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Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
23 nov 2022
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Influencer e PR: come lavorano gli uffici stampa con le star dei social media?

Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
23 nov 2022

Il 2 maggio scorso, Léna Mahfouf, meglio conosciuta come Léna Situations, con quasi 4 milioni di follower su Instagram, ha sfilato sul red carpet del Met Gala di New York. Prima influencer francese ad essere invitata alla famosa cena annuale di raccolta fondi organizzata da Anna Wintour, la sua apparizione avrebbe - secondo lo specialista di analisi dei dati nei campi di moda, lusso e bellezza Launchmetrics -  generato 4,5 milioni di dollari, ovvero 4,46 milioni di euro. Una somma calcolata da un algoritmo, il Media Impact Value (MIV), che permette di quantificare il valore dell'impatto mediatico delle azioni di marketing degli influencer sull'immagine di un brand. Tombola dunque per l'etichetta Markarian, che in quell’occasione ha vestito Léna Mahfouf, ma anche per Jimmy Choo, che le ha fornito le calzature, o per la firma italiana di gioielleria Bulgari.

Foto di Léna Mahfouf al Met Gala postata sul suo profilo Instagram - @instagram/@tiziano.raw


Superstar dei social network o micro-influencer, coloro che vengono definiti anche creatori di contenuti, sono diventati in pochi anni vettori mediatici imprescindibili per brand e aziende che vogliono sedurre la Gen Z, la prima generazione cresciuta con Internet, composta da ragazze e ragazzi under 25, consumatori tanto esigenti quanto volatili, che hanno abbandonato i media tradizionali per padroneggiare l'arte dello scrolling.

In mezzo a questo stravolgimento mediatico, gli uffici stampa hanno dovuto ripensare il loro modo di operare, rispondere alle nuove esigenze dei brand, accompagnarli nell'era digitale e imparare a lavorare al fianco di questi nuovi opinion leader. Come si sono adattati per sostenere tale cambiamento? E come vedono il futuro dell’essere influencer?
 
Influencer, voci imprescindibili per sedurre la Gen Z

“Il digitale è in tutti i sensi una vera rivoluzione. Da parte mia, fin dall'inizio, ho guardato a questa nuova generazione, a questi influencer, con molta curiosità e anche benevolenza. Forse altri li guardavano con troppa diffidenza, anche con un certo disprezzo”, afferma Carl Ganem, fondatore e direttore dell'ufficio stampa parigino Nice Work, un peso massimo nel mondo della bellezza, che si occupa di una quarantina di marchi, tra i quali Fenty Beauty, Gucci Beauty, L'Oréal Paris o Huda Beauty.

Oggi Nice Work conta 25 dipendenti, 6 dei quali interamente dedicati alle attività degli influencer. E questa divisione rappresenta oggi il 60% dei 4,7 milioni di euro di fatturato realizzati dall'azienda nel 2021, contro il 40% delle pubbliche relazioni con i media e il 10% del polo celebrità.

Stesso approccio all'interno dell'agenzia Dresscode, uno dei più importanti uffici stampa parigini dedicati alla moda, che opera a supporto di marchi come Tiffany & Co, Vanessa Bruno, Sonia Rykiel, Maje o i concept store Merci e Sézane. Fondata nel 2005 da Johanna Sebag, l'azienda si è adattata all'arrivo di nuovi profili. “All'inizio c'erano i blog, il blog di Betty, le recensioni di Kenza o Adenorah. È stato l'inizio di una nuova generazione di persone che influiscono sulle scelte di prodotti, diverse dai giornalisti, e le abbiamo subito seguite”, racconta Johanna Sebag. “Oggi credo fortemente nei micro-influencer, che hanno una community certamente più piccola, ma molto impegnata. Una risorsa per i brand”. La sua divisione dedicata al digitale è stata creata più di dieci anni fa. Un orgoglio per la fondatrice, che indica che il suo studio è stato uno dei primi a fare il grande passo. E oggi, su una trentina di dipendenti di Dresscode, 9 si dedicano agli influencer.

