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Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
29 gen 2020
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Da Milano a Parigi, quando la moda s’interroga sul proprio futuro

Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
29 gen 2020

Mentre l'emergenza climatica minaccia il nostro pianeta come una bomba a orologeria, la moda può continuare la sua folle corsa come se non fosse successo niente? Nulla sembra cambiare, a giudicare dalla maratona delle Fashion Week, che si sono appena concluse con la loro solita frenesia e i calendari che si sgretolano sotto il peso di un'offerta esplosiva e la crescita esponenziale del numero di nuovi marchi. Solo poche case di moda hanno sembrato interrogarsi sul futuro del sistema, o almeno cercare di iniziare una riflessione al riguardo.

Jean Paul Gaultier - Primavera-Estate 2020 - Alta Moda - Parigi - © PixelFormula


In qusto senso, è singolare notare come la settimana della Haute Couture parigina, ultima tappa di questa maratona di gennaio, si sia conclusa letteralmente con un funerale. Quello della carriera di Jean-Paul Gaultier, simbolo per eccellenza di questa moda onnipotente, che esplose e iniziò la sua frenetica corsa negli anni '80. Quel mercoledì sera c’erano proprio tutti. Tutta Parigi e l'intero mondo della moda si erano riversati al Théâtre du Chatelet per assistere all’ultima sfilata d’alta moda del suo “enfant terrible”.
 
Per aprire il proprio show, lo stilista aveva scelto di proiettare le immagini in bianco e nero di un funerale. Quello che si vede nel film Qui êtes-vous Polly Maggoo? Una satira della moda girata nel 1966 dal fotografo William Klein, dove la protagonista si chiedeva, in mezzo a un cimitero: “Parigi è morta? Voglio dire, l'alta moda...”. E una bara è entrata lentamente in passerella, portata da sei ballerini.

All’inizio della stagione, sono stati gli allestimenti approntati da altri due stilisti che hanno apostrofato il mondo della moda. Quelli di Miuccia Prada e di Alessandro Michele per Gucci. La prima ha organizzato il suo défilé in due arene, posizionando il pubblico su alcune gradinate e una passerella sopraelevata, costringendolo così a guardare dall'alto i modelli che andavano e venivano al livello inferiore. Come una messa in scena, dove i protagonisti della moda fanno parte dell'arredamento, ma ne prendono le distanze ed osservano la scena da lontano. Un modo per chiedere e stimolare un necessario momento di riflessione.
 
Per la sfilata di Gucci, Alessandro Michele ha scelto di far sfilare i suoi modelli in penombra attorno a un enorme pendolo, a significare che il conto alla rovescia è iniziato ed è tempo di agire. Da JW Anderson, una casa stilizzata in fiamme è stata apposta su alcune magliette. “C'è pericolo in casa”, sembrava affermare il designer Jonathan Anderson, la cui foto appariva attaccata su alcuni manichini di plastica che guardavano la sfilata, seduti in mezzo al pubblico, e indossando la medesima T-shirt!

Walter Van Bierendonck - Autunno-Inverno 2020 - Menswear - Parigi - © PixelFormula


“Si percepisce chiaramente che ci stiamo avvicinando a un profondo cambiamento, e la reazione è quella di frenare, per paura. Tutto è pressurizzato. Siamo ai margini del burrone”, sostiene Patricia Lerat, consulente a capo dell'agenzia di showroom PLC Consulting. "La moda ha prodotto in modo eccessivo negli ultimi decenni e questo estremo sovraconsumo oggi non ha più senso. È tutto il sistema che deve evolversi e affrontare tale sconvolgimento. I giovani designer sono già immersi in tutto questo, ci si abbeverano, e sono molto più attenti, coscienti e consapevoli delle nuove sfide”, prosegue.

Con la sua collezione intitolata “W.A.R (Walter: About Rights)”, il designer-artista Walter Van Beirendonck è stato l'unico a prendere una posizione chiara e netta, gridando a gran voce: “Stop”. Per lasciare bene impresso un segno, in tutta la prima parte ha fatto sfilare degli uomini-riccio, coperti di punte gigantesche sulle spalle, le scarpe e persino sulle guance. Dei vestiti-carapace, gusci per affrontare il mondo di oggi e di domani.
 
Lo show è terminato con una processione di uomini-sandwich in leggings bianchi sui cui cartelli si leggeva “W My Planet, W My Future”, mostrando una serie di altri messaggi impegnati su varie magliette-manifesto: “Stop buying fast fashion” (“Basta comprare fast fashion”), “I hate fashion copycats” (“Detesto le imitazioni della moda”), “Save the planet” (“Salvare il pianeta”), ecc.
 
Sicuramente ci vorrà di più per scuotere il pianeta della moda. Questa sessione di sfilate sembrava persino più isterica del solito. A Parigi, in particolare, è stato raggiunto il numero record di oltre 80 sfilate, tra gli show che figuravano nel calendario ufficiale e quelli nel cartellone “off”, senza contare le innumerevoli presentazioni e la proliferazione esponenziale degli showroom, a testimoniare la sovrabbondanza di nuove etichette in arrivo sul mercato.

Prada - Autunno-Inverno 2020/21 - Menswear - Milano - ph Dominique Muret


“Oggi, la moda fatta di creazione non esiste più. Il ready-to-wear è diventato per lo più un prodotto, un logo. Per la moda, quella che esisteva negli anni ’80, con i suoi stilisti che avevano il potere di far sognare le persone e di far loro venir voglia di acquistare, è suonata l’ultima ora”, osserva la giornalista ed esperta Antigone Schilling.
 
La sepoltura evocata da Jean-Paul Gaultier non poteva essere più pertinente e opportuna, come per sottolineare, al di là del suo addio, la fine di un'epoca. Le nuove generazioni di designer non si fanno illusioni. La festa è finita. Al Pitti Uomo, lo stilista anti-fashion Telfar Clemens ha illustrato perfettamente il concept facendo sfilare i suoi modelli sul tavolo di un banchetto luculliano tutto macchiato di chiazze di vino, in mezzo ai resti di una “grande abbuffata”.

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