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Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
1 feb 2021
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Dossier: nel 2021 la fine del modello dei grandi magazzini?

Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
1 feb 2021

Lo scorso 25 gennaio, in Gran Bretagna si è conclusa la telenovela sul futuro di Debenhams. Boohoo ha acquistato il marchio, gli stock... ma non la rete storica di 124 grandi magazzini. Sempre in terra d’Albione, l’1 febbraio è arrivata l’ufficializzazione dell’acquisto da parte del retailer online Asos di quattro marchi del gruppo Arcadia fallito (Topshop, Topman, Miss Selfridge e HIIT) e delle loro giacenze di magazzino…. ma non dei loro negozi fisici. Dall’altra parte dell’Atlantico, il 7 gennaio il gruppo statunitense Macy’s ha annunciato un piano per chiudere oltre 30 negozi ad insegne Macy’s e Bloomingdale's nel 2021. Dopo un esercizio 2020 tra i più complessi per il settore dei grandi magazzini, queste dichiarazioni fanno presagire un altro anno delicatissimo per questi colossi della distribuzione. Dappertutto nel mondo, l’esistenza stessa dei giganti storici della distribuzione è messa in pericolo.

Il gruppo Debenhams è fallito in UK - AFP


Lo scorso anno, Onuma, fondata nel 1874 in Giappone, o Lord & Taylor, che aveva debuttato nel 1826 a New York, sono falliti; Debenhams (oltre 100 negozi) in Inghilterra, ma anche JC Penney (quasi 850 punti vendita) e Neiman Marcus (una sessantina di store) negli USA, si sono ritrovati a dover portare i libri in tribunale.
 
In Germania, Galeria Karstadt Kaufhof ha annunciato la chiusura di 51 suoi indirizzi su 172. In Svizzera, Manor (che possiede 53 grandi magazzini) ha deciso di tagliare il 5% della sua forza lavoro. In Spagna, la direzione di El Corte Inglés ha reso noto che implementerà un piano di tagli che prevede almeno 15 chiusure di siti.

Anche in Francia, la crisi del Covid-19 ha colpito frontalmente i colossi del settore. Nicolas Houzé, direttore generale delle Galeries Lafayette, ha annunciato un mancato guadagno di oltre un miliardo di euro lo scorso anno, e che una riorganizzazione è in corso alla sede del gruppo. Dal suo grande rivale Le Printemps le grandi manovre sono già iniziate, con sette chiusure di vetrine Printemps e Citadium previste nei prossimi mesi.
 
In questo inizio d’anno, tra rigorose chiusure, minacce di nuovi lockdown in tutto il mondo, vincoli sanitari sul distanziamento sociale e le presenze negli spazi chiusi, consumatori che si rivolgono sempre più allo shopping online, crescita delle vendite dei prodotti di seconda mano o impossibilità di viaggiare, i grandi magazzini sembrano alle strette.
 
Negli Stati Uniti, molti analisti prevedono addirittura il loro collasso totale. In questo mercato, secondo la società specialista del settore immobiliare Green Street Advisors, metà dei grandi magazzini situati nei centri commerciali (mall) americani potrebbero chiudere i battenti. Sempre negli USA, quasi una persona su due prevede di spendere meno soldi nei department store.

Il flagship Printemps di boulevard Haussmann a Parigi - Printemps


In settembre, durante una conferenza sul futuro del retail, il CEO di Macy's analizzava l'impatto delle trasformazioni degli esercizi commerciali sulla propria rete. “Alcuni negozi trarranno vantaggio a breve termine dalla chiusura dei concorrenti, ma la partenza di diversi competitor da un centro commerciale potrebbe ridurre il traffico di persone e avere un impatto a lungo termine sull'attrattività di questi centri”, affermava Jeff Genette. “La nostra intenzione è quindi quella di cambiare la composizione della nostra base di negozi, in modo da effettuare col tempo una transizione fra i negozi chiusi nei centri commerciali e l’apertura di negozi di dimensioni più piccole fuori dai centri commerciali, che si tratti di un concept a prezzi scontati o di mini-Macy's o mini-Bloomingdale's”.
 
Cambiamenti che paiono necessari, perché, secondo lo studio Cowen, il 44% degli americani intende spendere meno denaro nei grandi magazzini nei prossimi cinque anni, contro un 9% che vuole dar loro più fiducia. Al contrario, le vendite di prodotti di seconda mano e prodotti eco-responsabili, ma anche quelle su Amazon Fashion, sono ampiamente desiderate.
 
Comunque, il lampante l'impatto della pandemia di Covid-19 sul 2020, ha in realtà solamente accelerato le difficoltà di questi giganti della distribuzione. Uno studio di Morgan Stanley stima che sul mercato americano i grandi magazzini, che hanno realizzato il 24% delle vendite di abbigliamento nel 2016, peseranno solo l'8% nel 2022. In effetti, negli Stati Uniti le difficoltà dei department store sono iniziate a metà degli ‘10 del 2000 e catene come JC Penney e Sears hanno visto il loro business fallire molto prima dell'inizio della crisi sanitaria per il Covid-19.
 
