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Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
2 apr 2021
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Gucci rimane attraente grazie ad un'offerta audace e di tendenza

Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
2 apr 2021

Offrire esclusività creando nel contempo una cultura inclusiva, alternare prodotti classici e creazioni molto alla moda, rispondere quanto più possibile alle aspettative dei giovani consumatori. Sono questi alcuni degli elementi che hanno consentito a Gucci di registrare una crescita esplosiva tra il 2015 e il 2019. Uno studio dello specialista in benchmarking automatizzato Retviews indaga e decifra la strategia del marchio italiano e la maniera in cui sta aggiustando la propria offerta per riguadagnare terreno, dopo che le sue vendite hanno subito un rallentamento negli ultimi due anni.

Alessandro Michele e le sue creazioni - Gucci


Su impulso del CEO Marco Bizzarri e del direttore artistico Alessandro Michele, in cabina di regia dal 2015, la locomotiva di Kering, che vale il 60% delle vendite totali del colosso del lusso, si è posizionata su una nuova estetica esuberante e stravagante, con l’idea di proporre un prodotto esclusivo crendo nel contempo una cultura d’inclusività. Questa strategia gli ha permesso di ottenere ampia visibilità tra i giovani, proiettandolo tra i marchi più apprezzati del momento. Come attesta il suo primo posto nella classifica Lyst Index dei marchi più popolari, dove Gucci è rimasto anche nell’ultimo trimestre del 2020.
 
Per raggiungere tale obiettivo, la casa di moda ha posto l’accento sul prêt-à-porter. “È un prodotto che parla al maggior numero di persone, e che si può declinare più facilmente in vari stili rispetto agli accessori, in modo da toccare diversi segmenti della popolazione, il che rende Gucci un marchio molto inclusivo”, nota l’autrice dello studio, Virginie Lê.

La griffe dedica il 55% della sua offerta agli accessori (contro il 71% di Dior e il 65% di Saint Laurent), il 15% alle calzature e quasi il 30% al prêt-à-porter, contro il 21% di Saint Laurent e il 18% di Dior. Solamente Prada e Loewe si avvicinano al modello Gucci, con l’abbigliamento che pesa il 28% della loro offerta.
 
Da notare che la divisione di prêt-à-porter genera solo il 18% del fatturato della firma italiana, anche se occupa quasi un terzo della sua offerta, perché gli serve anche e soprattutto per comunicare ai giovani. La strategia di Gucci consiste nel trarre vantaggio dalle tendenze, adattando rapidamente i suoi prodotti alle tendenze più moderne, un po’ come fanno i marchi mass market della fast fashion. “Il ready-to-wear permette loro di essere più reattivi. Non appena un prodotto funziona bene, lo mettono in evidenza. Se non funziona, scompare automaticamente”, continua l'analista.
 
“Il marchio ha trovato la formula per parlare alle giovani generazioni. Un branco di ragazzi in cerca di valori come inclusività ed emancipazione. In termini di stile, Gucci ha battuto i suoi concorrenti sapendo sfruttare la tendenza delle mini e nano-borse. Reinventando le sue borse emblematiche in taglie più piccole ed equilibrandone i colori classici con tinte avanguardiste, la firma ha posto in evidenza il suo obiettivo d’inclusività”, indica Retviews.

Gucci propone più prêt-à-porter dei suoi concorrenti - Retviews


“Per i marchi di lusso, che dipendono dalle vendite dei loro principali prodotti di base, la maggior parte dei quali restano invariati da una stagione all’altra, gli articoli basati sulle tendenze possono fornire quella rilevanza e quel buzz indispensabili per rimanere al centro della conversazione culturale”, sottolinea ancora il rapporto. Questa strategia comporta il rischio di sgretolare l’identità del marchio allontanandone la clientela tradizionale.
 
Gucci si è preso questo rischio senza rivoluzionare il proprio assortimento, ma facendolo evolvere, e ciò ha portato frutti, secondo Retviews. Così, il marchio ha introdotto, a fianco dei suoi articoli classici, che rappresentano il 51% dell’offerta (contro il 56% di Christian Dior, il 78% di Prada, il 100% di Saint Laurent) vari nuovi prodotti più alla moda, sapendo contemporaneamente adattare i suoi capi iconici alle tendenze del momento.
 
Secondo i dati raccolti dall’analista, “Gucci ha la quota più elevata di referenze basate sulla moda rispetto i suoi concorrenti, in particolare nelle scarpe”, ovvero una percentuale del 49%, contro il 44% di Dior, il 22% di Prada, il 36% di Loewe.
 
Alcune novità, come le famose pantofole-mocassino a pelo lungo, possono diventare dei classici, mentre se non trovano più un proprio pubblico, alcuni classici possono scomparire dagli scaffali. Fino ad ora, tale strategia si è rivelata vincente, permettendo alla firma fiorentina di rimanere rilevante e attraente per i consumatori di tutte le età, poiché dai classici senza tempo ai prodotti ad orientamento fashion, arriva a soddisfare tutti i gusti. Ma con il rallentmento delle sue vendite, potrebbe essere portata a rivedere la propria politica.
 
In un’intervista giornalistica, il timoniere della griffe, Marco Bizzarri, ha dichiarato che l’obiettivo era di raggiungere un equilibrio fra il 30% di prodotti nuovi e il 70% di carry-over. “Dopo aver posto l’enfasi negli ultimi anni sui Millennials e la Gen Z, Gucci dovà infatti invertire la tendenza per interessare più clienti tradizionali, dotati di un potere d’acquisto maggiore e in cerca di prodotti senza tempo”, osserva Virginie Lê.

La percentuale eco-sostenibile sull'offerta totale di Gucci è del 4% - Retviews


Infine, dal punto di vista dello sviluppo sostenibile, l’offerta di Gucci riflette gli sforzi avviati da Kering per assicurarsi una catena d’approvvigionamento meno impattante per l’ambiente. Dal 2018, il marchio ha raggiunto la neutralità delle emissioni di carbonio e ha ottenuto numerose certificazioni di sostenibilità. Inoltre, di recente ha investito nella piattaforma di rivendita online Vestiaire Collective.
 
“Se si guarda unicamente ai prodotti eco-responsabili etichettati dalla casa di moda italiana, sembrerebbe che non sia molto attiva in quest’ambito. Anche se le altre maison lo sono ncora meno”, constata l’analista. La percentule della sua offerta ecologica ariva solo al 4%, come per Prada, mentre è dello 0% per le altre griffe citate nello studio. Nelle sue stime, Retviews tiene conto anche del maggiore utilizzo della lana nelle collezioni di prêt-à-porter, considerate come una materia prima più sostenibile del cotone. Questa percentuale arriva al 33% da Gucci, contro il 14-20% degli altri brand di prestigio.
 
Altra constatazione: il marchio genera molti meno prodotti rispetto alle altre marche di prestigio, ma comunica di più a proposito delle sue novità, dando un’impressione di sovrabbondanza. Così, nel 2020 sono usciti 2.180 articoli Gucci, contro gli oltre 3.000 di Dior e Saint Laurent e i quasi 4.000 di Prada. Gucci ci gudagnerebbe indubbiamente a comunicare in maniera più precisa il suo impegno per la sostenibilità.

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