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21 lug 2013
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Il fallimento di Gilli: la parabola discendente di Giulia Ligresti nella moda

Pubblicato il
21 lug 2013

Dopo il fallimento delle holding della famiglia Ligresti, schiacciata da debiti per 2 miliardi di euro nei confronti soprattutto di istituti di credito (in particolare banche come Mediobanca e Unicredit), che alla fine hanno deciso di non coprire più i buchi di una malagestione durata fin troppo tempo, e dall’occultamento al mercato di un buco nella riserva sinistri di Fondiaria-Sai di circa 600 milioni di euro, hanno chiuso tutte le società del gruppo, prima fra tutte le Premafin, di cui era presidente la figlia del patriarca Salvatore: Giulia Ligresti.

Borsa Gilli del 2010 lanciata in collaborazione con Coca-Cola.


Già diversi anni prima, la Ligresti aveva tentato di emergere nel mondo Fashion, fondando il brand Gilli, che ha lanciato borse e accessori indossati da molti vip.

“Appena superata la boa dei 30 anni, a inizio Duemila, Giulia Ligresti decide che le importanti deleghe nel gruppo Premafin non le bastano più. Fonda una nuova azienda, battezzata Gilli, e punta sul settore della moda, «l'unico in cui il nostro gruppo non era presente», racconta nelle numerose interviste a quotidiani e periodici”, scrive il quotidiano Il Sole 24 Ore.

L'obiettivo era conquistare uno spazio importante nel segmento del lusso, che la Ligresti considerava più “suo”, abituata com'era a vivere alla grande spostandosi con l'elicottero personale. Tuttavia Gilli, azienda specializzata in borse e accessori che volevano essere allegri e frizzanti, a metà maggio, un mese prima del fallimento delle holding di famiglia, ha ceduto tutti i diritti.

Giulia, insieme alla sorella Jonella e al padre Salvatore Ligresti, è stata arrestata dalla Guardia di Finanza di Torino nell'inchiesta sul gruppo assicurativo Fonsai, a cui tutte le aziende di famiglia facevano capo. Un altro figlio di Salvatore, Paolo Gioacchino, è invece ricercato e si troverebbe in Svizzera.

Gilli entra nel mercato dell'abbigliamento con una borsa a forma di cubo con lunghi manici, realizzata in moltissime versioni: da quella coi cani a quella della Coca-Cola, e poi quella con il pallone bianco e nero per i mondiali in Sudafrica, quella con Paperon de' Paperoni o quella a forma di barattolo di Nutella, fra le tante. Il loro costo è elevato, pari a diverse centinaia di euro l'una.

La Ligresti riesce a far indossare le sue creazioni a diverse celebrità, facendo così arrivare le borse Gilli a un'elevata esposizione mediatica e a un certo successo trendy. A quel punto, la Ligresti punta ancor di più sul progetto, aprendo un negozio in Via della Spiga a Milano, seguito da Piazza di Spagna a Roma e Via Tosinghi a Firenze (ma quest'ultimo chiuderà dopo un solo anno). Nel corso del tempo, Gilli aggiunge alla sua offerta di borse e accessori in pelle anche una linea di accessori casa, dell'abbigliamento e addirittura un'edizione limitata di vini (Brunello di Montalcino, Rosso di Montalcino e Nobile di Montepulciano) e un olio extravergine d'oliva, arrivando a distribuirsi in circa 240 negozi multimarca (100 in Italia) e dichiarando di esportare la metà del fatturato (il cui ammontare non viene però mai rivelato).

Giulia Ligresti approda persino all'America's Cup. Del resto, lei stessa è velista. Partecipa a molte regate come 18° a bordo quando Fondiaria-Sai sponsorizza “IdeaSai”, maxiyacht vincitore del campionato del mondo nel 2003. Nelle sfide 2006 è fornitore ufficiale del team italiano +39 e sponsor ufficiale di Shosholoza, consorzio sudafricano guidato dall'italiano Salvatore Sarno.

Poi, è storia recente, il buco finale derivante da oltre dieci anni di gestione perlomeno molto disinvolta da parte del sempre discusso patriarca Salvatore, con le società immobiliari del gruppo fallite e i trust esteri della famiglia confiscati. E lo scorso maggio, arriva anche la cessione definitiva dei diritti di Gilli e la fine di questa avventura nel mondo della moda.
 

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