10 mar 2020
Il coronavirus mette in ginocchio il commercio italiano
10 mar 2020
Mentre il governo Conte estende a tutto il territorio nazionale la cosiddetta ‘zona rossa’ per contrastare la diffusione dell’epidemia, negozi e retailer della Penisola registrano cali vertiginosi delle vendite e valutano l’opzione della chiusura temporanea.

“Le catene hanno perso quasi il 100% degli incassi: -96% nel fashion e -80% nel food/ristorazione. A questo punto tenere aperto esponendo personale e aziende a rischi inutili è deleterio. Meglio sarebbe pianificare la chiusura provvisoria cautelare fino al 3 aprile e accedere alla cassa integrazione”, commenta Mario Resca, presidente Confimprese.
L’emergenza sanitaria si combina così a quella economica. Dopo le misure restrittive contenute nel decreto del 9 marzo, che impediscono il normale svolgimento delle attività lavorative con l’intento di ridurre al minimo il rischio del contagio, “i consumatori, in maniera chiara e comprensibile, hanno declinato ogni forma di acquisto non necessaria”, spiega Renato Borghi, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio.
Da Calzedonia (Intimissimi, Tezenis... ) a Capri Group (Alcott e Gutteridge), si allunga di ora in ora il conto delle aziende che hanno deciso di chiudere i propri punti vendita nelle aree più colpite dal virus. Armani ha interrotto l'attività di negozi, ristorante e hotel a Milano, mentre Kiko ha messo in 'quarantena' i suoi 340 store in Italia fino al prossimo 3 aprile.
Per Borghi si tratta di una scelta "coerente" e di buon senso". “Speriamo” duri “per poco tempo, con l'intenzione di ridurre al minimo le occasioni di contatto e di contagio per il bene di tutti, proteggendo chi è più debole e mettendo il benessere e la salute della propria clientela e dei propri collaboratori al primo posto".
Necessario l’intervento delle Istituzioni, conclude Borghi, “per limitare i danni all'economia delle imprese del dettaglio moda in estrema sofferenza e di tutte quelle famiglie che ci lavorano”.
Il Governo ha già messo sul tavolo 7,5 miliardi di euro (e 6,3 di indebitamento), su cui si esprimerà il Parlamento l’11 marzo. Risorse che potrebbero non bastare, facendo scattare il ricorso a maggior deficit. Tra le misure spunta anche una moratoria sui prestiti, sotto forma di rafforzamento del Fondo di Garanzia per le PMI e di stop alle rate dei mutui per famiglie e imprese. Per i lavoratori autonomi, al vaglio anche l’estensione della sospensione di tasse e contributi per garantire indennizzi a chi ha perso fette importanti di fatturato.
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