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24 mar 2015
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Dalla moda al calcio, il Made in Italy va all'estero

Di
Ansa
Pubblicato il
24 mar 2015

Con l'arrivo di ChemChina, Pirelli diventa l'ultima di una serie di prede di gruppi esteri nel nostro Paese. L'accordo con i cinesi ha riaperto il dibattito sul destino dell'industria nazionale. Perché a finire all'estero non è solo il calcio con l'Inter in mano all'indonesiano Erick Thohir e con la Roma all'italo-americano James Pallotta. O l'Alitalia, salvata dall'araba Etihad. Ma anche il know how e le tecnologie delle imprese della Penisola.

Gucci, uno dei marchi italiani in mani francesi


Nei giorni scorsi il segretario generale della UIL Carmelo Barbagallo ha ben sintetizzato in che cosa rischia di trasformarsi l'Italia: in un "discount, dove ognuno viene a fare la spesa".

E la spesa l'hanno già fatta in molti: nel 1993 gli svizzeri di Nestlé si sono comprati il marchio Italgel (Gelati Motta, Antica Gelateria del Corso, La Valle degli Orti) ed il Gruppo Dolciario Italiano (Motta e Alemagna). Quest'ultimo è poi ritornato in mani italiane grazie alla Bauli di Verona.

Attualmente Nestlé controlla l'ex Italgel insieme a surgelati e salse Buitoni. Il colosso elvetico possiede anche l'acqua minerale Sanpellegrino e controllate (Levissima, Recoaro, Vera, San Bernardo e Panna). Galbani, Locatelli, Invernizzi e Cademartori sono proprietà di Lactalis, il Re del Camembert che si è comprato Parmalat nel luglio del 2011, mentre gli oli Cirio-Bertolli-De Rica sono stati presi 1993 da Unilever, che poi li ha ceduti nel 2008 alla spagnola Deoleo, già titolare di Carapelli, Sasso e Friol.

Che siano gli yacht di Ferretti, di proprietà di Shandong Heavy Industry-Weichai Group, o le collezioni di Krizia, di proprietà di Marisfrolg Fashion Co, il lusso piace al capitalismo cinese. Grandi predatori sono anche i francesi: LVMH, titolare di Loro Piana e di Bulgari, e Kering che ha fatto man bassa di marchi, da Gucci a Bottega Veneta, da Pomellato a Dodo, da Sergio Rossi a Brioni. Valentino è nelle mani di Mayhoola Investments (Qatar) e quel che resta di Gianfranco Ferré di Paris Group (Dubai), mentre La Rinascente appartiene alla thailandese Central Group of Companies. In mani americane è invece Poltrona Frau, rilevata da Haworth.

Parla francese Edison (EDF), e Saras è bilingue, controllata oltre che dai Moratti dai russi di Rosneft. E' invece nelle mani della russa VimpelCom la compagnia telefonica Wind. Tra gli azionisti rilevanti di Telecom figurano Bank of China (2%) - presente con la stessa quota in una serie di grandi gruppi naizonali quotati in Borsa - e la spagnola Telefonica controlla il 14% di Telco e si prepara a cedere la partecipazione ai francesi di Vivendi.

Fuori da Piazza Affari, State Grid of China ha il 35% di Cdp Reti, la scatola in cui sono detenute le partecipazioni di controllo di Terna e Snam, e Shanghai Electric il 40% di Ansaldo Energia.

L'industria ferroviaria nazionale è oggi completamente in mani straniere. La Fiat Ferroviaria è controllata da Alstom dal 2000, mentre la Tibb (Tecnomasio-Brown Boveri) è passata prima sotto la Daimler Benz-AdTranz (1996) e poi sotto la canadese Bombardier (2001). E' dello scorso 24 febbraio la vendita di AnsaldoBreda e Ansaldo Sts alla giapponese Hitachi da parte di Finmeccanica.

Si era già visto che i cinesi puntavano più alla tecnologia che alle aziende italiane. Fa pensare il caso Falck. In sole 8 settimane una task-force di 72 tra tecnici ed operai di Guangxi Liuzhou Iron And Steel Group è riuscito a smantellare le 6.000 tonnellate dell'impianto Falck-Concordia per trasferire i macchinari da Sesto San Giovanni a Liuzhou.
 

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