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Della Valle difende i diritti della moda italiana

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Ansa
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10 feb 2010

MILANO, 10 FEB - "Tiriamo fuori un po' di orgoglio da italiani e diciamo che le decisioni nostre le prendiamo noi!" dice Diego Della Valle in una conferenza stampa "che - spiega - non avrei dovuto fare io". Ma "l'assordante silenzio" intorno al calendario milanese della moda lo hanno spinto a parlare.


Foto: AFP

"Trovo scandalosa questa situazione - dice Della Valle - e trovo ancor più scandaloso che nessuno alzi un dito. Il made in Italy è una delle poche leadership mondiali e la settimana milanese della moda è un appuntamento importante per tutti, dai giovani stilisti emergenti agli artigiani, a tutto il sistema produttivo. E' scandaloso che Milano Moda Donna venga sacrificata in questo modo, che venga ristretta a pochi giorni importanti. Per poi, invece, andare a Parigi per una settimana intera!".

Dopo giorni di notizie allarmanti sul restringersi, di fatto, del calendario milanese delle sfilate, perché i grandi marchi hanno ceduto alle pressioni della stampa estera, ma soprattutto di Anna Wintour, direttore di Vogue Usa, che vuole stare pochi giorni a Milano, si è saputo che invece Parigi, ad analoghe pressioni, ha risposto di no. "Bisogna fare in modo che queste cose - sottolinea Della Valle - non capitino più. C'é una leadership da mantenere e che non può essere svenduta solo perché tre persone si fanno spaventare in questo modo. Ripeto, è scandaloso".

Il ridimensionamento di Milano Moda Donna non nasce oggi: "Io non ho mai detto niente prima perché non sono membro della Camera Nazionale della Moda. E data la situazione, forse ho visto lungo! Ma qui non è un problema di Cnmi, è in gioco il sistema paese, ci va di mezzo un settore industriale - fatto anche di artigiani e piccoli imprenditori - che sta uscendo dalla crisi e che si è difeso con i denti. E come si risponde? Lo si allontana sempre di più dai mercati e dalla comunicazione. Cosa deve percepire un cinese cui viene indicato di stare due giorni e mezzo a Milano e invece una settimana altrove?".

Tutta colpa di Anna Wintour, direttore di Vogue Usa, che non vuole stare a lungo a Milano? "Il problema non è lei, a parte che siamo amici, a me non lo chiede perché sa cosa penso. Se tra qualche tempo allora ci chiedessero di non fare più le sfilate a Milano ma solo a Parigi? Il problema non è l'arroganza di chi chiede, ma la debolezza di chi risponde. Provate a fare in altri paesi una cosa cosi, provateci in America! Perché in Francia non accade? Io sono nel board di Lvmh, e vedo come si proteggono i francesi, a monte e a valle. Ci si rende conto che danno si fa a Milano riducendola a 3-4 giorni forti, quando erano 6-7 qualche anno fa? Vogliamo portare Milano all'appuntamento dell'Expo impoverita di uno dei suoi asset più importanti?".

Non e solo un problema di calendario in senso stretto: chi accetta di restringerlo "si assume la responsabilità di fare grande danno al paese, con un messaggio per cui la leadership dei brand creativi sarebbe degli altri e noi italiani saremmo solo fassonisti di terzi. E non è così, siamo il meglio al mondo". E poi "la creatività dei giovani: se in tre giorni a Milano bisogna fare tutto, come fanno i ragazzi, cioé l'officina del futuro made in Italy, a mostrarsi a giornalisti e buyers? Tutto questo non fa bene neppure ai grandi gruppi che credono di poter fare da soli".

Ci si metta "tutti intorno a un tavolo per affrontare il problema, bisogna coraggiosamente tornare a una soluzione logica. Le nostre imprese grandi sono state piccole: se 30 anni fa avessero fatto a noi tutto questo, forse non saremmo diventati grandi. Invece sono tutti corsi a prendersi la data migliore, sottovalutando quanto sia importante mantenere le posizioni dell'intero sistema: o non l'hanno capito o se ne fregano. Cambiare di nuovo il calendario si potrebbe (lo hannpo messo in discussione in due giorni!), i tavoli dove si può discutere non mancano, fossi il sindaco chiederei spiegazione...e il ministero dell'Industria...e quello del Turismo".

Dal resto "cosa può accadere a rimanere con il nostro normale calendario, che ci sculacciano? Accade magari che vengono tutti i giornalisti del mondo meno tre. Che paura c'é? Non succede niente. Viceversa, nel mondo che idea si fanno del nostro prestigio?". E poi "i marchi italiani decidono dove investire il loro budget pubblicitario, quindi si devono riservare almeno decisioni alla pari. Invece in 3-4 giorni si sono adeguati, e bastata una telefonata, e altri 30-40 mila pagano le conseguenze".

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