29 mag 2018
Fureco: l’ultima campagna vendite registra una crescita in doppia cifra
29 mag 2018
Fureco (Fur Enterprise Co.), società di pellicceria e abbigliamento moda fondata nel 1924 a Seregno (MB), può vantare una distribuzione attiva in tutti i mercati in cui il clima è più freddo: nazioni dell'Est Europa, Russia, Nord Europa, Nord America, Corea del Sud, Cina su tutti, tanto che il suo fatturato 2017 (che preferisce non comunicare) è stato per il 70% ottenuto all’estero.
La società lombarda è divisa in 3 dipartimenti: il primo è quello delle label di proprietà, con i brand Fabio Gavazzi (che produce anche una linea di prodotti per l'arredamento casa) e Mavina, marchio che propone le linee più trendy, espressamente studiate per il total look. Il secondo è il business della vendita delle pelli a grandi clienti internazionali. Il terzo canale segue i grandi marchi della moda italiana e internazionale, con i quali collabora per la produzione delle loro linee di pellicce.
“Il 2017 è stato un anno molto buono per noi di Fureco, ma il 2018 sarà ancora migliore, perché il risultato dell’ultima campagna vendite dei nostri due brand Fabio Gavazzi e Mavina è cresciuto in doppia cifra”, dice a FashionNetwork Alberto Gavazzi, che per l’azienda di famiglia segue la parte degli acquisti di materia prima e i rapporti con le aziende dell’universo fashion, incontrato a Milano al termine dell’incontro con la stampa in cui la International Fur Federation (IFF) e l’Associazione Italiana Pellicceria (AIP) hanno presentato il programma di tracciabilità e di responsabilità sociale “Natural Fur. The Responsible Choice”. “Certo, noi oggi non realizziamo più solamente pellicce tradizionali, ma anche pellicce moda, e infatti con la parte d’azienda che realizza la materia prima siamo in contatto con tantissime aziende del mondo fashion”.
Il giro d’affari di Fureco è per il 40% ottenuto con il business della materia prima e il 60% con il capo finito. I mercati più importanti del gruppo di Seregno sono la Russia al primo posto, seconda è la Corea del Sud e al terzo posto troviamo l’Europa in generale, con l’Italia in testa. Per il secondo marchio Mavina, che è distribuito in boutique multibrand e department store e ha un concept di prodotto più giovane e con prezzi più bassi mediamente del 40-50% rispetto al gran lusso del marchio Fabio Gavazzi, circa il 70% del giro d’affari è ottenuto in Italia.
Diventa interessante allora chiedere a un dirigente di uno dei maggiori gruppi di pellicceria in Italia cosa ne pensa della conversione a una moda “Fur Free”, motivata dal senso di responsabilità ambientale e sociale e dal rispetto degli animali, effettuata da tanti marchi famosi negli ultimissimi anni, un elenco che comprende ormai i nomi di Stella McCartney, Donna Karan, Gucci, Versace, Furla, Michael Kors, Armani o Hugo Boss, fra i tanti. “Direi che è sconcertante vedere l’ipocrisia di certi marchi che annunciano di bandire le pellicce dalle loro collezioni, ma che non si esprimono sulle pelli esotiche (come coccodrillo, lucertola, struzzo…)”, sottolinea Gavazzi.
“Facciamo un esempio a caso: Gucci. La Caravel di Fucecchio è la più grande conceria di pelli pregiate del Comprensorio del Cuoio in Toscana ed è una società del gruppo Kering, che ne ha acquisito il 100% del capitale nel 2008. L’azienda lavora prevalentemente per i marchi del gruppo francese, quindi anche per Gucci, ma fornisce di prodotti in pelle anche altre aziende. Si tratta di una conceria che concia prevalentemente rettili e altri animali esotici. Quindi Gucci dice ‘Io sono Fur Free’, e poi alleva serpenti o coccodrilli per fare borse e cinture, utilizzandoli per lo stesso scopo per cui si allevano un visone o una volpe. Cioè fa una distinzione che non ha nessun tipo di senso logico”, puntualizza Alberto Gavazzi.
Sostenibilità ambientale, tutela degli animali, dieta vegana sono espressioni che possono anche non essere collegate per l’imprenditore. “Se una persona mi dice che non vuole che muoiano gli animali perché noi esseri umani li mangiamo o ne facciamo vestiti, allora siamo d’accordo, si tratta di una questione di principio, assoluta, su cui taccio e di cui ho tutto il rispetto, ma non è che eliminando del tutto la produzione di pellicce aumenti proporzionalmente la sostenibilità ambientale”, continua il manager. “Soprattutto oggi, quando il nostro settore ha creato e organizzato la tracciabilità di ormai quasi tutti gli allevamenti, con un progetto (“FurMark”) che si completerà nel 2020 (gli allevamenti finlandesi sono già tracciabili al 99,9%), mentre solamente il 35-40% degli altri allevamenti nel mondo, soprattutto di visoni, hanno una tracciabilità assodata. L’intento come AIP e IFF è di dare un senso a tutta la filiera dall’allevamento al capo finito portando entro pochi anni questa percentuale al 100%. Oggi vengono date le maggiori attenzioni possibili a fattori come un’ampia dimensione delle gabbie, l’alimentazione e da ultimo il modo in cui l’animale viene soppresso, che devono rispettare le normative europee. Pensate che è molto più cruento il modo in cui viene ucciso un pollo, un maiale o una mucca rispetto a un visone (che viene addormentato)”.
A sua volta, anche le ragioni di Gavazzi possono essere viste come irragionevoli o ipocrite da chi la pensa come Arnaud Brunois, ad esempio, il fondatore del sito lafaussefourrure.com, che in una recente intervista all’agenzia AFP ha giudicato “da un punto di vista ecologico più responsabile utilizzare un sottoprodotto del petrolio come la plastica per produrre pellicce sintetiche” piuttosto che “allevare ogni anno 150 milioni di animali (…) per ottenere delle pellicce che alla fine saranno comunque trattate con dei prodotti chimici”. Un match fra posizioni opposte che è in pieno svolgimento.
Tornando a Fureco, “abbiamo un corner in sede a Seregno e uno showroom in Via Montenapoleone. Siamo in trattative per aprire, in collaborazione con partner locali, dei negozi monomarca Fabio Gavazzi in Russia, ma se ne riparlerà almeno dal 2019”, conclude Alberto Gavazzi.
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