Fallimenti nello sportswear: il segnale di una profonda mutazione?
C’è agitazione nel mondo dell'abbigliamento sportivo maschile. Il mese di ottobre è stato testimone del crollo di marchi molto noti e ben consolidati in Europa. In Italia, l’annuncio del fallimento del marchio MCS (ex Marlboro Classics) e della società Industry Sportswear Company (ISC), alla testa dei marchi Henry Cotton’s e Marina Yachting, che dal 2013 erano passati nelle mani del fondo Emerisque Brands dell’imprenditore indiano Ajay Khaitan, ha fatto scalpore. Secondo una fonte sindacale, il gruppo ha accumulato 60 milioni di euro di debiti negli ultimi due anni, il che l’ha portato a fallire. Si pensi che ISC realizzava nel 2012 un fatturato di 135 milioni di euro e MCS registrava da solo quasi 110 milioni di euro di vendite annue.

Nello stesso momento, in Olanda è stato il Doniger Fashion Group, che possiede le etichette McGregor, Gaastra e Adam, a crollare. Questi aveva annunciato l'attuazione di un piano di rilancio per affrontare la seconda presentazione d’istanza di fallimento all'inizio di settembre, prima di annullare il piano. Una decisione che dovrebbe portare alla liquidazione delle attività del gruppo. Del resto, un primo fallimento era stato dichiarato l'anno scorso a seguito di una perdita dichiarata di 26 milioni di euro nel 2015. L’ultimo fatturato del gruppo conosciuto da Fashion Network, quello dell'anno finanziario 2014, era di circa 260 milioni di euro (e sempre in Olanda è fallita in novembre la catena di articoli sportivi Front Runner, seconda volta anche per lei, dopo la bancarotta già sperimentata nel giugno 2016).
Perché questi marchi affermati, dotati di un importante volume d’affari, hanno subito una battuta d'arresto simile? La maggior parte dei nostri intervistati non è stata sorpresa da questi fallimenti. “Il mercato sta diventando sempre più più maturo, ma questi marchi non hanno saputo rimettersi in discussione. Certo, nel complesso potevano passare per marchi autentici, ma il loro stile non è cambiato e la loro identità non era abbastanza forte. Allora sono diventati troppo classici, invecchiati e senz'anima”, analizza Isabelle Lartigue, direttrice dello stile di Peclers.
L’offerta, la domanda, ma anche i mezzi di comunicazione sono cambiati molto in questi anni ‘10. Per numerosi osservatori, esiste un prima e un dopo Hedi Slimane nella moda maschile. Da una decina d’anni, il mercato dell’Uomo ha iniziato una rivoluzione, avviata con l’era Slimane, epoca Dior. Ben consapevole dell’aria che si respira in questo tempo, lo stilista francese ha saputo imporre una nuova silhouette maschile ultra-slim fra il 2000 e il 2007 unita alla forza d'urto del gruppo LVMH. Una silhouette che si è gradualmente diffusa in tutto il settore.
“Più di un marchio di sportswear non ha voluto rivedere i fit delle sue collezioni e seguire lo stile del taglio slim, o non ha voluto ridurre la presenza del logo sui propri prodotti. Non volevano cambiare gli elementi che avevano costruito il loro successo. Ciò gli ha fatto perdere terreno, perché il mercato cambiava. L‘avevo visto arrivare questo fenomeno quando ero da Gant, ma siamo stati in grado di aprirci a tali cambiamenti con la gamma Gant Rugger”, racconta François-Olivier Gerreboo, direttore generale di Gant Francia dal 2008 al 2015.

