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21 mag 2012
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I calzaturieri guardano alla finanza

Pubblicato il
21 mag 2012

Il settore della calzatura, che ha mostrato la sua solidità nonostante la crisi, prosegue la sua ristrutturazione riorganizzando logistica e produzione e guardando sempre di più verso i mercati esteri. In quest’ottica, il supporto da parte del mondo della finanza appare sempre di più come uno strumento necessario per crescere. Per venire incontro a quest’esigenza, l’Anci (Associazione Nazionale Calzaturifici Italiani) ha organizzato lunedì presso la Borsa di Milano un incontro tra le sue imprese e diversi attori della finanza in occasione della presentazione del rapporto “Shoe report- finanza” a cura di Nadio Delai Ermaneia- Studi & Strategia di sistema.


Calzature Tod's - Foto Adnkronos

“Gli imprenditori oggi hanno bisogno di capire gli strumenti finanziari a loro disposizione perché tali strumenti sono sempre più essenziali nella vita dell’impresa. D’altro canto il mondo della finanza deve avvicinarsi sempre di più al mondo delle imprese calzaturiere e al nostro settore che ha peculiarità specifiche, produce prodotti ma vende oggetti del desiderio e, pur in un momento di grande crisi internazionale, mantiene una struttura profondamente sana,” riassume Cleto Sagripanti, presidente di ANCI.

Questo studio conferma innanzitutto la solidità di fondo del sistema malgrado la crisi, che è costituito da 5.600 aziende e 81.000 addetti (in lieve aumento nel 2011) e ha visto aumentare la dimensione media delle imprese. Quanto alla produzione nazionale di calzature è in calo nel medio periodo, anche se nel 2011 è risalita a 207,4 milioni di paia di scarpe. Il prezzo medio è cresciuto fino a 34,2 euro, così come è salito l'export (+12,7% nel solo 2011) con un saldo commerciale positivo (+16,4% nel 2011). Si stima che più dell’80% di ciò che si produce in Italia viene esportato, in particolare verso Russia, Cina e Corea.

Nel rapporto si sottolinea soprattutto come vi sia in atto una metabolizzazione “attiva” della crisi che ha dato sinora buoni risultati medi: le imprese che non subiscono passivamente la crisi sono state capaci di uscirne, guardando a nuove strategie produttive, commerciali e organizzative. Questo processo di “mutazione” in corso delle aziende libera nuove energie, ma non può evitare di differenziare le aziende più reattive rispetto a quelle meno reattive, secondo una logica di polarizzazione.

Sulla base di questa analisi emergono tra le 25 e le 80 imprese sulle 400 più attive, a seconda delle diverse proiezioni, che potrebbero approfittare di strumenti finanziari per la crescita e rappresentare nel contempo investimenti interessanti per il sistema finanziario. “Il futuro è da costruire insieme. Per crescere ci vuole capitale di rischio e gli operatori di private equity, che sono molto interessati dal settore Made in Itlay sono pronti ad intervenire”, sostiene Giampio Bracchi, presidente di Aifi, associazione italiana del private equity e venture capital, che ricorda come dal 2007 al 2011 le società d’investimento hanno orientato un terzo dei loro investimenti verso delle imprese medio - piccole con fatturati dai 10 ai 100 milioni di euro.

“Il settore della calzatura Made in Italy piace al mercato, però oggi gli analisti finanziari non si fidano più solo della crescita ma guardano ai margini, all’utile netto”, avverte Paola Durante, managing director presso BofA Merrill Lynch che conclude “le valutazioni del mercato sono correlate alla crescita ma anche tantissimo al posizionamento”.

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