Carl Ganem e Catherine Deneuve alla festa per i 20 anni di Nice Work - @niceworkparis/Instagram


Ma se i profili si sono evoluti, le ricette per concretizzare collaborazioni di successo conservano alcuni componenti chiave. Lo scorso settembre, Nice Work ha festeggiato i suoi 20 anni all'Hotel Costes e, per l'occasione, Carl Ganem è stato circondato da un impressionante pubblico di star francesi, da Leïla Bekhti a Catherine Deneuve passando per Isabelle Adjani. Il comunicatore, che ammette con piacere che gli si riconosca un certo gusto per le feste e che, per la cronaca, ha avuto come compagni di classe i figli di Michel Sardou o Fanny Ardant, ha compreso molto presto i meccanismi dell’influencer marketing.
 
All'interno del gruppo Elizabeth Arden, dove ha iniziato la sua carriera e che in quel periodo aveva in portafoglio i profumi di Fendi, oltre a Karl Lagerfeld e Calvin Klein, Carl Ganem ha messo i prodotti di bellezza nelle mani dei suoi famosi amici. All'epoca non era Instagram, ma il passaparola a fare il lavoro, così come le pagine dei consigli di bellezza delle star dei magazine femminili. È proprio così, per esempio, che contribuisce al successo di un prodotto cosmetico cult, la “Eight Hour Cream” di Elizabeth Arden.

Qualche anno dopo, gli influencer sembrano aver preso il sopravvento e si fanno portavoce delle nuove generazioni. Del resto, oggi da Nice Work i creatori di contenuti si coccolano, tanto che un mese prima dell'evento al Costes, Carl Ganem ha festeggiato l'anniversario della propria agenzia a casa sua, circondato esclusivamente da influencer.

Johanna Sebag, al centro della foto, circondata dai suoi tre assistenti, Lucie Chabrillat (a sinistra), Damien Nicolas e Jennifer Stuppi. - Dresscode


L’approccio essenziale e principale è quindi quello di adattare la propria esperienza nelle relazioni con la stampa alle aspettative degli influencer. Specialista in strategie di comunicazione, Chadia Spahija ha lavorato per dieci anni nell'ufficio stampa Pascale Venot, dove ha contribuito notevolmente allo sviluppo della divisione digitale, prima di lanciare Screen Agency nel settembre 2020. Un ufficio ibrido, che gestisce le relazioni con la stampa, ma soprattutto mette in contatto brand e influencer per creare strategie dalla A alla Z. “Il mio ruolo si colloca a metà fra l’agente e il comunicatore digitale”, dice.

Creatori di contenuti che stanno diventando professionisti

“Tradizionalmente le PR (i rapporti con la stampa), erano di importanza vitale, poi abbiamo visto arrivare gli influencer, ma si procedeva a tentoni, non ci abbiamo investito veramente. Quella dell’influencer è stata percepita come qualche cosa di più, ma non come il cuore della una potenziale attività”, spiega Chadia Spahija, che riconosce una certa fascinazione per questo nuovo mondo, anche se, con ironia, ammette di non avere più l'età per ballare su TikTok.
 
Dietro l'organizzazione del matrimonio di Caroline Receveur o l'apertura della temporary boutique Hôtel Mahfouf, il marchio di Léna Mahfouf, un luogo che ha accolto 35.000 persone in un mese, Screen Agency, che ora impiega sei persone, si è guadagnata un posto eccezionale nel mondo degli influencer in soli due anni di esistenza. E in questo universo, l'agenzia vuole essere proattiva. Lo scorso aprile, Screen Agency ha portato quattro influencer al festival musicale Coachella e ha fatto sponsorizzare il viaggio dal marchio di gioielli Pandora e dal sito di vendita di scarpe e accessori JustFab.
 
Perché uno dei nuovi compiti che oggi incombono sugli uffici stampa è trovare il creatore di contenuti che sia in sintonia con lo spirito di un brand. “Non è sempre facile far capire a un marchio quale associazione può funzionare o meno, e fargliene comprendere la ragione. Ad esempio, un brand rivolto al grande pubblico che vuole assolutamente lavorare con un influencer molto specializzato o di ricerca, non ha senso per nessuno dei due”, afferma Carl Ganem.

Una volta individuato/i il/la o gli influencer, è poi necessario optare per una strategia “paid” (“a pagamento”) o “organic” (“organica”), per capire come remunerare il creatore di contenuti, oppure inviargli un prodotto e sperare che quest'ultimo pubblichi in maniera spontanea una storia o una foto. “È un po' come lavorano i giornalisti delle riviste. Ci sono degli obblighi legati agli inserzionisti, ma nelle loro pagine sono presenti anche i loro preferiti”, spiega Chadia Spahija.

