Il CEO di Cartier Cyrille Vigneron parla del cambiamento su più fronti
È difficile immaginare un marchio di lusso più venerabile di Cartier. Da quando è stata fondata nel 1847 a Parigi, la maison ha conquistato la clientela aristocratica più di qualsiasi altro brand di gioielleria: imperatori, re, rajah e principesse. Mantenendo sempre una reputazione di eccellenza artigianale seconda a nessuno. Oggi però, la maggior parte del suo pubblico e dei suoi clienti è costituita dalla “calamita” del marketing moderno: i millennial.
Cartier è riuscito a raggiungere questo importante risultato grazie a un mix atipico di classicismo cool e idiosincrasia artistica, forze contraddittorie tra loro che il marchio ha è riuscito a sfruttare al meglio. La maison ha avuto la fortuna di avere grandi talenti creativi e un management alquanto speciale, dai numerosi membri della famiglia che l’hanno guidata per 117 anni fino al 1964, all'attuale CEO Cyrille Vigneron.
Pur rappresentando la quintessenza del sangue blu, la griffe ha sempre avuto una tendenza artistica d'avanguardia. In un'epoca in cui gli amanti dell'arte e i consumatori del lusso sono incantati dai grandi centri artistici creati dai principali brand, come la Fondation Louis Vuitton a Parigi, la Fondazione Prada a Milano e, a partire dalla prossima estate, la Bourse de Commerce Pinault a Les Halles, non va dimenticato che la prima vera fondazione d'arte creata da una casa di lusso è stata la Fondazione Cartier, che ha debuttato fuori Parigi nel 1984, a Jouy-en -Josas, prima di trasferirsi nel 1993 nella sua attuale sede di Boulevard Raspail, progettata da Jean Nouvel.
Nel tempo, la Fondazione Cartier ha raccolto una notevole collezione d'arte propria, che ora viaggia in tutto il mondo; recentemente ha siglato una collaborazione di otto anni con La Triennale, il famoso centro d'arte milanese. Il prossimo giugno, a Parigi, la Fondazione Cartier ospiterà una mostra con opere pittoriche di Damien Hirst, l’artista più mediatico del pianeta.
Di recente abbiamo incontrato Vigneron per scoprire come riesce a continuare a spingere Cartier, sia dal punto di vista creativo che commerciale, in un mercato sempre più competitivo. Cosa sta realmente facendo Cartier in termini di sostenibilità e come procede l’intenso programma di rinnovamento di tutti i suoi negozi nel mondo. Infine, come Cartier utilizza le sue fondazioni e le sue mostre per interagire con la nuova generazione. Ma soprattutto il suo compito più impegnativo: migliorare il suo network retail.
“Quattro anni fa abbiamo deciso che il nostro concept generale era diventato vecchio e un po’ troppo rigido. Pare che le donne trovassero le boutique Cartier troppo maschili e gli uomini troppo femminili. Siamo partiti da Harrods, quando hanno dedicato il piano terra alla gioielleria. Il secondo aspetto è che il lusso si è evoluto negli ultimi 20 anni. Oggi, molti clienti trovano noioso che un concept retail sia replicato identico in tutto il mondo. Se New Bond Street assomiglia a via Montenapoleone, che assomiglia a Faubourg St Honoré, che assomiglia a Ginza, allora perché viaggiare?”, fa spallucce Vigneron.
A suo avviso, almeno nelle città europee, con magnifici edifici in città bellissime, occorre adattare ogni negozio alla personalità del luogo. Alla fine di marzo di quest’anno, Cartier aveva già rinnovato 65 negozi in tutto il mondo, molti dei quali progettati da Bruno Meinard. Nel flagship di Bond Street, risalente a un secolo fa, l’architetto francese ha ridipinto il legno scuro degli interni con del bianco opaco, creando un Ruby Salon per uomini con un mood da country club e appendendo dischi di ottone e vetro, come cappelli a tesa larga, nell’alta gioielleria al secondo piano. Un piano privato, chiamato La Résidence, è riservato ai migliori clienti di Cartier e comprende un bar, una cucina, una sala da pranzo e un’area lounge.
"I vecchi edifici possono avere storie molto lunghe", sottolinea Vigneron, evidenziando che il flagship recentemente ampliato arriva fino ad Albemarle Street. “Ma la facciata aveva lo stesso colore rosso e lo stesso marmo di Cartier su questa strada. Quindi in realtà abbiamo ristabilito una connessione".
Sebbene ci sia un tocco chiaro tocco francese, Cartier lavora con architetti internazionali, come Sir Norman Foster per la nota mostra “Cartier in Motion” e con l'architetto franco-spagnolo Laura Gonzalez. Il suo elegante "troppo non è mai abbastanza" le hanno consentito di aggiudicarsi progetti con Hermès e Christian Louboutin, Cartier a Parigi e Madrid, oltre a ristoranti come Noto e Manko a Parigi.
