Gianluca Bolelli
29 nov 2016
Cosmetici: Greenpeace chiede che vengano vietate le microsfere di plastica nel Regno Unito
Gianluca Bolelli
29 nov 2016
Infinitamente piccole.... Ed infinitamente nocive: l'ONG Greenpeace ha chiesto la scorsa settimana a Londra che vengano proibite nel Regno Unito le microsfere di plastica presenti in tantissimi cosmetici, perché inquinano gli oceani e intossicano pesci e micro-plancton.
Dai 5 ai 12 milioni di tonnellate di plastica sono riversate ogni anno negli oceani, secondo Greenpeace, e “queste piccolissime sfere sono probabilmente le più pericolose”, sostiene Erik Van Sebille, oceanografo all'Imperial College di Londra.
“Più la plastica è piccola, più è nociva. La maggior parte degli animali non ingoierà un sacchetto di plastica, però questi ingeriranno più facilmente della plastica in piccole quantità”, ha sottolineato Van Sebille in una conferenza stampa organizzata su una nave di Greenpeace, la “Esperanza”, sul fiume Tamigi a Londra.
Queste sfere, le cui dimensioni possono essere anche inferiori agli 0,1 millimetri, si trovano in tantissimi prodotti cosmetici, a cominciare dalle creme esfolianti e gli scrub, ma anche in molti gel doccia e in diversi dentifrici.
Un tubetto da 125 ml. di crema esfoliante può contenere fino a varie centinaia di migliaia di microsfere di polietilene, spiega David Santillo, ricercatore all'Università di Exeter per Greenpeace, che ha condotto un esperimento per estrarle e che poi ha conservato le piccole sfere bianche e blu in una scatola di plexiglas.
Troppo piccole per essere trattenute dai filtri depurazione delle acque reflue, le sfere assorbono altri agenti inquinanti e finiscono la loro vita nei corsi d'acqua e negli oceani, intossicando micro-plancton, crostacei e pesci.
Ostriche non più in grado di riprodursi
Il governo britannico lancerà in dicembre una consultazione di tre mesi sulla messa al bando di queste microsfere. Insieme ad altre associazioni attive nella protezione dell'ambiente, Greenpeace si batte per la loro messa al bando da tutti i prodotti. Una petizione che chiede la loro interdizione nel Regno Unito ha raccolto ad oggi circa 375.000 firme.
L'ONG cita l'esempio degli Stati Uniti, che hanno votato per vietare le microsfere nel mese di dicembre 2015. In Francia, la legge sulla biodiversità votata in questo 2016 prevede il divieto di utilizzo di tali microsfere a partire dal 2018, con l'eccezione però di quelle che si trovano nei detergenti e detersivi.
Anticipando la loro probabile interdizione nel Regno Unito, Tesco, prima catena britannica di supermercati, si è impegnata a ritirare dai propri scaffali tutti i suoi prodotti che contengono microsfere entro la fine di quest'anno, ha annunciato la settimana scorsa Tim Smith, direttore qualità del gruppo.
Anche alcuni gruppi industriali hanno reagito a questa sensibilizzazione. Colgate-Palmolive afferma di non utilizzare più queste microperle di plastica in tutti i suoi prodotti a partire dalla fine del 2014. Johnson & Johnson si è impegnato a non utilizzarle più dal 2017. E Procter & Gamble comunica di aver cominciato a ritirare le sfere dai suoi prodotti, benché abbia tenuto a precisare che secondo le sue ricerche siano “prive di pericoli per l'uomo”.
Per ammissione di Greenpeace, il loro effetto sugli esseri umani “necessita ancora delle ricerche”. Ma l'inquinamento plastico ha comunque conseguenze tangibili nel mondo marino: “Delle ostriche, in alcune parti degli oceani, hanno cessato di riprodursi” a causa della presenza eccessiva di plastica, afferma Erik Van Sebille.
E il peggio deve ancora venire, secondo l'ONG: “Entro il 2025, ogni tre tonnellate di pesce, ce ne sarà una di plastica” negli oceani, afferma John Sauven, direttore generale di Greenpeace per il Regno Unito, citando uno studio della Fondazione Ellen McArthur. Il rapporto prevede addirittura che ci sarà più plastica che pesce negli oceani entro il 2050.
Per quanto tempo queste microsfere rimarranno a galleggiare nell'acqua o si depositeranno nei fondali degli oceani? “Noi pensiamo che non scompariranno mai. Abbiamo analizzato delle plastiche trovate nei fondali marini che sembrano essere là da decenni”, dice Erik Van Sebille. “Forse un giorno i batteri si evolveranno e cominceranno a mangiare la plastica, ma ci potrebbero volere centinaia di anni”, aggiunge l'oceanografo.
Versione italiana di Gianluca Bolelli; fonte: AFP
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