E il parallelo con la stampa non si ferma qui, visto che anche gli uffici stampa devono prestare particolare attenzione ai “planning redazionali” di questi nuovi opinion leader, perché due post che esaltino i pregi di una crema idratante di due marchi concorrenti non si susseguano da un giorno all'altro.

A Coachella, Chadia Spahija, con gli occhiali bianchi, circondata dalle influencer @lalaamisaki, @salomevander, @kleofina et en bas @gloria_nbr - DR


E queste “esclusività” sono previste, integrate in contratti dalle pagine sempre più numerose, man mano che questa attività diventa maggiormente professionale. Di conseguenza, chiamare un influencer per elogiare i meriti di un marchio o di un prodotto non sarebbe oramai più conveniente rispetto a un altro canale di comunicazione, come sottolinea Johanna Sebag. E Carl Ganem ricorda con un sorriso che per apparire sulle pagine di una rivista spesso i brand devono essere inserzionisti, e quindi pagare.

“Come i giornalisti e gli stylist della stampa tradizionale, gli influencer vengono a ‘fare shopping’ in agenzia, scelgono i loro capi. Sono sempre più professionali, ma soprattutto sempre più specializzati e colti”, racconta Johanna Sebag, che, oltre alle giornate di “open day”, qualche anno fa ha lanciato dei giorni di porte aperte digitali.
 
Quando l'influencer diventa un brand

“Prima di pubblicare una storia (video che resta per sole 24 ore su Instagram, ndr.) che il consumatore finale vedrà, spesso c'è dietro tutto un lavoro di fotografia, styling, trucco. Quindi spesso ci sono delle persone da pagare e le tariffe sono uguali per tutti. Solo che i brand adesso sono ormai costretti a investire in formati più brevi ed effimeri. D'altra parte, il vantaggio è che il digitale consente di ottenere dati completi per verificare l'efficacia di una campagna, le visualizzazioni, le impressioni...”, spiega Chadia Spahija.

Secondo la piattaforma di influencer marketing Kolsquare, nel 2022 l'industria dell'influencer marketing dovrebbe valere 16,4 miliardi di dollari. La piattaforma si è dedicata ad esaminare le percentuali medie dei KOL, i “Key opinion leader” che producono contenuti su Instagram, YouTube, TikTok o anche Twitch.

Kolsquare distingue in via preliminare cinque tipi di influencer: nano-influencer con meno di 10.000 iscritti, micro-influencer che hanno tra 10.000 e 100.000 iscritti, macro-influencer e top-influencer con più di 100.000 iscritti, e quelli con più di 3 milioni di iscritti. Risultato, su Instagram ad esempio, un nano-influencer guadagnerebbe 165 euro per un semplice post, mentre un influencer seguito da milioni di iscritti potrebbe pretendere 25.000 euro. Le dirette live possono arrivare anche a 8.000 euro per i macro-influencer e fino a 35.000 euro per un Reel, piccolo video di quindici secondi con sonoro ed effetti, realizzato da un top-influencer.

Le “performance” dei creatori di contenuti vengono quindi esaminate e analizzate. Numero di visualizzazioni, di commenti, di impressioni, che rappresentano il numero di volte in cui il contenuto è stato trasmesso, ma anche il numero di clic sui link commerciali, sono tutti strumenti per valutare l'efficacia di una campagna. E gli uffici stampa sono anche dotati di software relativamente costosi che consentono loro di valutare il lavoro dei propri clienti con gli influencer.

E quando si prendono in considerazione le ottime prestazioni, torna molto spesso il nome di Camille Callen, meglio conosciuta come Noholita, seguita da un milione di persone su Instagram. “È estremamente professionale e precisa e consente ai marchi di aumentare le loro vendite”, afferma un’addetta stampa. Ma essere seguiti/e da milioni di follower non garantisce necessariamente delle ricadute commerciali, tanto che alcuni influencer molto noti non figurerebbero nell’elenco dei “buoni venditori”.

Con il loro potere mediatico, i creatori di contenuti non esitano più a lanciare i brand personali, come Noholita e il suo marchio di cosmetici Voilà Beauté, presente in particolare nella catena Monoprix, o Léna Mahfouf con Hôtel Mahfouf.

“Gli influencer finiscono per creare marchi e, vista la notorietà acquisita, anche loro hanno bisogno di PR per legittimarsi, soprattutto tra i professionisti”, afferma Chadia Spahija, sottolineando che così il cerchio si chiude.

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