In Giappone, in vent'anni, dal 1998 al 2018, le vendite dei grandi magazzini nipponici (dei quali si possono ormai contare solo 200 indirizzi nell'arcipelago) sono scese da oltre 9 trilioni a 5,9 trilioni di yen, ovvero di oltre un terzo.
 
“La pandemia non ha innescato, bensì ha accelerato il deterioramento di una situazione”, ritiene Selvane Mohandas du Ménil, Amministratore Delegato dell'associazione internazionale dei grandi magazzini, che conta dodici membri provenienti da America Latina, Asia ed Europa. “Sul mercato anglosassone c'è stata una sorta di corsa al gigantismo, con una crescita artificiale alimentata dall’incremento dei metri quadrati di questi gruppi, spesso sostenuti da fondi pensione e fondi di investimento. Gli attori giapponesi avevano il sud-est asiatico come terreno di gioco. Questa volontà si è concretizzata in insediamenti in mastodontici mall (che già non erano essi stessi il massimo dell’efficienza), cercando allo stesso tempo di nascondere il continuo restringersi dei margini e il fatto che non era stata innescata la transizione al digitale”.
 
Già. L’e-commerce. Tallone d’Achille di numerosi department store, alcuni dei quali, come Le Printemps in Francia, hanno intrapreso questo percorso solo in tempi recentissimi, perché non intravedevano la possibilità di risultare redditizi in questo segmento. Ma soprattutto, il Web rappresenta uno spazio che assorbe la loro clientela... tanto più quando le persone non possono più uscire o spostarsi.

Secondo lo studio di Cowen, i consumatori americani prevedono di ridurre i loro acquisti nei grandi magazzini da oggi al 2025 - Cowen


In più, al di là dei concorenti digitali (con l’onnipresenza di colossi come Amazon, Zalando o Tmall) e dei brand che ora hanno una loro vetrina in rete, i grandi magazzini hanno anche dovuto far fronte allo sviluppo degli outlet, facendo loro concorrenza diretta nella corsa alle promozioni e agli sconti moltiplicando le operazioni commerciali. In aggiunta hanno visto le stazioni ferroviarie e gli aeroporti diventare essi stessi degli spazi commerciali, che conseguentemente gli hanno soffiato la posizione di punti di contatto privilegiati tra marchi e clienti.
 
Quindi, con un consumatore che si rivolge al mercato dell'usato e modera i suoi acquisti, “l'apocalisse del retail” è un fenomeno inesorabile? Il Covid-19 avrà la meglio sulle reti di grandi magazzini e sui loro storici flagship store nelle capitali di tutto il mondo?
 
“Al Bon Marché, negli anni ‘90, ci interrogavamo già sul futuro dei grandi magazzini”, ricorda Christophe Anjolras, presidente e fondatore dell’agenzia Volcan Design, che supporta brand e distributori nell'evoluzione del loro concept di negozio. “In effetti, credo totalmente nel futuro dei grandi magazzini. Negli Stati Uniti, Nordstrom conduce alcune iniziative con format interessanti, e in Cina SKP Beijing sta chiaramente conquistando nuovi clienti. Ma nel complesso, come ogni sistema di distribuzione, devono trasformarsi in profondità. Il modello del centro commerciale classico è chiaramente passato in secondo piano”.
 
A Parigi come a Londra, la forza dei grandi mgazzini era dovuta al fascino di portata internazionale di questi flagship, che offrivano prodotti eccezionali e un'esperienza di acquisto in edifici che celebrano l'opulenza. Una reputazione che risplendeva in tutte le loro reti nazionali e internazionali, ma che progressivamente ha costruito un modello nel quale i profitti erano legati agli acquisti della clientela turistica negli store più grandi.
 
“Il loro punto di forza, che è diventato una debolezza, era che un marchio che entrava nei grandi magazzini diventava visibile dai visitatori venuti da tutto il mondo”, analizza Selvane Mohandas du Ménil. “Quindi emerge una dicotomia tra la realtà di Parigi, per esempio, e quella dei negozi di provincia. Il ritorno della clientela turistica non è previsto prima del 2023-24. Ciò costringe i grandi magazzini a ripensare al modo in cui si rivolgono ai clienti locali. Oggi, i flagship hanno un’importanza tale da pesare notevolmente sui risultati complessivi dei gruppi. Tuttavia, se guardiamo da vicino le tendenze e le cifre raggiunte in provincia, essi resistono”.
 
Un punto che stanno ora sottolineando amaramente i rappresentanti dei lavoratori, che da diversi anni avvertono del rischio di isolarsi dalla clientela locale. Perché oggi è proprio questa resilienza della clientela locale che permette di mantenere l'ottimismo sul futuro di questi luoghi.