L’offerta si è evoluta, spinta dall’arrivo sul mercato di nuovi attori più in sintonia con le aspettative e i gusti attuali dei consumatori maschi: The Kooples e Sandro Homme nel 2008, Editions MR nel 2009 (ex Melinda Gloss), Balibaris nel 2010 e ancora AMI nel 2011. I loro marchi dallo stile contemporaneo hanno captato le esigenze e quindi catturato l’attenzione di un’intera generazione, poco a suo agio con i completi formali, ma stanca delle solite proposte di "casual sportswear" esistenti.
Allo stesso tempo, i marchi sportivi si sono dedicati al lifestyle, proponendo dei look molto adatti alla città e dando più valore alle loro proposte moda con capsule firmate da vari stilisti. Una nuova generazione di dettaglianti ha aperto dei negozi di moda maschile che gli somigliano, da “French Trotters” a “Centre Commercial” a Parigi passando per “Le Shop” a Nîmes, “Graduate Store” a Bordeaux o “Boulet Store” a Nancy. Oppure “Concept” a Verona, per uscire dalla Francia. Senza dimenticare i siti di vendita online come Asos, L’Exception o il più premium Mr Porter.
Anche i grandi magazzini hanno dovuto cambiare strategia. Sempre in Francia, il Printemps ha per esempio ridefinito l’offerta del suo Printemps de l’Homme di Parigi allestendo lo spazio multimarca “L’Endroit”, dedicato a stilisti ed etichette alla moda. Un approccio più specialistico che si fa sentire a tutti i livelli del negozio: “Prima c’era un’offerta omogenea nel segmento dello sportswear, ma l’emergere di inclinazioni e pregiudizi forti e perentori ha creato una spinta dal basso che ha costretto gli attori a trattare le cose in modo diverso”, sottolinea Karen Vernet, direttrice del mercato dell’Uomo del grande magazzino. “Il nostro quarto piano è dedicato a ciò che potrebbe essere il casual rivisitato. Esso è diviso in tre poli principali. Lo sport-chic, che miscela l’eleganza da città con i codici dello sport, in particolare attraverso la tendenza athleisure. Il secondo polo è il casual-urban, nel quale si collocano attori come Tommy Hilfiger o Armani, che si sono evoluti su un tono diverso e hanno semplificato le linee, razionalizzando il loro numero di etichette. Infine, ci sono attori forti come Ralph Lauren o Hugo Boss che stanno mettendo in pratica un grosso riposizionamento, e stanno ridefinendo la loro piattaforma di marchi. Gli attori storici che riescono a continuare ce la fanno perché salgono di modalità. Bisogna avere un posizionamento molto chiaro, un punto di vista forte. La concorrenza è tale che tutti i discorsi troppo vaghi e generalisti non possono tenere”.
Presi in mezzo tra queste due tendenze, i colossi della moda maschile devono in effetti adattarsi alla metamorfosi del mercato dell’abbigliamento per uomo. E per sopravvivere ci vuole una capacità di reazione che induce ad avere una struttura stra-flessibile, e dunque di piccole dimensioni, o dei mezzi finanziari molto importanti. Tommy Hilfiger sembra aver trovato una formula. Il marchio del gruppo PVH ha operato una svolta decisamente contemporanea, unita ad un adattamento ai nuovi ritmi della moda, e lodata da molti osservatori. Inoltre, queste nuove proposte sono state veicolate da un sapiente sfruttamento di Internet e dei social network.

Perché è il mercato maschile nel suo complesso che ha visto i propri contorni cambiare forma e colore per arrivare a sedurre i Millennials sempre incollati alle reti sociali o i cinquantenni pimpanti dal forte potere d’acquisto. E anche se i giganti della fast fashion non hanno necessariamente lo stesso successo nell’uomo rispetto all’abbigliamento femminile, l’interesse per indossare dei prodotti molto alla moda e per le novità è notevolmente cresciuto nel maschio odierno.
Gli uomini, giovani o meno giovani, si lasciano sempre più coinvolgere nel gioco delle tendenze e sembrerebbe che i marchi troppo classici non facciano più sognare i papà. Diventati appassionati di moda, cedono agli acquisti emozionali, amano divertirsi e apprezzano che si raccontino loro delle belle storie. A condizione che siano credibili e che parlino a loro.
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