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Adnkronos
Pubblicato il
12 nov 2014
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Claudio Marenzi: "Reshoring consistente se da UE ok al certificato d'origine"

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Adnkronos
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12 nov 2014

Se venisse approvato anche definitivamente in sede europea l'articolo 7 del regolamento comunitario sulla sicurezza dei prodotti destinati ai consumatori, che introduce l'etichettatura d'origine obbligatoria per i prodotti commercializzati nella UE, anche quelli no food, il fenomeno del reshoring e near reshoring, ad oggi quantitativamente ancora irrilevante, avrebbe dimensioni diverse. Incentiverebbe il rientro in Italia della produzione con ripercussioni immediate sulle PMI e in particolare sull'occupazione. Claudio Marenzi, presidente degli industriali della moda italiana (proprietario di Herno) chiarisce le caratteristiche di un fenomeno "di cui si parla molto. Sta avvenendo, anche se numericamente non è così significativo. E' difficile indicare delle percentuali, ma come Centro studi siamo al lavoro per fornire dati in merito".

Claudio Marenzi


Di certo, evidenzia Marenzi, si tratta ancora "di un fenomeno qualitativo" che interessa soprattutto il near reshoring, con l'avvicinamento all'Italia delle produzioni, "come in Romania dove ci sono realtà di proprietà italiana e dove il sistema tessile è importante". Insomma, quelle aziende che vorrebbero tornare "stanno cercando di capire come". Ma perché si cerca di rientrare? "Innanzitutto si tratta di produzione di posizionamento alto e al limite medio. Si vuole assicurata una quick response, un servizio migliore, una qualità che deve essere anche percepita dal consumatore finale per giustificare il prezzo" spiega.

"Dobbiamo cercare di ottenere dall'Unione Europea il certificato di origine. Questo convincerebbe le aziende a tornare in Italia" assicura Marenzi. Oggi "siamo allo step finale. Il parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza l'articolo 7, anche la Germania. Ora manca l'ultimo passaggio, ovvero il Consiglio dei primi ministri. Qui sussistono due schieramenti. Quello del 'No' capitanato dai Paesi del Nord Europa (che si limitano alla confezione e poi applicano l'etichetta Made in) e quello del Sud con l'Italia e ora anche la Francia. Sarà una lotta. Abbiamo più volte caldeggiato al presidente del Consiglio il tema che deve essere prioritario anche per assicurare nuovi posti di lavoro. E' fondamentale non solo per la moda, ma anche per il design. Insomma l'ultimo scoglio è il più difficile. Devono decidere i Governi sui quali insistono le lobbies".

Per Stefania Trenti, responsabile Ufficio Industry della Direzione Centrale Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, è "difficile quantificare esattamente il fenomeno" del reshoring. Da una inchiesta condotta nel 2013 su 63 imprese capofila dei principali distretti produttivi del sistema moda italiano, "abbiamo rilevato come circa il 12% delle imprese intendevano riportare in Italia una parte della produzione spostata all’estero per motivi di qualità e affidabilità delle forniture, al tempo stesso una identica percentuale si proponeva di spostare all’estero le lavorazioni a minore valore aggiunto".

"In buona sostanza - sottolinea Trenti - stiamo assistendo soprattutto al ritorno delle fasi più delicate e a maggiore valore ma, al tempo stesso, prosegue lo spostamento delle fasi su cui i costi di produzione contano maggiormente. Un indicatore 'semplice' che ci può dare la misura di quanto stanno cambiando gli assi della produzione è il rapporto tra import ed export: fino alla fine dello scorso decennio questa quota era in costante aumento, in seguito all’incremento degli arrivi di prodotti semi-lavorati o finiti dai paesi a minori costi del lavoro".

Invece "negli ultimi anni questo trend si è invertito: per ogni euro di export del Made in Italy si è tornati ad avere circa il 59% di flussi di import, quota che si aveva a metà dello scorso decennio. L’inversione di tendenza è più pronunciata per l’abbigliamento dove i processi di internazionalizzazione della produzione sono stati più intensi negli scorsi anni".

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