Cartier fa parte del gruppo svizzero del lusso Richemont, controllato dalla ricca famiglia sudafricana Rupert, che detiene anche Van Cleef & Arpels, Montblanc, IWC, Piaget, Alfred Dunhill, Chloé, James Purdey, Azzedine Alaïa e Yoox Net-A-Porter. Richemont non comunica i fatturati dei singoli brand, ma si stima che Cartier abbia un giro d’affari di oltre 7 miliardi di euro.
I ricavi sono guidati dal retail, tramite negozi di proprietà e gestiti direttamente. La maison ha circa 300 negozi monomarca e una rete specializzata di 266 punti vendita. Vende ancora i suoi gioielli solo negli store monobrand e, cosa abbastanza sorprendente, tramite l’e-commerce, attraverso il “cugino” Net-A-Porter.
“Net-A-Porter è un mezzo molto potente, con una solida base di clienti. In termini di visibilità e appeal per Cartier, è andata molto bene. Stiamo notando che la penetrazione dell’e-commerce supera il discorso del prezzo e che il pubblico accetta sempre di più gli oggetti costosi”, sorride Vigneron, aggiungendo che l’oggetto più costoso venduto tramite la collaborazione con Net-A-Porter è stato un orologio La montre Panthère con pavè di diamanti del valore di 140.000 euro, acquistato da un cliente del Regno Unito.
Il nuovo flagship ospita diverse tiare leggendarie, come il diadema di diamanti taglio baguette Halo, realizzato per Begum Andrée Aga Khan, oltre a uno splendido braccialetto con smeraldo peridoto da 68,93 carati, un tempo posseduto della moglie del magnate minerario Chester Beatty. Al piano superiore, alcuni pezzi più insoliti, come il famoso orologio Swinging Sixties Crash. È chiaro che mantenere il giusto mix di classe ed eccentricità è fondamentale per la maison. Il tour in un negozio Cartier all'interno di qualsiasi department store, tuttavia, evidenzia chiaramente che il punto forte del brand sono i suoi bracciali entry level Love. Pensati forse per conquistare le nuove generazioni?
“Spesso scopriamo che i nostri nuovi clienti avevano madri e nonne che adoravano Cartier. Se rivisiti Homer sembra molto moderno. Quindi, pensiamo di creare dei classici; non produciamo prodotti giovani per i giovani. Non è così che lavoriamo. In termini di numero di transazioni, il 55% dei nostri clienti è millennial; in termini di valore, lo è il 46% e ciò è significativo, se si considera che i gioielli più costosi tendono ad essere acquistati da clienti più maturi ", sottolinea con forza Vigneron.
Ciò detto, Cartier ha fatto un enorme sforzo per la sua campagna Odyssey, con video multipli, tra cui una storia di tre minuti di Jeanne Toussaint, insolita e super talentuosa designer che ha reso la pantera il più grande simbolo di Cartier.
Vigneron ha iniziato la sua carriera in Cartier "molti, molti anni fa", ma ne è uscito nel 2013 per diventare presidente di LVMH Giappone, "prima che venissi richiamato a casa", nel 2016. Vive a Ginevra, dove Cartier e Richemont hanno sede, visto che gli orologi sono una parte importante delle operazioni del gruppo in Svizzera. Sposato due volte, Vigneron ha quattro figli che vanno dai 16 ai 28 anni. "Ho avuto il primo figlio a 30 anni", sorride il CEO multilingue - parla persino giapponese - nato nella famosa città portuale La Rochelle.
Uno dei successi più recenti di Richemont è stato Watchfinders.com, il sito web specializzato in preziosi orologi di seconda mano. Cartier aveva pianificato di entrare in quel segmento di mercato?
“Watchfinder è un'operazione di medie dimensioni che sta crescendo abbastanza rapidamente. La questione più importante è l'approvvigionamento dei prodotti, che definisce la sua crescita. Il progetto si espanderà fuori dalla Francia, nel Regno Unito e probabilmente in altri Paesi. L’idea alla base è che alla gente piacciono molti orologi - fino a cinque - ma ne indossano davvero solo due, quindi perché non scambiare gli altri?”, afferma Vigneron.
Pochi settori sono stati presi di mira come la gioielleria quando si tratta di sostenibilità. Non esiste l’espressione "cashmere insanguinato" o "suede insanguinata", ma ci sono i "diamanti insanguinati". In parte a causa di un’immagine negativa; nella convinzione che una politica di sostenibilità sia essenziale, Cartier sta prendendo provvedimenti in tal senso.
Copyright © 2024 FashionNetwork.com Tutti i diritti riservati.