gli effetti collaterali della crisi della storica rete di distribuzione moda delle nostre città, la perdita di turisti del fashion: quella fetta del turismo, cioè, che visita il nostro Paese con l'intenzione di acquistare prodotti di vestiario made in Italy. Per l'Italia, si tratta di una risorsa importante, che porta ogni anno decine di migliaia di turisti nei centri storici delle nostre città d'arte, con i conseguenti effetti benefici sull'economia locale.

Negli ultimi anni, i viaggi organizzati dei turisti del fashion sembrano però aver progressivamente cambiato destinazione: sono sempre di più, infatti, i tour operator che portano i visitatori stranieri direttamente nelle cittadelle dell'outlet, i centri commerciali del sottocosto che sorgono nei territori periferici, saltando le nostre città. Nel 2011, il 10,4% delle spese totali dei turisti stranieri nel nostro paese è stata compiuta all'interno di un outlet.

Fonte: APCOM