14 lug 2020
CNMI stima che la moda italiana perderà il 30% di fatturato nel 1° semestre 2020
14 lug 2020
Il colpo inferto dalla crisi del Covid-19 all’industria italiana della moda è stato pesantissimo. Nei due mesi di lockdown per i quali sono disponibili dati ufficiali, il fatturato del settore moda (tessile, abbigliamento, pelle, pelletteria, calzature) è crollato rispettivamente del -42% a marzo e del -78% ad aprile (-78,5% il dato corretto per il numero di giorni di calendario). La media dei primi quattro mesi dell’anno è di -28%. Lo indica il rapporto “Fashion Economic Trends” di Camera Nazionale della Moda Italiana, basato anche su elaborazioni di dati ISTAT.
Il fatturato dei settori collegati ha avuto una dinamica parallela a quella della moda, con un crollo nel bimestre marzo-aprile della gioielleria e bigiotteria, una caduta molto forte dell’occhialeria, mentre il settore della cosmesi ha apparentemente subito cali significativi ma meno drammatici, che tuttavia andrebbero depurati dal boom dei saponi e gel igienizzanti.
Le esportazioni della moda italiana nel primo trimestre hanno rispecchiato la contrazione generale del commercio. Nel primo trimestre la contrazione è stata più marcata verso la Cina (-27,5%) e Hong Kong (-29,3%), i primi Paesi ad essere toccati dalla crisi, ma da marzo il segno negativo è arrivato nel corso del trimestre a quasi tutte le nazioni, con un rilevante -10% per la Svizzera, -10,1% per il Giappone e -8,4% per gli USA (ma anche un +10,7% di una Corea del Sud in controtendenza). Se le tendenze generali previste dal WTO si confermeranno, per la moda nel secondo trimestre, indica CNMI, il calo potrebbe essere tra il 25% e il 30% rispetto al secondo trimestre del 2019.
Negativa è anche la dinamica delle importazioni: -7,5% per la moda e -9,3% per i settori collegati. Il saldo commerciale è peggiorato di 500 milioni di euro nel primo trimestre 2020 rispetto al primo trimestre 2019.
Pur con l’alleggerimento delle misure di contenimento a luglio, nella maggior parte dei Paesi, le prospettive per i prossimi mesi restano dense di incertezze. L’esperienza cinese mostra che le attività industriali continuano ad operare nei casi migliori intorno al 70%-75% dei livelli pre-crisi, ricorda CNMI nel suo documento, e che il retail, anche nelle zone in cui le riaperture sono state più rapide si è ancora al 70% delle vendite pre-crisi e la pur molto moderata ripresa del contagio a Pechino a metà giugno ha causato una immediata caduta del 50% delle vendite nei negozi di abbigliamento.
Inoltre, uno studio appena pubblicato dall’ISTAT mostra che la moda si trova in una situazione caratterizzata da una forte polarizzazione: da un lato è il settore manifatturiero con la più elevata quota di imprese a rischio di sopravvivenza (48,2%) e d’altro lato è il settore con la più elevata quota di aziende che dichiara di avere avviato strategie di riorganizzazione e cambiamento (38,4%).
La disponibilità dei dati fino ad aprile, peggiora solo marginalmente le previsioni presentate nella nota di aggiornamento ai FET di maggio, puntualizza ancora CNMI nel suo rapporto. Si stima, dati provvisori, che il primo semestre presenterà un calo del fatturato intorno al 30% rispetto allo stesso periodo del 2019.
La dinamica nel secondo semestre è invece difficilmente prevedibile, si possono ipotizzare due scenari estremi. Nel primo, ottimistico, con riapertura a settembre in Italia senza focolai di ripresa del virus, completa revoca delle limitazioni alla circolazione e ai negozi, ripresa dei flussi di commercio internazionale, la riduzione complessiva del fatturato della moda d’Italia nel 2020 sarebbe vicina al -15%.
Nel secondo, pessimistico, con riapertura a settembre in Italia, ma con focolai di ripresa del virus, nuovo inasprimento delle limitazioni alla circolazione e ai negozi, mancata ripresa dei flussi di commercio internazionale, la riduzione complessiva del fatturato nel 2020 sarebbe vicina al 18%.
Per entrambi gli scenari si assume che i provvedimenti di politica economica evitino la chiusura al 48% di imprese della moda giudicate a rischio dall’ISTAT, conclude Camera Moda.
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