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Ansa
Pubblicato il
27 gen 2009
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Da Parigi polemica: l'Italia non sostiene la creatività

Di
Ansa
Pubblicato il
27 gen 2009

Da Parigi parte una polemica contro Milano e l'Italia, dove "la creatività non viene sostenuta". A dirlo, e a dar fuoco alle polveri, è lo stilista sardo Antonio Marras, diventato ormai 'global artistic director' di Kenzo (gruppo Lvmh), che sabato scorso a Parigi ha fatto sfilare per la prima volta anche la moda uomo.

"Nonostante la crisi - dice Marras - la Francia supporta il lavoro creativo. Invece l'industria italiana (che poi è quella che produce anche la moda francese) ha paura di investire nella creatività. Per esempio - dice Marras - Parigi è tornata con forza a raccontare l'uomo, sfilando il primato a Milano dove c'é una crisi forte. Una volta la rassegna maschile milanese durava 9 giorni, ora solo quattro".

Il rischio è che accada come per l'alta moda: "una volta c'era anche Roma, ora c'é solo Parigi". In tutta la moda, non solo quella da uomo, "stiamo perdendo terreno e mi dispiace. Perfino New York fa dieci giorni di sfilate del pret-a-porter femminile, eppure ha pochi nomi di pregio. In Italia non c'é futuro, non c'é spazio per i nuovi stilisti, sono tutti 'finiti' o andati via.

La Francia invece ci crede, il gruppo Lvmh pretende molto ma dà anche molto. Cinque anni fa Kenzo era un marchio in bilico, ora è rinato perché Lvmh ha avuto fiducia e ha investito". Come mai Lvmh allora non produce anche l'etichetta personale di Antonio Marras, come fa per John Galliano (di Dior) e Marc Jacobs (di Louis Vuitton)? "Perché adesso pensiamo che gli stilisti debbano mantenere anche una loro autonomia", risponde il pdg di Kenzo, James Greenfield.

Ma oggi è anche il primo giorno dell'alta moda donna, e subito Giorgio Armani, interpellato sulla 'fuga dei cervelli creativi', così risponde: "Parigi offre di più, certo qui i creativi si divertono più che a Milano. Il fascino di Parigi ha il suo peso: nel pret-a-porter femminile, per esempio, c'é il caso Miu Miu, che è venuta a sfilare qui per valorizzare il marchio".

Ma come mai l'Armani imprenditore non ha mai creato un brand nuovo, utilizzando qualche nome giovane e italiano? "Creare un marchio costa molto e poi, preso un nome emergente, l'industriale che sa fare i conti, dopo 2-3 collezioni in perdita, mette fine al gioco". "Le multinazionali oggi la fanno da padrone" e, comunque, stiamo attenti: "i grandi nomi internazionali non sono riusciti a sfondare nel pret-a-porter", non bisogna farsi ingannare - avverte Armani - dalla risonanza delle sfilate parigine che, spesso "in realtà servono solo a far vendere gli accessori: avete mai riconosciuto in giro qualcuno vestito Louis Vuitton?".

E per l'alta moda invece, l'Italia non potrebbe rimettere in competizione Roma o schierare addirittura Milano? "A Roma si è già provato...ma sono state fatte scelte poco felici. A qualcuno molto bravo si è accodata gente che non aveva i requisiti. Trasferirsi a Milano, non credo sia credibile: perché i giornalisti dovrebbero venire a vedere Armani e la Curiel dopo aver visto qui Chanel e Dior!"

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