Negli USA, Neighborhood Goods si presenta come il department store di nuova generazione - DR


“Probabilmente finiremo per vendere di meno”, ha affermato Anne Pitcher, direttore generale dei grandi magazzini britannici Selfridges nel dossier dello studio McKinsey sullo stato della moda nel 2021. “Gli acquisti usa e getta stanno sicuramente rallentando. I grandi magazzini sono fortunati, perché sono per necessità dei grandi spazi aperti. C'è ancora così tanta arte, cibo, cultura, interazioni. Le persone possono fare molto di più in uno spazio aperto della sola azione di acquistare. Tutti quelli che escono di casa hanno dei bisogni. È così che dobbiamo pensare per rispondere a questi consumatori”.
 
La reinvenzione è quindi la sfida che attende i grandi magazzini. E non solamente quella digitale. “Il digitale non è la panacea, se il concept generale non è attraente”, afferma Christophe Anjolras. “Macy's annuncia chiusure, senza sapere se finiranno con una flotta di 300 o 200 negozi quando prima ne avevano 800, ma per proporre quale concept? Associare altri brand, integrandoli, ripensando la cura dell'offerta e la customer experience, permette di ottimizzare le superfici apportando credibilità. Ciò che è molto complicato per questi player è che dovranno contemporaneamente gestire la riduzione dell’ampiezza dei loro spazi, la trasformazione dei negozi, la trasformazione dell'esperienza del cliente e lo sviluppo digitale. Ognuno deve trovare il proprio equilibrio, qualcosa di unico e con una specifica firma nel retail”.
 
Questa nozione di cura dell'offerta appare fondamentale. Perciò, la promozione della proposta locale appare come una forza trainante, così come una selezione di prodotti di seconda mano o anche la presentazione fisica di player presenti solo in versione digitale. In questo spirito, negli States, il concept di Neighborhood Goods, partito nel 2018 in Texas, sembra convincere, con la sua rotazione regolare di etichette di lifestyle, moda e bellezza, trovate su Instagram.
 
In un momento in cui redditività è la parola chiave, si stanno anche facendo degli arbitrati per vendere spazi commerciali ad altri marchi o per sviluppare ristoranti.
 
Un insieme di progetti che richiede risorse, mentre la redditività dei gruppi è molto colpita dalla situazione del momento, e la loro capacità di attrarre investitori può essere limitata dal contesto globale e dalle prospettive di business più limitate in segmenti precedentemente trainanti o più semplicemente vivaci e dinamici, come la moda e la bellezza.
 
“Tutti si sono resi conto che il momento di investire è adesso”, ha detto Selvane Mohandas du Ménil dello IADS. “Il digitale non è un obiettivo in sé, ma si presenta come un totem. Dopo il primo lockdown, Manor in Svizzera ha intrapreso un piano di trasformazione radicale, The Mall in Thailandia ha accelerato il programma di ristrutturazioni e aperture di punti vendita digitalizzando nel contempo i processi, e El Corte Inglés ha appena aperto, a Madrid, mentre investe nella sua app e si prende carico della logistica del proprio marketplace. Il digitale è infatti un modo per vendere meglio. Se hai una percentuale di resi di merce del 70%, ciò causerà problemi di redditività. Se non hai la redditività che cerchi tramite il canale stesso, puoi ottimizzare, tramite gli strumenti digitali, le strutture operative per trovarla”.

Le Galeries Lafayette Champs-Elysées patiscono l'assenza di turisti. L'offerta del negozio verrà rivista. - FNW OG


E il dirigente cita ancora il gruppo cileno Falabella che, in vari anni, ha creato un ecosistema di soluzioni digitali, o il gruppo SM Store che, durante il lockdown, ha implementato un servizio di consegna locale tramite la propria rete rispondendo alle richieste telefoniche dei suoi clienti. Il commerciante diventa così un creatore di eventi e un fornitore di servizi.
 
Tuttavia, anche gli esseri umani avranno un ruolo da svolgere nel futuro dei grandi magazzini. Durante questa crisi sanitaria, molti consumatori si sono rivolti a prodotti fatti in casa e di seconda mano, ma hanno anche ritrovato interesse per i loro negozi di vicinato. “Rivolgersi ai clienti in modo accurato è essenziale”, riassume Christophe Anjolras. “I grandi magazzini dispongono di marchi molto potenti che hanno una straordinaria capacità di ripresa. Con un sito e dei social media performanti possono diventare estremamente popolari”.
 
La trasformazione è di vasta portata e resta la questione della capacità finanziaria degli operatori in essere, anche con il sostegno degli aiuti governativi in ​​alcuni Paesi, per poter affrontare questa sfida senza fallire. Questo cambiamento non sembra poter avvenire senza una quota di riassetti, rimpasti e riorganizzazioni. Ma, in un mercato in cui molti protagonisti saranno scomparsi, il cielo potrebbe essere terso per chi attraverserà questo periodo. A condizione di trovare una loro vitalità e redditività in Rete, forti della loro notorietà secolare e delle loro location privilegiate, i grandi magazzini potrebbero benissimo affermarsi come attori fondamentali del commercio“phygital”.

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