Il Fashion Transparency Index elogia OVS, H&M e Calzedonia, ma trova carenti Jil Sander e Tom Ford
L'ultimo Fashion Transparency Index di Fashion Revolution è uscito e offre una lettura incoraggiante per alcune etichette. Ma altri grandi nomi della moda hanno dimostrato di non fare abbastanza.
La settima edizione dell'indice mostra che i più grandi marchi di moda del mondo (ne ha presi in considerazione 250) e retailer “devono aumentare la trasparenza per affrontare la crisi climatica e la disuguaglianza sociale”.
Il marchio italiano OVS ha ottenuto il punteggio più alto anche quest'anno con il 78%, a pari merito con Kmart Australia e Target Australia, che hanno incrementato i loro punteggi di 22 punti percentuali rispetto al 2021. Sono seguiti da H&M, The North Face e Timberland, tutti a pari merito con il 66%.
I miglioramenti più grandi di quest'anno hanno interessato i marchi del gruppo veneto Calzedonia (Calzedonia, Intimissimi e Tezenis), i quali hanno aumentato enormemente il loro punteggio al 54%, un miglioramento significativo rispetto all'11% dello scorso anno.
Ora le cattive notizie. Circa 17 grandi marchi “segnano un triste 0% di valutazione”. Questi includono Jil Sander, Fashion Nova, New Yorker, Max Mara, Semir, Tom Ford, Helian Home, Belle, Big Bazaar, Elie Tahari, Justfab, K-Way, KOOVs, Metersbonwe, Mexx, Splash e Youngor.
In effetti, un totale di 73 marchi ha un punteggio compreso tra 0 e 10%: quasi un terzo dei marchi e dei rivenditori più grandi del mondo.
“Dobbiamo verificare nei prossimi 12 mesi se i marchi saranno seri nel loro impegno nell'affrontare la disuguaglianza globale e la crisi climatica effettuando un cambiamento significativo”, ha affermato Fashion Revolution.
Nell'indice complessivo, questa volta i marchi hanno ottenuto un punteggio medio di appena il 24%. Ciò è avvenuto poiché l'85% di essi non rivela i propri volumi di produzione annuali, nonostante le crescenti prove che esista uno spreco di abbigliamento in tutto il mondo.
E un enorme 96% dei principali marchi e rivenditori globali non rende pubblico il numero di lavoratori pagati con un salario di sussistenza nella loro catena di approvvigionamento.
Sulla scia delle autorità globali che hanno iniziato a diventare più rigorose sulle affermazioni di greenwashing, sembra anche che il 45% dei principali marchi pubblichi obiettivi sui materiali sostenibili, ma solo il 37% fornisca informazioni su ciò che costituisce un materiale sostenibile. E solo il 24% rivela come riduca al minimo l'impatto delle microfibre, nonostante i tessuti siano la principale causa della presenza di microplastiche nell'oceano.
L'indice include anche un rimprovero a quei marchi che “usano i loro canali per parlare di giustizia sociale”, dicendo che “devono andare oltre le parole. Solo l'8% dei brand pubblica le azioni sull'uguaglianza razziale ed etnica che mette in atto nelle proprie supply chain”.
Altre carenze che sono state denunciate includono il fatto che solo l'11% dei marchi rende noto un codice di condotta per gli acquisti eco-responsabili, con Fashion Revolution che indica come la maggior parte dei brand sia ancora riluttante a rivelare in che modo le proprie pratiche di acquisto potrebbero influenzare fornitori e lavoratori.
E meno di un terzo dei principali marchi rivela un obiettivo di decarbonizzazione che copra l'intera catena di approvvigionamento che sia verificato dalla Science-Based Targets Initiative.
Nel frattempo, solo l'11% delle label pubblica i risultati dei test sulle acque reflue dei propri fornitori, nonostante l'industria tessile sia uno dei principali contributori all'inquinamento idrico.
Sembra tutto piuttosto negativo, ma Fashion Revolution ha affermato di essere “incoraggiato dall'aumento della trasparenza nella catena di approvvigionamento di molti grandi marchi, principalmente presso i produttori di primo livello (first-tier) in cui si verifica la fase finale della produzione. Nove marchi hanno rivelato per la prima volta quest'anno i loro produttori di primo livello”.
E ha aggiunto che è “incoraggiante riscontrare progressi significativi in tutti i segmenti di mercato tra cui lusso, abbigliamento sportivo, calzature e accessori, e in diverse aree geografiche”.
Il co-fondatore e direttore delle operazioni globali Carry Somers ha dichiarato: “Nel 2016, solo cinque dei 40 grandi marchi (12,5%) hanno rivelato i propri fornitori. Sette anni dopo, 121 grandi marchi su 250 (48%) rivelano i propri fornitori. Questo dimostra chiaramente come l'indice incentivi la trasparenza, ma mostra anche che i marchi stanno davvero ascoltando i milioni di persone in tutto il mondo che continuano a chiedere loro #WhoMadeMyClothes? Il nostro potere è nella nostra perseveranza”.
Ma la conclusione generale è stata che i progressi in materia di trasparenza nel settore della moda globale “sono ancora troppo lenti fra 250 dei più grandi marchi e rivenditori di moda del mondo, visto che i brand hanno ottenuto un aumento del punteggio medio complessivo dell'1% rispetto allo scorso anno”.
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