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Ansa
Pubblicato il
19 feb 2020
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Gucci, il rito come dichiarazione d'amore

Di
Ansa
Pubblicato il
19 feb 2020

Una "dichiarazione d'amore spudorata e narcisistica": Alessandro Michele prende in prestito le parole di Federico Fellini, diffuse nella sala in chiusura dello show, per spiegare ciò che lo ha spinto a squarciare il velo tra dentro e fuori, tra dietro le quinte e rappresentazione, mettendo tutto insieme in quello che non esita a chiamare "un rito quasi religioso". E così la sfilata Gucci per il prossimo inverno racconta questo "meccanismo complesso e quasi sacrale" che non è fatto solo di abiti, ma di tutto quanto ci gira intorno.

Gucci AI 2020 Milano


Ed ecco, sulla ribalta, per la prima volta, parrucchieri e truccatori, vestieristi e addetti all'ufficio stile, tutti con la divisa grigia da "fabbricatore di sogni", coprotagonisti dello show insieme al pubblico che li guarda e che partecipa al rito, preannunciato da indizi come il messaggio vocale inviato dallo stesso Michele e dalle foto arrivate sui cellulari degli ospiti poche ore prima dello show. Appena arrivati, la sorpresa, dietro il tendone non la sala, ma il backstage, con le modelle in accappatoio, i truccatori e i parrucchieri e lui, il direttore creativo, che si aggira tra il pubblico e gli addetti ai lavori, fermandosi per un saluto con Florence Welch, Achille Lauro, Dakota Johnson.

In sala, un velo rosa copre la piattaforma circolare che nasconde la seconda sorpresa: si spengono le luci, parte la voice over di Federico Fellini che racconta tutta la magia del cinema, dall'acquisto del biglietto alla scelta del posto in sala, e mentre si diffondono le prime note del Bolero di Ravel cade il telone a svelare il dietro le quinte di ogni sfilata. Ed ecco gli stand con gli abiti e i vestieristi già pronti ad aiutare modelli e modelle a entrare nella parte, anzi, nella sacra rappresentazione, scandita da un metronomo che sovrasta la scena rotante come un carillon. Mentre il direttore creativo-demiurgo gira tra gli stand, una dopo l'altra le modelle si vanno a posizionare sulla circonferenza, percorsa da un vetro che - spiega Michele - altro non rappresenta che il filtro di chi guarda.

Gucci AI 2020 Milano


"Come un fisico”, racconta il direttore creativo, “ho cercato di dare una forma a qualcosa di astratto, poi è bastato mettere dentro ciò che sta fuori, in un rito condiviso che porgo a chi è lì e sente di essere in quella confessione". Un senso di sacralità che si riflette nel crocifisso che accompagna gli abiti e i cappottini da bambino, ossessione della sfilata uomo dello scorso mese che ritorna anche al femminile, perché "c'è qualcosa di perfetto in queste cose da piccoli, ci vediamo libertà e perfezione, è il mondo che vorremmo: i bambini sono liberi e meravigliosi e ciò che mettono è un feticcio di libertà". Ed ecco quindi i cappottini da marinaretto, i cappelli inglesi da letteratura dell'infanzia, i fiocchi che sembrano quelli fatti dalla mamma all'ultimo minuto, le gonne a pieghe, i collarini di pizzo e le calzine ricamate, le scarpe con gli occhietti e il cerchietto di strass. E poi i jeans e le calze strappate, i collarini di pelle e i mini top fetish, gli abiti con la crinolina e i pantaloni svasati, i mocassini e i cappotti doppiopetto logati, in un invito a "accarezzare quella nostalgia d'umano - ha scritto Michele nel foglio protocollo distribuito all'ingresso dello show - che altri chiamano imperfezione".

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